Usamaru Furuya: intervista al mangaka approdato su Jump dall’underground

Usamaru Furuya: intervista al mangaka approdato su Jump dall'underground

Lucca, venerdì 3 novembre. Presso la classica “Sala Oro” dell’area stampa il maestro Usamaru Furuya ha risposto alle numerose domande dei fan e dei giornalisti presenti, attirati anche dall’entusiasmo con il quale è stato accolto il ritorno della “Musica di Marie”, opera pubblicata, come per le precedenti, dalla casa editrice Coconino, che è intervenuta all’incontro per ribadire il suo impegno nella ricerca di mangaka di spessore da portare in Italia. Ecco qui il resoconto, con le debite “licenze di trascrizione” di quanto è stato detto in sala stampa.

L’introduzione di Coconino Edizioni

La direzione editoriale del ramo manga si è da sempre occupata di autori innovativi, e il maestro Furuya, pubblicato in Italia da anni, è stato uno dei primi portati da Coconino, da Palepoli sino a La Musica di Marie. Le sue opere hanno avuto un riscontro altissimo da parte del pubblico, sia grazie alla grande qualità estetica e contenutistica dei libri, che alla loro enorme originalità, che affonda le sue radici nella storia del fumetto giapponese e nell’arte. A Lucca ci siamo presentati con due novità: Garden, una raccolta di racconti ricca di citazioni della cultura pop, e il primo volume di Amane Gymnasium, pensata per pubblico adulto nonostante venga raccontata con ironia.

La storia di Coconino

Coconino è nata nel 2000 per pubblicare fumetti d’autore in formato di libro. Una delle prime opere è stata Il Vampiro che ride (di Suheiro Maruo), ma abbiamo sempre prestato attenzione alla scena artistica giapponese, e ora faremo ancora di più: con autori come Taniguchi, Hanawa e Tatsumi. Attraverso i fumetti di Furuya abbiamo scoperto altri autori giapponesi di qualità e per questo lo ringraziamo.

L’intervista

Furuya ha raccontato società Giapponese attraverso l’arte, da Kubrick a Picasso, e nelle sue opere uno dei temi maggiormente trattati è quello del il libero arbitrio, che lascia all’individuo la possibilità di distruggere e di distruggersi. Secondo lei siamo condannati all’autodistruzione o l’arte ci può salvare?

Non c’è una risposta. La tecnologia ci permette di vivere nell’agio, ma può essere impiegata anche per la guerra, e questi sono due temi che non si possono scindere. Con la mia opera non dico cosa sia giusto o sbagliato, ma voglio porre questa domanda. Quando si progredisce non si può tornare indietro, e il rischio di una catastrofe c’è, ma spero che questo non sia il destino riservato all’umanità.

Secondo lei l’intelligenza artificiale nell’arte è un’aiuto o una minaccia?

L’AI è un grosso problema, ma vi posso fare un esempio personale: io ho due figli attorno ai dieci anni e a entrambi piace disegnare; si impegnano e pian piano stanno diventando più bravi. Il più grande, che ne ha 13, è già stato premiato dal settimanale Shonen Jump ed è deciso a diventare un mangaka. Io credo che quando loro saranno adulti esisterà già una tecnologia per creare sia le storie che i disegni, e allora mi chiedo, a che serve il loro impegno? L’arma per combattere la tecnologia è la propria esperienza e originalità, aspetti che l’intelligenza artificiale non avrà; per questo gli dico di ricercare un loro stile personale. Nella mostra di Lucca ho visto tutte le potenzialità delle tavoli originali: hanno la capacità di emozionare più di qualsiasi cosa creata digitalmente. Detto ciò, forse il mio è anche un pensiero di vecchia generazione.

Lei ha lavorato molto nell’art underground, dove il conflitto dell’individuo è dominante. Riguardo al conflitto tra l’uomo e le sue paure, c’è qualche forma artistica tradizionale che l’ha ispirata maggiormente?

Non ho mai avuto l’intenzione di mischiare l’arte di una volta con le mie opere, ma mi sono rimasti i ricordi delle gite che ho fatto alle elementari in Giappone, dove la scuola ti portava a vedere il teatro kabuki o simili esibizioni che guardavo con interesse. Quando ci sono andato con la scuola media invece ho dormito (conclude sogghignando).

Tornando alla questione delle intelligenze artificiali, in America stanno presentando una legge a tutela dell’arte contro le AI. In Giappone c’è qualche processo simile in corso o se ne parla solamente tra autori?

Il governo giapponese sta molto indietro su questo tema, temo quindi che aspetteranno di vedere le azioni degli altri stati a riguardo. Storicamente, anche sui vari diritti, ci attiviamo sempre in ritardo rispetto agli altri paesi.

Lei è un docente accademico e non si è mai risparmiato di criticare la società Giapponese. Quale pensa sia stato l’impatto delle sue opere, che hanno raggiunto moltissime persone, sulla società?

Una premessa: io ho la libertà di poter pubblicare le mie opere, ma non posso pubblicarne tante o riceverei troppe critiche, e allo stesso tempo non posso pubblicare poche altrimenti non avrei da vivere, quindi cerco di tenermi nel mezzo (dice ridendo). Sono fortunato che tanti appassionati mi aiutino, ma se dovessi diventare mainstream non potrei continuare con quello che scrivo. Per fortuna tra collezionisti e mostre mi posso mantenere senza fare troppo fumo.

Riguardo a No Longer Human (da noi noto come Lo Squalificato), come è stato riportare in un manga un dialogo che avviene tutto nella mente del protagonista?

Quando ho letto per la prima volta il romanzo mi è venuta in mente l’ultima scena con il protagonista al quale appaiono tutte le fantasie e nella mia testa si sono manifestate tutte queste immagini. Il primo impatto e quindi stata l’ultima scena e da lì ho iniziato a scrivere tutto il resto. Trasponendo il tutto in una situazione più attuale ho pensato di facilitare il lettore a immedesimarsi nella narrazione e trasmettere al meglio il particolare stato d’animo del protagonista.

Si è ispirato a qualcosa di specifico nella creazione di La musica di Marie? E quali erano le sue idee prima di iniziarlo?

Come nel caso precedente, quando butto giù una storia le immagini arrivano spesso e volentieri direttamente alla mia mente. Anche in questo caso, con una sorta di idea meccanica che gira attorno al globo terrestre, l’immagine è nata allo stesso modo; successivamente ho visto questa dea meccanica che inizia a rovinarsi e perdere dei pezzi, fino a quando non crolla tutto. Poi ho avuto l’idea di un ragazzo devoto a questa divinità, come in una religione, e quindi è nato il conflitto tra tecnologia e fede, che mi ha aiutato a sviluppare la storia che c’è dietro. Sia in Lo Squalificato che in La musica di Marie ho ottenuto prima l’immagine, e poi ho pensato a come fare per arrivare a quella scena.

C’è una melodia particolare che aveva in mente all’interno del manga di La musica di Marie? E quale tipo di musica ascolta lei?

Non c’era nulla di specifico, ma mentre disegnavo immaginavo qualcosa simile a un carillon. Non ascolto un tipo di musica in particolare, ma alla domanda mi è venuto in mente Ryuichi Sakamoto, un’autore che ascolto da sempre.

Anche Junji Ito ha fatto la sua versione di Lo Squalificato, c’è stata una competizione fra voi?

Non ho mai letto la sua versione, però ho visto il film di Mika Ninagawa (anche quest’ultimo si rifà all’opera di Osamu Dazai).

Nei suoi manga il mondo interiore e quello reale si mescolano tra loro, e le emozioni sono continuamente protagoniste dei suoi volumi. Dove trae la sua ispirazione? E come fa a renderle tangibili nel disegno?

Non tutte le mie opere trattano questi argomenti, ma quando accade cerco sempre di invitare il lettore nel mio mondo fantasy che non esiste in quello reale; questa è la sfida per le storie che creo. Inoltre adoro scegliere un tema dove è difficile offrire una risposta: per esempio un insegnante di una scuola superiore che decide di essere ucciso da una sua alunna, insomma, mi piace raccontare qualcosa che sia quasi impossibile; prima arriva l’idea e poi scavo io terreno per giustificare la storia. In ogni caso mi sforzo di inserire problemi legati alla società attuale per rendere il tutto più realistico, così oltre ad attribuire maggior valore e significato alla narrazione riesco a rendere più comprensibile quello che voglio trasmettere. Mi rendo conto che è difficile spiegare a parole il mio modo di fare, ma è così.

Inizialmente lei scriveva scriveva 4-koma (yonkoma, il formato a strisce con quattro vignette) poi è passato alla disposizione classica dei manga. C’è stato qualche problema, perché questo cambiamento?

Nei primi tempi lavoravo a colori, poi pian piano ho iniziato a pubblicare su Shonen Jump e quindi ho dovuto seguire il formato tipico dei manga giapponesi. Sono orgoglioso di essere stato il primo autore di manga che nascendo da Garo (rivista underground giapponese specializzata in titoli alternativi e d’avanguardia) è riuscito ad approdare su Jump. Quando è iniziata la pubblicazione mensile c’era ovunque la pubblicità della mia opera (viene messa in copertina) e tutti i miei lettori di Garo ne erano rimasti davvero sorpresi. Con il cambio di rivista la tecnica delle mie tavole è cambiata di conseguenza, pertanto ho avuto l’esigenza di seguire la scuola “standard” per i manga.

E gli editor della rivista l’hanno aiutato in questo passaggio?

In Europa sono molto apprezzato per le storie che ho pubblicato su Garo, ma in Giappone mi conoscono principalmente per quello che ho portato su Jump. I fan comunque mi sostengono su entrambe le riviste: i lettori dell’underground sono un mercato piccolo e quindi hanno poco impatto sui miei guadagni, per questo devo saper bilanciare con il lavoro svolto per Shonen Jump. Nei periodi in cui lavoravo molto praticamente pubblicavo su quest’ultima per vivere, mentre per il mercato underground mi occupavo di ciò che volevo creare veramente. Ero felice, ma con 80 tavole al mese non stavo benissimo di salute.

Il suo stile è inimitabile e si notano varie influenze classiche e surrealiste. Il cinema l’ha influenzata? Sia per quanto riguarda lo stile che per i soggetti?

Non ho film o registi che reputo particolarmente importanti per me. Ho seguito però la serie televisiva basata sui racconti di Yamazaki, che adoro perché tratta argomenti interiori. Le sue opere sono state trasposte da più registi, ma ho seguito con piacere il telefilm che hanno creato. Se devo scegliere un genere preferisco guardare i documentari che trattano di cose realmente accadute: per esempio, negli anni ’70 anche in Giappone c’erano molti gruppi terroristici, e uno di questi aveva sequestrato una villa in montagna; c’erano anche molte faide interne e capitava che le varie fazioni si colpissero a vicenda; il documentario su queste storie mi aveva molto colpito. Allo stesso per quello che raccontava una vicenda accaduta negli anni ’70, quando c’erano tanti movimenti universitari: quella di Tokyo è la migliore in Giappone e serve superare un severo esame d’ingresso, per questo quando uno lo passa tutti credono che sia intelligente; alcuni studenti avevano creato un gruppo di finanziamento e una società grazie a questa fama, ma finirono comunque tutti in rovina a causa di investimenti sbagliati. Questo genere di documentari mi piacciono molto, perché mi riempiono di idee.

Quale è tra le sue opere quella che preferisce?

Quella appena uscita per Coconino (Garden), una delle mie prime opere. E poi potrei dire La crociata degli innocenti, anche se (spoiler) alla fine muoiono tutti.

Quale è stato il suo primo approccio ai manga? e cosa disegnava?

Da piccolo disegnavo molte cose. Ho un ricordo, in terza elementare, quando ho scoperto l’esistenza dell’ombra: a quel punto ho realizzato un volto umano, da una parte normale e dall’altra ombreggiandolo con l’acquarello. Sembra reale, tridimensionale, e credo che quello sia stato il mio primo cambiamento nel disegnare.

Scrittore per passione, dopo aver scoperto la pozione che preserva i capelli e l’anima, la usa su di sé per terminare il dottorato in ingegneria ambientale. Utilizzando la magia infusa nelle parole tenta da anni di convertire gli eretici alla cultura giapponese. Adora il metal, i videogiochi, manga e fumetti, l leggende celtiche, e tutto ciò che si può fare mangiando cioccolata all’ombra di una montagna.

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