Il terzo capitolo della famosa saga horror Yomawari, ovvero Yomawari: Lost in the Dark sarà pronto a turbarvi da questo 28 ottobre su PlayStation 4, Nintendo Switch e PC tramite Steam. Nel titolo impersoneremo una giovane ragazza ormai afflitta da una grave maledizione, senza alcun ricordo su come l’abbia contratta. L’ultima cosa che ricorda è esser salita sul tetto della propria scuola al tramonto.
Grazie all’aiuto di una misteriosa donna, verrà a conoscenza dell’unico modo per spezzare la maledizione: ricordare le cose importanti che ha dimenticato. È così che parte la nostra storia, con la giovane protagonista che si avventura di notte nelle misteriose e inquietanti strade della sua città. Il gioco si presenta come un survival horror tipico della tradizione giapponese, con l’impossibilità di avere uno scontro contro i mostri che ci perseguitano oltre che profonde radici che affondano nel folklore giapponese e le sue leggende sui demoniaci Yōkai.
- Titolo: Yomawari: Lost in the Dark
- Piattaforma: PlayStation 4, Nintendo Switch, PC / Steam
- Versione analizzata: PlayStation 4 (EU)
- Genere: Horror
- Giocatori: 1
- Publisher: NIS America
- Sviluppatore: Nippon Ichi Software
- Lingua: Inglese (testi)
- Data di uscita: 28 0tt0bre 2022
- Disponibilità: retail, digital delivery
- DLC: nessuno
- Note: già disponibile in Giappone dal 21 aprile 2022
Abbiamo recensito Yomawari: Lost in the Dark con un codice PlayStation 4 fornitoci gratuitamente da NIS America tramite PLAION.
Chiudi gli occhi e conta fino a tre
Il gameplay del gioco si rivela essere molto essenziale: le uniche azioni che potremo compiere saranno correre, chiudere gli occhi, sollevare determinati oggi relativi alle missioni, lanciare ciottoli oppure illuminare il cammino con la nostra torcia. Come nei capitoli precedenti del franchise, vi ritroveremo una torcia a “pile infinite”, grazie alla quale potremo scorgere gli spiriti maligni altrimenti invisibili. Questa volta però, a differenza degli episodi usciti in precedenza, non avremo la possibilità di nasconderci dietro a un cespuglio o un cartellone, ma dovremo chiudere gli occhi e orientarci al buio, seguendo l’unico rumore possibile che può farci da guida: il battito cardiaco. È proprio questa novità in termini di gameplay a rendere il titolo diverso dai suoi predecessori. Quando la nostra protagonista si troverà in pericolo o troppo vicina a delle entità che ne hanno avvertito la presenza, il suo battito cardiaco accelererà, avvertendola dell’imminente pericolo. A questo punto possiamo fuggire o chiudere i nostri occhi, ritrovandoci al buio e con visibile solo una minima area attorno al nostro personaggio. Qui sarà visibile il nostro battito cardiaco come una leggera sfumatura rossa, come anche quello delle altre entità, aiutando a orientare il protagonista per allontanarsi dal pericolo.
Anche l’interfaccia utente, come nei precedenti giochi, è ridotta al minimo per fornire un HUD più pulito possibile. È infatti presente solo la barra della resistenza che diminuisce durante la corsa, e che scenderà sempre più velocemente man mano che uno spirito si avvicinerà a noi, evitando quindi la facile fuga ad ogni nostro incontro. Ogni creatura ha però un suo tipo di movimento specifico, aumentando significativamente la varietà dell’esperienza.
Aspettami, prendo i colori e l’album da disegno
Il gioco presenta un menù di gioco diviso semplicemente in tre diverse sezioni: mappa, cose da fare e oggetti raccolti. La mappa, come nei precedenti titoli della saga Yomawari, è disegnata con dei pastelli dalla nostra protagonista, ma questa volta in modo molto più accurato, rappresentando ogni singola via o scorciatoia attraversabile. All’inizio del gioco la cartina sarà vuota, così da essere disegnata man mano che proseguiamo nell’esplorazione. Inoltre, sparse per la città, potremo trovare dei cartelli con la mappa specifica della zona, dove verranno riportati luoghi fondamentali per lo sviluppo della trama, come la scuola o il distretto residenziale. Purtroppo questi luoghi non vengono segnati dalla protagonista finché non ci mettiamo piede, rendendo spesso necessario il ritorno ai cartelli sparsi per la mappa per potersi orientare correttamente. Anche in questo nuovo capitolo di Yomawari, per rendere più rapido e meno rischioso il percorso tra una zona e l’altra, sulla mappa sono disseminati dei piccoli altari dedicati al Buddha Kṣitigarbha (o Jizo, come viene chiamato in Giappone), dove sarà possibile creare un checkpoint in cambio di una monetina da 10 yen, trovabili per terra in quantità abbastanza abbondanti (ne potremo portare però solo un massimo di dieci alla volta con noi). In caso di morte rinasceremo davanti all’ultima statua visitata oppure accanto all’ultima zona esplorata se ci troviamo all’interno di un edificio chiuso. Inoltre, per non rendere troppo frustrante l’esperienza, come negli altri titoli potremo effettuare un viaggio rapido verso qualunque altra statua già visitata.
Sempre con uno stile molto “innocente” e “infantile” troveremo anche il menu inerente agli obiettivi da svolgere. Nel gioco dovremo ritrovare le sette memorie perdute dalla protagonista e ognuna di loro è rappresentata con uno sticker nel suo quaderno che, se consultato, ci aggiornerà con i progressi svolti verso la ricerca di quella determinata memoria. Infine, come visto anche in Yomawari: Night Alone, avremo a nostra disposizione una sorta di inventario dove conserveremo tutti gli oggetti trovati nel corso della nostra avventura, che siano semplici oggetti collezionabili, note o persino oggetti utili per risolvere i vari enigmi sparsi per il corso dell’avventura.
Hey, guarda che io ci sto provando sul serio!
Il titolo ha una durata di circa dieci ore e se l’esplorazione di per sé non è molto complicata, non possiamo dire lo stesso delle varie “fughe” dai mostri o le sfide contro i vari boss di fine livello. Se infatti, come anticipato nei paragrafi più sopra, non è possibile combattere contro le varie entità maligne (tranne in rarissimi casi), la fine di ogni “memoria” sarà sempre caratterizzata da un particolare scontro con una sorta di boss, nel quale dovremo fuggire costantemente dal nemico mentre cerchiamo di risolvere velocemente il “quadro” della situazione. Il problema si presenta nel momento in cui anche la più che minima distrazione può portare il giocatore a uno sbaglio, costringendolo così a dover ripetere dall’inizio lo scontro finale, rendendo alla lunga frustrante e pesante uno scontro che dovrebbe essere meglio bilanciato. Il giocatore si vede costretto così a tornare “all’epoca cabinato”, dove l’unico trucco per superare l’ostacolo, e non morire in continuazione, era affidarsi alla memorizzazione del quadro di gioco. Con tanta pazienza saremo quindi chiamati a imparare ogni singolo attacco, posizione, mossa, variante, del boss pur di non morire ancora e ancora.
Una giovane ragazza si risveglia in una foresta oscura e sconosciuta senza ricordare come ci sia arrivata. Mentre cerca una via d’uscita, incontra un misterioso individuo che le rivela di essere stata maledetta. Per spezzare la maledizione, ha bisogno di esplorare le strade della sua città nella notte alla ricerca dei suoi ricordi perduti. Tuttavia, fantasmi malevoli si nascondono nell’ombra e la ragazza deve evitarli correndo, nascondendosi e chiudendo gli occhi se spera di sopravvivere abbastanza a lungo da spezzare la sua maledizione.
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Orrore a portata di… orecchio
Yomawari: Lost in the Dark presenta una grafica rimodernata rispetto ai capitoli precedenti, con velocità nei caricamenti a dir poco impressionante. Il punto di forza è però il comparto sonoro, oltre a una colonna sonora suggestiva e capace di trasmettere ansia e angoscia al giocatore, il lavoro fatto sui suoni e gli effetti è a dir poco certosino. Come consigliato dagli sviluppatori (e anche da noi) il titolo da il meglio di sé quando giocato con cuffie (che potrete settare con parametri specifici per il gioco proprio prima di iniziare l’avventura), dove potremo sentire ogni singolo battito del cuore, ogni passo sulla neve o sul sangue, oltre che urla e pianti pronti a farvi drizzare un po’ i peli.
A chi consigliamo Yomawari: Lost in the Dark?
Yomawari: Lost in the Dark, rispetto a tantissime controparti horror sviluppate in occidente, è molto più accessibile ad un pubblico ampio e più “fifone”, con mostri ben caratterizzati, ma che spesso sembrano addolciti dalla mano di un bambino, con un aspetto colorato e bizzarro. Il titolo più che sull’ horror visivo punta infatti sull’horror psicologico, com’è possibile denotare anche dall’avviso iniziale “Nel caso in cui tu distolga lo sguardo dallo schermo durante il gioco, non siamo responsabili di ciò che potresti vedere” o le varie note sparse per il mondo della protagonista. Ciò non toglie che sia un validissimo esponente del suo genere, capace anche di giocare con i fan del franchise su tanti piccoli rimandi anche ai capitoli precedenti. A proposito di questo sottolineiamo come il titolo sia totalmente fruibile anche per chi non ha vissuto le avventure precedenti della saga. Ovviamente ci teniamo a specificare che, contrariamente a quanto detto finora, è fortemente sconsigliato a tutti coloro che potrebbero rimanere provati da tematiche come l’omicidio, il suicidio, il bullismo, l’abuso e l’abbandono. Il titolo non si risparmia su argomenti e tematiche che potrebbero turbare un pubblico altamente sensibile.
- Facilmente accessibile a un ampio pubblico
- Trama non scontata e intrigante
- Costante aria di folklore giapponese
- Fughe e sfide boss spesso troppo frustranti
- Poche novità rispetto ai capitoli precedenti
- Ambientazioni spesso ripetitive
Yomawari: Lost in the Dark
Un’esperienza horror alla portata di tutti
Yomawari: Lost in the Dark riesce a stupire il giocatore con una trama non scontata e intrigante fino alla fine. La componente horror non è proibitiva e lo rende un titolo accessibile alla maggior parte del pubblico. Peccando di meccaniche poco innovative e copiate dai capitoli precedenti, questo terzo capitolo della saga di Yomawari saprà comunque tenervi incollati allo schermo per tutta la durata della trama principale, ricordando non poco anche le fasi iniziali dell’avventura di Sen in “La città incantata” (a patto che abbiate la giusta pazienza nelle fasi più ardue!).