Mai lasciarsi ingannare dalle apparenze. Ci sono opere letterarie o visive che affascinano, ammaliando lo sguardo e la mente in un vortice di sospensione psicologica quasi incomprensibile. Ci sono invece opere che ripugnano, ci terrorizzano talmente tanto da cercare di rifuggirne, prima di cadere inconsapevolmente nel baratro dell’orrore. Altre volte ancora, ci possiamo trovare di fronte a qualcosa che destabilizza lo sguardo e la psiche, puntando proprio sul contrasto visivo e concettuale che, chissà come mai, non smette di attirare come una calamita l’attenzione e la percezione del lettore o dello spettatore. In quest’ultima categoria possiamo inserire un manga che ha destabilizzato, almeno per chi scrive, la concezione classica di kawaii giapponese: Made in Abyss di Akihito Tsukushi si configura come un’opera che basa le sue fondamenta su un dualismo visivo e concettuale tra “carino” e macabro.
Opere di questo tipo sono sempre esistite e sempre esisteranno nel variegato panorama nipponico, ma questo titolo in particolare si configura come esemplificativo per dimostrare un concetto filosofico che può essere declinato perfettamente per affrontare la tematica di fondo di quest’opera. Il concetto di “perturbante” freudiano, infatti, si mostra aderente ai canoni e alle tematiche affrontati in Made in Abyss da Akihito Tsukushi, presentandosi come metafora concettuale di quello che il mangaka ama ricreare sulle tavole del suo fumetto. Ma andiamo con ordine: Made in Abyss è un manga pubblicato inizialmente sul sito Manga Life Win di Takeshobo nel 2012 e che ha assistito ad una trasposizione animata nel 2017, che a partire dallo scorso luglio, è stata resa disponibile sulla piattaforma streaming Netflix. Il manga, invece, è pubblicato in Italia da J-POP.
La vicenda si svolge alle pendici di un’enorme voragine chiamata da tutti “L’Abisso”, a indicare la sua incalcolata profondità, dove risiedono esseri misteriosi e manufatti probabilmente appartenenti ad una antica civiltà. Riko è una bambina molto intraprendente, il cui sogno è quello di esplorare le profondità dell’Abisso per cercare sua mamma, Leiza, che si dice essere riuscita a raggiungere la fine della misteriosa voragine. Tutto cambia quando trova quello che sembra un antico manufatto proveniente dall’Abisso, ma che sembra a tutti gli effetti un bambino reale: Riko lo soprannominerà Reg, ed insieme a lui deciderà di esplorare l’ignoto. Ma antichi misteri riemergono dal profondo, e per i bambini inizieranno una serie di peripezie che metteranno in pericolo la loro stessa vita…
La narrazione si configura come aderente alla concezione del perturbante in quanto rappresentazione di una dimensione basata sull’ambivalenza di forme, che generano sconvolgimento emotivo e psichico. In senso lato, il perturbante non si genera quando abbiamo a che fare con elementi puramente orrorifici, ma nel momento in cui si fa esperienza di elementi piacevoli che si scontrano con il macabro e tetro. Ci troviamo, di fatto, di fronte a degli innocenti bambini — delineati con uno stile prettamente chibi — che fanno esperienza di vicende macabre e raccapriccianti, vengono usati come oggetti di esperimenti e vengono mandati in pasto a delle creature strane e bizzarre. Lo scontro visivo e concettuale tra due immagini agli antipodi genera sgomento, instillando in chi guarda un sentimento di smarrimento e in alcuni casi di rifiuto.
Il mondo di Made in Abyss si orienta verso una verticalizzazione della narrazione: la vicenda principale inizia dall’apice per poi addentrarsi e discendere seguendo il percorso segnato dall’Abisso. Una sorta di Inferno dantesco, nel quale ogni girone nasconde misteri inimmaginabili e soprattutto la maledizione della morte. Una volta discesi nella voragine, infatti, è impossibile risalire senza incorrere in effetti collaterali fisici: da banali capogiri e nausee, fino ad arrivare alla morte, se si dovesse discendere agli ultimi strati. Una maledizione, questa, che permette solo di raggiungere gli strati inferiori verso la perdizione, e di non risalire verso la salvezza eterea rappresentata dal mondo reale.
L’impianto diegetico si inspessisce e si fa più ricco mano a mano che i protagonisti discendono le profondità della voragine, caricandosi di misteri e vicende nefaste. La luce del mondo superiore viene soppiantata dall’oscurità del mondo inferiore, un mondo infernale, metafora dell’orrore e dei toni dark che assume la vicenda nel suo svolgersi. Le tematiche sono evidentemente rielaborate, partendo da premesse già sentite: un viaggio verso l’ignoto alla scoperta delle proprie origini e svelamento di incognite di cui è oggetto un personaggio misterioso venuto da chissà dove. Ma la peculiarità di questo manga è senza dubbio la veste con cui queste tematiche sono confezionate: una grafica accattivante, copertine dai toni soffusi e armoniosi, una realizzazione stilistica che richiama sensazioni oniriche anche grazie alla scala di grigi con cui vengono arricchite le tavole, quasi per rendere un effetto pastello o acquerello.
Ma l’impatto visivo che ha il lettore si scontra prepotentemente con la crudezza e la crudeltà della vicenda, scene forti visivamente e concettualmente si contrappongono alla dolcezza dei visi dei bambini, che vengono così proiettati immediatamente in una dimensione di accettazione del dolore e scoperta della caducità della vita. Metafore di una vita che può finire da un momento all’altro, le immagini sono una calamita per il lettore del manga: è una sensazione straniante, sei attratto da qualcosa che sai ti causerà dolore. Il mangaka gioca proprio su questo contrasto che genera un’immedesimazione a metà, un’empatia distaccata da un senso di ribrezzo e al contempo da un senso di ipnosi estatica generato dalla vicenda. La chiave di interpretazione risiede proprio nel contrasto grafico che inspessisce la carica spettacolare, facendo di Made in Abyss un esempio palese di estetica postmoderna, caratterizzata non dall’aderenza ad uno stile in particolare, ma appunto alla mescolanza di riferimenti e gusti che generano un nuovo modo di vedere e di sentire l’opera in generale.
La scelta di utilizzare i bambini come catalizzatori della vicenda è affidato al gusto personale dell’autore: in diverse interviste ha ammesso di sentirsi a suo agio solamente disegnando figure infantili, sentendosi estremamente spossato nel momento in cui debba disegnare degli adulti. Ma si può notare come il fattore orrorifico sia ampliato maggiormente dalla presenza appunto di bambini piuttosto che figure adulte, incidendo ancora di più sulla resa visiva e concettuale della vicenda. I bambini si presentano come l’innocenza, la purezza che viene deturpata dal perturbante, generando un sentimento di empatia che può ampliare la sensazione di perdizione e di sgomento del lettore. L’infanzia si fa veicolo delle cose più macabre che caratterizzano il mondo, dimostrando come un divario così grande possa generare una percezione distorta della realtà.
Made in Abyss è sicuramente una delle rivelazioni degli ultimi anni, dimostrandosi uno dei nuovi esempi di cultura pop nipponica, in grado di far riflettere su tematiche importanti e far estasiare i lettori con la sua estetica peculiare e perturbante. Presto, un sequel della serie anime uscita nel 2017 ci farà scoprire il prosieguo della storia interrottasi ben tre anni fa.