TEKKEN: BLOODLINE – Recensione

È disponibile su Netflix un nuovo anime basato sul picchiaduro di BANDAI NAMCO Entertainment, Tekken: Bloodline. La nostra recensione!

TEKKEN BLOODLINE – Recensione

Ai tempi in cui Street Fighter e Mortal Kombat erano ormai sinonimo di picchiaduro a incontri in tutto il mondo, e mentre Virtua Fighter cercava di ritagliarsi il suo spazio sul podio come primo esponente in tre dimensioni di questo genere, c’è stato un titolo che si è immediatamente conquistato un posto nel cuore dei giocatori, divenendo ben presto il fighting game per eccellenza per tutti coloro che sono cresciuti giocando con le console PlayStation. Parliamo di TEKKEN, la serie di NAMCO, poi divenuta — in seguito alla fusione con BandaiBANDAI NAMCO Entertainment, esordita nelle sale giochi e sulla prima console di casa Sony, la cui popolarità è esplosa ed è andata via via crescendo con il terzo capitolo. E proprio il terzo capitolo è oggetto della trasposizione animata proposta da Netflix al finire di questa estate, TEKKEN BLOODLINE, che vede per protagonista l’erede del sangue maledetto del clan Mishima.

L’anime, prodotto in Giappone dagli studi Studio Hibari e Larx Entertainment e scritto da Gavin Hignight, autore di LEGO Marvel Avengers e Transformers: Cyberverse, conta di sei episodi, disponibili tutti insieme su Netflix dal 18 agosto. In queste poche ore di animazione dipinge la storia che parte dall’addestramento di Jin Kazama, fino al termine del terzo torneo del King of Iron Fist indetto da suo nonno Heihachi con intenzioni tutt’altro che positive. Si sarà rivelato una trasposizione degna di attenzione?

TEKKEN: BLOODLINE – Recensione

  • Titolo originale: Tekken: Bloodline
  • Titolo italiano: Tekken: Bloodline
  • Uscita: 18 agosto 2022
  • Piattaforma: Netflix
  • Genere: Azione, combattimenti
  • Numero di episodi: 6
  • Durata: 25 minuti
  • Studio di animazione: Larx Entertainment, Studio Hibari
  • Adattato da: videogiochi di BANDAI NAMCO Entertainment
  • Lingua: Italiano, Inglese o Giapponese (doppiaggio), Italiano (sottotitoli)

Abbiamo recensito Tekken: Bloodline tramite streaming su Netflix.

Tekken: Bloodline comincia mostrandoci una porzione di storia di cui i fan del picchiaduro erano già a conoscenza, ma che non era mai stata mostrata in via ufficiale nei giochi. I giorni in cui il giovane Jin viveva isolato, ma felice a Yakushima, insieme a sua madre, Jun Kazama. Nei pressi della loro abitazione, Jun addestrava suo figlio allo stile di karate difensivo Kazama, crescendolo con un animo gentile e raccomandandogli di evitare lo scontro, quando possibile. Assalito da alcuni bulli, infatti, Jin sfodera le sue possenti doti nel combattimento, finendo per ferire i malcapitati. A causa di questo suo comportamento, tuttavia, finisce per attirare l’attenzione di Ogre, un demone che sta prendendo di mira i più forti lottatori del mondo. Nel tentativo di proteggere il suo giovane figlio, Jun ingaggia Ogre in battaglia, finendo col perdere la vita.

Ogre

Oltre ai Kazama, nel mirino di Ogre sono già finiti Baek Doo San, Wang Jinrei, il King originale e probabilmente anche Lee Chaolan, e Jin, sempre più desideroso di vendicare la morte della propria madre, si impegnerà anima e corpo nel crudele addestramento messo in moto da suo nonno, dal quale si è recato seguendo l’ultimo consiglio di Jun. Nei primi due episodi assisteremo alla crescita fisica e spirituale del giovane Kazama, che nell’arco di quattro anni riuscirà a padroneggiare lo stile Mishima e rivaleggiare alla pari con Heihachi, stringendo, bene o male, amicizia con la giovane Ling Xiaoyu e con il suo amico e rivale Hwoarang. Nel resto degli episodi che compongono la serie, sei in totale, vedremo Jin volare in direzione dell’arena del torneo, dove lo attendono tanti volti noti per gli appassionati della serie di giochi di BANDAI NAMCO Entertainment, desiderosi di aggiudicarsi il primo posto per i motivi più disparati: chi desidera vendicare la scomparsa della propria famiglia, chi per ottenere il premio in denaro che gli servirà per nobili fini.

TEKKEN: BLOODLINE – Recensione

Di chi sono gli occhi che ti scrutano dal buio?

A partecipare alla terza edizione del King of Iron Fist Tournament non troveremo solo personaggi comparsi originariamente in Tekken 3, bensì anche guerrieri presenti negli episodi successivi, persino nei DLC del settimo capitolo, come Leroy Smith. Personaggi storici come Julia Chang appaiono con il look di Tekken 7, mentre alcuni grandi assenti come Eddy, Bryan e Forrest Law sono stati sostituiti da personaggi come Feng Wei, Craig Murdok, Steve Fox e Marshall Law, che purtroppo giocano unicamente il ruolo di comparse in pochissimi fotogrammi. Tra i personaggi con il maggior screenplay, oltre ai protagonisti, troviamo i già citati Hwoarang e Xiaoyu, ma anche Paul Phoenix, Nina Williams, Julia e King, mentre a personaggi come Ganryu e il Doctor Bosconovitch sono stati affidati ruoli secondari al di fuori del torneo.

Tuttavia, nonostante nel cast abbiano trovato posto così tanti personaggi, tra i più gravi difetti di Tekken: Bloodline c’è proprio lo scarsissimo approfondimento dei comprimari: oltre a Jin, sua madre Jun e Heihachi, ciascun personaggio conta davvero di pochissimi dialoghi, nei quali vengono svelati solo brevi retroscena sul loro passato e sulle motivazioni che li spingono a lottare nel torneo. Gran parte di essi, inoltre, compaiono solo nella cerimonia di inaugurazione, per poi scomparire, sconfitti, senza essere neppure menzionati o prendere parte al finale. Certamente qualche episodio in più avrebbe concesso una narrazione più distesa che avrebbe regalato maggior spazio anche ai guerrieri che in qualche modo lottano al fianco di Jin, come Hwoarang e Paul — di cui a conti fatti ci viene detto davvero poco all’interno di questa serie.

Al contrario, uno dei maggiori punti di forza della serie anime di Tekken: Bloodline risiede nei feroci combattimenti. Mentre le scene in cui i personaggi dialogano fra loro sono realizzati in animazione tradizionale, gli scontri sono stati plasmati in CGI, con la tecnica del cel shading e probabilmente con l’ausilio del motion capture. Gli animatori sono stati molto attenti a ricreare le tecniche di lotta più caratteristiche dei giochi, amalgamandole perfettamente nel flusso dei combattimenti e rendendole ancora più entusiasmanti con l’aggiunta delle iconiche esplosioni ed effetti di luce che accompagnano ogni colpo. Il climax di ciascun duello, inoltre, è stato messo in evidenza da splendide porzioni animate in bianco e nero, quasi a richiamare le tavole di un manga.

Il gene del diavolo

Il team creativo si è preso diverse altre libertà in termini di trama, ad esempio la natura del tatuaggio di Jin che — apparentemente — non è più riconducibile al gene del diavolo, o l’età dimostrata da Kazuya in alcuni flashback dei precedenti tornei, decisamente più vecchio di come appariva nei primi due giochi. Includendo anche diversi flashback, in sei episodi sono riusciti a coprire l’intero torneo, mostrandoci però solo alcuni dei combattimenti più importanti ed escludendo gran parte di quelli dei personaggi secondari, mettendo in evidenza il cammino di Jin contro avversari sempre più temibili e ritagliando solo un paio di combattimenti per quelli che possiamo definire i suoi amici.

TEKKEN: BLOODLINE – Recensione

Nonostante questi tagli, il risultato è più che sufficiente e persino il character design, che inizialmente non avevamo giudicato in maniera positiva, è stato in grado di conquistarci, fatta eccezione per lo stile con il quale sono stati ritratti alcuni personaggi (e sto pensando proprio a Paul e al suo sguardo da pesce lesso). L’unica cosa che proprio non si riesce a digerire è la tecnica di ombreggiatura che caratterizza ciascuno degli attori sullo schermo, che non può che catturare l’attenzione per la sua bizzarra forma triangolare, a volte persino distraendoci dagli avvenimenti che scorrono davanti ai nostri occhi. Ma come gli è venuto in mente di approvare una simile scelta?

Kyoufu wo oshiete yarou

La serie è disponibile su Netflix con il doppiaggio italiano curato da Simone Marzola, che vede il bravissimo Ezio Vivolo nei panni del protagonista Jin Kazama, Luca Graziani nei panni del perfido Heihachi e un veterano della nuova generazione come Diego Baldoin nel ruolo dell’altrettanto esperto Paul Phoenix. Il doppiaggio italiano è davvero buono nel complesso, con un’ottima pronuncia per i nomi di ogni etnia e la giusta enfasi nei combattimenti. Peccato che, negli urli più potenti, si riconosca invece l’audio anglofono, che in molte occasioni non è stato ridoppiato dalle voci italiane. Nel doppiaggio giapponese possiamo invece riconoscere alcuni degli attori più iconici che hanno prestato la voce a Jin e soci nei videogiochi — quelli di etnia giapponese, dato che nei giochi originali ciascuno dei personaggi parla la propria lingua di origine, e per questo motivo sono stati scelti doppiatori madrelingua di ciascun paese da cui provengono.

TEKKEN: BLOODLINE – Recensione

Per quanto concerne la colonna sonora composta da Rei Kondoh (Okami, Bayonetta, Fire Emblem), ci troviamo di fronte a pezzi davvero buoni e adatti alle atmosfere dell’opera originale, per quanto le sigle di apertura e chiusura lascino un po’ a desiderare. Avremmo certamente preferito brani cantati da gruppi giapponesi, come coldrain, THE ORAL CIGARETTES oppure Fear, and Loathing in Las Vegas, il cui sound, secondo il nostro parere, si sarebbe potuto adattare perfettamente alla serie. Possiamo solo riporre le speranze in un’eventuale seconda stagione.

A chi consigliamo Tekken: Bloodline?

Gli appassionati di Tekken, anche solo quelli che ricordano nostalgicamente il terzo capitolo, si troveranno a agio con questo adattamento animato, fedele in buona parte agli avvenimenti e alla caratterizzazione dei personaggi originali, almeno per quanto riguarda i protagonisti. Un anime di combattimenti e arti marziali che saprà conquistare anche chi di Tekken non ha mai sentito parlare e che magari sulla medesima piattaforma streaming ha potuto apprezzare anime come BAKI HANMA e KENGAN ASHURA. Tuttavia, chi cerca una serie in grado di intrattenere per più tempo di quanto possa fare un film (dato che complessivamente Bloodline dura circa 150 minuti), che non sia per forza l’adattamento di un videogioco, farebbe bene a considerare i due anime appena citati.

  • Tecniche di combattimento che richiamano quelle originali
  • Character design moderno e accattivante
  • Colonna sonora in linea con i giochi
  • Scontri appassionanti e ricchi di enfasi

  • Le disastrose ombre triangolari
  • Personaggi secondari appena accennati
  • Alcuni volti iconici sono del tutto assenti in favore di personaggi più recenti
  • È un po’ troppo affrettato e non approfondisce quanto avrebbe dovuto
Tekken: Bloodline
3.8

Nel bene o nel male, il miglior adattamento di Tekken sul mercato

Non sono pochi i prodotti scaturiti dal franchise del Re del Pugno di Ferro. Come dimenticare i terribili adattamenti live action, il mediocre film in CGI Blood Vengeance o ancora il vecchio OVA datato 1997. Forse nessuno di questi ha saputo cogliere così bene l’essenza dei giochi come invece è riuscito a fare Tekken: Bloodline che, sebbene abbia difetti come una durata fin troppo risicata, uno scarso approfondimento dei personaggi secondari e grossi problemi di ombreggiature, ha saputo stregare i fan dell’opera da cui deriva con splendide inquadrature e combattimenti, nonché tocchi di classe come le medesime tecniche presenti nei giochi, gli effetti che accompagnano i colpi, le schermate che annunciano i contendenti di ogni incontro e tanti piccoli dettagli. Purtroppo la storia di Jin, condensata in soli sei episodi, ci lascia un po’ a bocca asciutta con il suo finale abbastanza affrettato, e possiamo solo augurarci che Netflix decida di rinnovare la serie per una seconda stagione, che magari possa narrarci nel dettaglio la storia di Kazuya nei primi due tornei, prima di gettarci a capofitto nel quarto.

Trent’anni passati a inseguire il sogno giapponese, fra un episodio di Gundam e un match a Street Fighter II. Adora giocare su console e nelle sale giochi di Ikebukuro che ormai, per quanto lontana, considera una seconda casa.

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