Tra gli studi di animazione più discussi degli ultimi anni c′è sicuramente lo studio Trigger, fondato nel 2011 da Hiroyuki Imaishi e Masahiko Ohtsuka. I due, dopo essersi fatti le ossa in Gainax collaborando alla creazione di serie come Gurren Lagann e Panty & Stocking, hanno deciso di fondare il loro studio grazie al quale sono riusciti a realizzare anime di ottima fattura, primo fra tutti l′irriverente KILL la KILL.
L′ultimo progetto di Trigger è il mahō shojō Little Witch Academia, che affonda per la prima volta le sue radici nel 2013. Lo studio di animazione ha infatti creato un cortometraggio omonimo per l′Anime Mirai Project di quell′anno e, dopo un discreto successo di pubblico e una campagna Kickstarter, hanno creato un secondo cortometraggio nel 2015. Ed è in quel momento che è giunto Netflix che, dopo aver acquistato i diritti per distribuire i due film, ha deciso di finanziare una serie animate dedicate alle giovani streghette.
Per quanto la storia narrata in Little Witch Academia appartiene ad un unico arco narrativo, la divisione in due stagioni voluta da Netflix (in Giappone viene infatti considerata una serie unica ndr.) ha fatto in modo di avere nella prima parte un′introduzione generale a personaggi e ambientazione, mentre nella seconda troveremo diversi approfondimenti fino ad arrivare ad una conclusione. In questa recensione cercherò di raccontarvi le mie impressioni su una serie che fin dal primo episodio ha un sapore nostalgico e tradizionale.
Protagonista assoluta di Little Witch Academia è Atsuko Kagari, detta Akko, una giovane ragazza giapponese che sogna di poter imparare l′arte della magia e diventare una strega. Questa sua ambizione è nata il giorno in cui, da bambina, ha visto uno spettacolo della strega Shiny Chariot che grazie alle sue illusioni riusciva a rendere felici tutti i suoi spettatori. Per questo Akko ha deciso di iscriversi alla prestigiosa Luna Nova Magical Academy, accademia in cui le ragazze possono imparare a sfruttare il proprio potenziale magico e diventare così streghe a tutti gli effetti, sperando anche di poter incontrare la sua beniamina sparita ormai da anni.
Purtroppo però questo sogno sembra impossibile da realizzare per Akko, in quanto la protagonista è priva di conoscenze magiche e non riesce a compiere nemmeno gli incantesimi più basilari come ad esempio volare sulla scopa. Sarà proprio questa sua scarsa predisposizione alla magia che, già dal primo episodio, le farà incontrare quelle che poi diventeranno le sue amiche del cuore, Lotte Yanson e Sucy Manbavaran. Dopo un volo finito rovinosamente e una conseguente caduta, le tre finiscono nella misteriosa e proibita foresta di Arcturus dove Akko riuscirà a trovare lo Shiny Rod, scettro appartenuto proprio a Chariot.
L′incapacità e allo stesso tempo la tenacia di Akko nel voler diventare una strega sarà uno dei punti cardinali della serie. La ragazza in un modo o nell′altro riuscirà infatti a far colpo dapprima sulla professoressa Ursula, che deciderà di seguirla e aiutarla negli studi, poi su altre studentesse dell′accademia come Amanda, Constanze e Jasminka che diventeranno sue amiche. Nell′istituto avrà modo di fronteggiarsi anche con Diana Cavendish, la migliore studentessa di Luna Nova che verrà considerata dalla protagonista una vera e propria rivale. Con l′avanzare della serie faremo la conoscenza anche di altri personaggi come Andrew, giovane conte che nutre un forte pregiudizio nei confronti delle streghe, e la professoressa Croix, che intende modernizzare la magia grazie alla tecnologia.
La tematica principale, nonché uno dei messaggi che vengono trasmessi in Little Witch Academia è quello di seguire le proprie ambizioni, a volte anche un po′ stupidamente e testardamente perché “la vera magia è quella di credere in se stessi”, motto recitato più volte nel corso della serie dalla protagonista. Ci discostiamo quindi dai precedenti lavori dello studio Trigger, dove erano presenti delle trame con un background decisamente più cupo, per una serie dai toni apparentemente più leggeri ma che allo stesso tempo mantiene la voglia dello studio di animazione di ispirare i propri spettato a superare i propri limiti. Ovviamente non può mancare un altro tratto distintivo dello studio, l′ironia e la comicità. Oltre alle azioni dai risultati spesso tragicomici svolte da Akko, sarà Sucy la vera e propria spalla comica della serie grazie ai suoi modi sarcastici e al fatto che per lei la protagonista più che un′amica è una vera e propria cavia per i suoi esperimenti.
A capo del progetto troviamo Yō Yoshinari, mente creativa che ha partorito il concept della serie, creato i suoi personaggi e supervisionato le animazioni mentre la stesura della sceneggiatura è ad opera di Masahiko Otsuka. Il lavoro svolto dal direttore è stato certosino, non solo nel creare una serie di altissima qualità, ma anche nel riportare in vita il genere mahō shojō nella sua definizione più tradizionale. Nonostante nella serie siano presenti numerosi combattimenti, specialmente nelle battute finali, le protagoniste di Little Witch Academia non sono delle eroine che utilizzano i loro poteri per sconfiggere un nemico che minaccia l′umanità, ma sono alle prese con problemi quotidiani come migliorare le proprie capacità e relazionarsi con gli altri.
Questo fa si che la serie si avvicini di più alle prime iterazioni del genere mahō shojō come ad esempio i lavori dello studio Pierrot, primo fra tutti Mahō no sutā majikaru Emi (o “Magica Emi”). È infatti innegabile fare una similitudine tra le due protagoniste, Mai sogna di diventare un abile prestigiatrice per divertire le persone e ci riesce grazie alla magia e allo stesso tempo Akko vuole imparare ad utilizzare la magia per essere come Chariot e portare la gioia nel cuore delle persone. Un altro paragone con una serie classica è senza dubbio quello con Majokko Megu-chan (o “Bia, la sfida della magia”) il rapporto di amicizia/rivalità tra Akko e Diana ricorda tantissimo quello tra Bia e Noa.
Yoshinari ha inoltre cosparso Little Witch Academia di citazioni più o meno evidenti non solo ai suoi lavori precedenti, ma anche a tantissime opere che hanno a che fare con il mondo della magia. Gli spettatori più attenti non si saranno infatti lasciati sfuggire il fatto che tra i copricapi delle Nine Olde Witches, che possiamo vedere all’interno dell′ufficio della direttrice Holbrooke, troviamo la maschera di Scarlet Witch della MARVEL o il cappello di Bandora, storica nemica dei Super Sentai conosciuta in Italia come Rita Repulsa. O che il robot costruito in fretta e furia da Constanze dopo suggerimento di Akko ricordi fin troppo vagamente un certo mecha dotato di trivella…
A chiudere il trittico di membri dello staff che hanno contribuito alla creazione della serie troviamo Michiru Ōshima, compositrice responsabile delle splendide melodie che ci accompagneranno nel corso delle puntate. Sono inoltre presenti due coppie di sigle, nel primo arco narrativo avremo come opening “Shiny Ray” di YURiKA e come ending “Hoshi o Tadoreba” di Yuiko Ōhara, mentre nel secondo arco narrativo la opening sarà “Mind Conductor” di YURiKA e la ending invece “Tōmei na Tsubasa” di Yuiko Ōhara. Grazie a Netflix inoltre potremo scegliere se guardare la serie sia in lingua originale o in italiano, grazie al doppiaggio a cura dello studio Dream & Dream.
La rinascita delle streghe
Sin dall′uscita dei due cortometraggi animati sono rimasto estremamente affascinato dal mondo di Little Witch Academia, non solo per l′ottimo lavoro svolto dallo studio Trigger ma anche per quel sentore di nostalgia che trasmetteva. Con l′arrivo della serie Netflix, che svolge una sorta di reboot eliminando gli eventi visti nei cortometraggi, ho avuto la conferma che Yō Yoshinari è riuscito a scavare fino alle radici del genere mahō shojō e dargli nuovamente vita. Nonostante la serie sia autoconclusiva lascia comunque spazio ad una possibile continuazione, grazie ai tantissimi personaggi di cui ancora si sa poco e nulla come Jasminka o la stessa Akko, di cui non è stata mai mostrata la famiglia. L’unica pecca che ho riscontrato è il doppiaggio italiano, ma solamente per il fatto che avendo seguito la serie in lingua originale ho avuto difficoltà ad abituarmi al cambio di voce dei personaggi (once you go weaboo…).
Un’ottima serie