Shonen, shojo, seinen, josei. Termini che anche un lettore di manga occasionale avrà sentito almeno una volta nella sua vita. Ma che cosa significano? Prima di spiegarlo, partiamo dalle basi. Se non siete a conoscenza delle modalità con cui i manga vengono pubblicati in Giappone, vi basti sapere che nella terra del Sol Levante i fumetti non escono (quasi) mai sul mercato direttamente nei volumi monografici – i cosiddetti tankobon – ma trovano il loro primo sbocco all’interno di riviste periodiche. Che siano a cadenza settimanale come la famosissima Weekly Shonen Jump dell’editore Shueisha, mensile, bimestrale o irregolare, queste riviste sono i contenitori dei capitoli di tutti i fumetti seriali pubblicati in Giappone. Capitoli che generalmente, dopo qualche mese, vengono raccolti nei volumi grazie ai quali i manga sono giunti anche all’estero, Italia inclusa. Visto che i giapponesi provano davvero gusto a categorizzare qualsiasi cosa, una delle particolarità di queste riviste è quella di essere classificate in base al pubblico a cui si rivolgono. Ecco quindi che esistono riviste shonen, seinen, shojo e josei.
I target giapponesi
Cosa rappresentano nello specifico questi target? Esaminiamo nel dettaglio quelli più diffusi e vediamo il loro significato:
- Shonen, sono i manga indirizzati a un pubblico maschile giovane, generalmente in età scolare, prima della maggiore età;
- Seinen, rivolti anch’essi al pubblico maschile, però stavolta quello più adulto, dalla maggiore età in su;
- Shojo, il corrispettivo dello shonen per il pubblico femminile, ovvero i manga indirizzati alle ragazze adolescenti;
- Josei, per i manga rivolti a donne e giovani adulte.
Abbiamo poi target “minori” come i kodomo, ovvero i prodotti destinati a un pubblico infantile (bambini e pre-adolescenti). Infine, le riviste giapponesi si possono suddividere anche in base all’argomento trattato – come nel caso di quelle yaoi e yuri o di quelle dedicate al pachinko – ma gran parte dei manga pubblicati nel mercato nipponico rientra nelle cinque categorie appena menzionate.
Vi sarà capitato sicuramente di sentire, in riferimento ad anime e manga, altri termini come spokon, isekai, mecha e così via. Per farla breve, queste espressioni si riferiscono al genere e al contenuto delle opere. Per esempio, gli spokon sono i fumetti a tema sportivo, mentre il termine isekai racchiude tutti quei manga, anime e light novel la cui storia comincia con il protagonista che viene trasportato/reincarnato in un mondo parallelo (di solito fantasy). Quello che voglio sottolineare in questo paragrafo è che il target e il genere di un manga non devono essere confusi tra loro. Il genere dipende dal contenuto e dal tipo di storia narrata, mentre il target è legato unicamente e indissolubilmente alla rivista dove il manga viene serializzato e al pubblico a cui si rivolge. Visto che spesso si tende a confondere i due termini, questa distinzione è fondamentale ed è alla base dell’analisi proposta in questo articolo.
La situazione in Italia
Questi target sono stati importati anche nel mercato dei manga in Italia, ma il modo con cui vengono utilizzati varia da editore a editore. Per esempio Panini Comics, con la sua etichetta Planet Manga, non ha mai avuto l’abitudine di specificare il target delle sue pubblicazioni seguendo la filosofia giapponese, preferendo piuttosto un’indicazione più generale del contenuto mediante una striscia colorata posta sulla copertina di ogni volume – per esempio, il verde indica un manga rivolto a un pubblico di tutte le età – e, nel caso di opere particolarmente forti, attraverso l’apposizione di un bollino recante la scritta “Consigliato a un pubblico maturo”. Gli altri due editori di manga più importanti del panorama italiano, Star Comics e J-POP, hanno invece l’abitudine, in molti loro volumi, di indicare il target prendendo in prestito la medesima terminologia giapponese: Star Comics lo colloca nella parte alta della costina, accompagnato da una stella di colore diverso a seconda della categoria, J-POP invece lo fa apparire direttamente in alto a destra sulla copertina.
Il problema sorge quando, pur usando lo stesso lessico, il target del manga viene modificato nella pubblicazione italiana. Da questo punto di vista, J-POP è l’editore che più di tutti si è preso le maggiori libertà di adattamento. Emblematico infatti il caso di Tokyo Ghoul (e del suo seguito Tokyo Ghoul:re), che riporta la dicitura “Shonen Manga” sulla copertina quando si tratta a tutti gli effetti di un seinen: entrambe le opere sono state serializzate su Weekly Young Jump, una delle riviste di punta dell’offerta di Shueisha per giovani adulti (lettori fra i 18 e i 25 anni). Ma gli esempi che suscitano senza dubbio più clamore sono quelli legati alla pubblicazione nel nostro paese delle opere di una delle autrici shojo più famose di sempre, Keiko Takemiya, una delle protagoniste, assieme alle sue colleghe del cosiddetto “Gruppo 24”, della rivoluzione dei manga per ragazze negli anni ’70. Il Poema del Vento e degli Alberi, considerato il primo yaoi della storia giapponese, e Verso la Terra, uno dei più bei shonen fantascientifici mai scritti, diventano così “Seinen Manga” nelle copertine delle rispettive edizioni italiane. È evidente la volontà dell’editore di non voler assolutamente seguire la classificazione originale dei manga in questione, usciti in un’epoca oramai lontana nel tempo, e di consigliarli anzi a un pubblico più adulto e maturo rispetto a quello per cui sono stati originariamente concepiti.
Un inutile abbellimento?
Ed ecco che ci si ricollega alla questione del rapporto fra target e contenuto. Le scelte dell’editore J-POP rappresentano quasi dei neologismi, poiché i termini presi in prestito dal giapponese vengono usati con un significato diverso rispetto alla loro accezione originale: laddove prima si faceva solo riferimento al target dell’opera, adesso si danno anche indicazioni sul suo contenuto. Non sarebbe il primo caso in cui un’espressione della lingua giapponese si ritrova ad assumere un significato differente nel nostro paese. Pensiamo al termine otaku, che in Italia (e in generale in Occidente) è privo di tutte le implicazioni negative che possiede in patria. Il punto però è che l’utilizzo della terminologia dei target giapponesi per informare anche sul loro contenuto può essere parecchio fuorviante.
Un esempio perfetto a sostegno di questa affermazione è Devilman di Go Nagai. Si tratta di uno shonen, in quanto serializzato fra il 1972 e il 1973 su una rivista per ragazzi, che però per temi, violenza e pessimismo non ha nulla da invidiare a opere dal tono più adulto e maturo. E di shonen dal contenuto violento ce ne sono a bizzeffe, pensiamo a Ken il Guerriero, L’Attacco dei Giganti, o al recentissimo Chainsaw Man. Vi sono poi, all’opposto, manga di grande successo come One-Punch Man e Kaguya-sama: Love Is War che, pur pubblicati su riviste seinen, possiedono le caratteristiche e i toni tipici di un manga per ragazzi.
Si potrebbe pensare che gli esempi sopra citati, che dimostrano la difficoltà nel catalogare i manga attraverso la sola indicazione del target, siano a favore della filosofia adottata da J-POP, cioè quella di utilizzare la stessa terminologia in uso in Giappone e di rielaborare, quando necessario, il target originale dell’opera. Eppure così facendo, invece di educare il pubblico su un aspetto caratteristico della cultura fumettistica del paese del Sol Levante, si semplifica e si impoverisce la proposta editoriale e si mette in mostra un pregiudizio nei confronti dei lettori, non ritenendoli in grado di apprezzare o interessarsi a un’opera qualora questa avesse delle caratteristiche diverse da quelle a cui sono abituati. In Italia non esiste la diffusione dei manga (e dei fumetti in generale) tramite riviste, e già questo dovrebbe far riflettere sull’utilizzo del vocabolario editoriale giapponese, vista la sua stretta dipendenza dal pubblico di ogni rivista. Un eventuale cambio del target nell’edizione italiana, inoltre, avrebbe pochi effetti sul lettore di manga occasionale, che molto probabilmente non comprende il vero significato di termini come shonen, seinen e via discorrendo, mentre potrebbe scontentare l’appassionato che, soprattutto se purista, storcerà inevitabilmente il naso di fronte alla mancanza di fedeltà verso l’opera originale.
Alla luce di queste considerazioni, gli editori di manga italiani dovrebbero quindi seguire due filosofie tra loro opposte, ma comunque valide, quando si tratta di indicare il target e il contenuto delle loro pubblicazioni:
- non fare alcun riferimento alla terminologia giapponese, e utilizzare a seconda delle necessità i metodi tipici del mercato occidentale, per esempio colori e simboli (come fa Panini Comics);
- adottare i termini usati per le riviste manga con la massima fedeltà possibile, senza cambiamenti nel passaggio dalla pubblicazione giapponese a quella italiana.
In questo modo, evitando le vie di mezzo poco chiare e troppo dipendenti dai singoli casi, si preserva il significato originale dei vocaboli giapponesi e si educa nel modo corretto il lettore, che dunque può approfondire e accrescere la propria cultura. In un periodo in cui anche i manga stanno trovando più spazio e diffusione all’interno delle librerie, diventando accessibili a un pubblico sempre maggiore, sarebbe meglio evitare qualsiasi tipo di disinformazione.
L’utilizzo dei target giapponesi nel mercato italiano dei manga è un ottimo modo per educare i lettori su un aspetto caratteristico della cultura fumettistica del paese del Sol Levante, e per arricchire la qualità e la fedeltà delle edizioni italiane. Tuttavia, come abbiamo visto, nel momento in cui si decide di cambiarli per necessità o di utilizzarli per dare anche un’indicazione sul contenuto delle opere proposte, si va inevitabilmente a semplificare e a impoverire la proposta editoriale, in una via di mezzo che non accontenta nessuno se non l’appassionato meno esigente e disposto a sorvolare su un utilizzo non propriamente corretto della terminologia adottata. In definitiva, i target dei manga hanno senso nel nostro paese, ma vanno gestiti nel modo giusto.
Federico
Trovo che la J-POP non confonde la mitologia giapponese e non fa perdere il significato ai manga. Come vediamo Tokyo Revengers è un opera ben sviluppata e piena di significato. Consiglio ai lettori e alle lettrici di leggere Tokyo Revengers perchè è un opera che ci insegna il valore della vita, dell’amicizia,di pensare al nostro futuro,di godersi i pochi momenti belli che la vita ci offre di goderli a pieno con le persone che si ama,e soprattutto di non giudicare una persona dall’apparenza. La gente da piccola puó aver avuto probelmi o mancanze di affetto dai propri genitori, o addirittura essere stati abbandonati da questi, e anche che la violenza è sbagliata e pericolosa se usata in modo avventato. Ringrazio Il Sensei Ken Wakui per averci regalato un serie di emozioni e di averci fatto ridere e piangere e farci riflettere sul valore della vita,della famiglia, degli amici e di tutto in generale. Questo è Tokyo Revengers.