Una ragazza di nome Sheeta, prigioniera di una nave volante, riesce a fuggire durante un attacco dei pirati del cielo e grazie a una pietra avvolta intorno al suo collo atterra dolcemente da un’altezza spropositata nelle braccia di Pazu, un ragazzo orfano che lavora nelle miniere del suo paese. I due si legheranno in maniera inscindibile e vivranno un’avventura che li porterà a visitare Laputa, la famosa e misteriosa città volante braccati costantemente dai pirati del cielo e dal Governo, interessato ad apprendere i poteri della pietra che Sheeta porta al collo.
È importante mettere subito in chiaro le cose: la durata molto estesa del film serve al regista per poter esprimere in maniera profonda i principali caratteri della sua poetica. Ed è proprio in Laputa che intravediamo tutti i principali temi trattati da Miyazaki: il considerevole pessimismo nei confronti dell’umanità, la passione per il volo, la dedizione al lavoro, la figura femminile predominante, l’attenzione nei confronti della natura.
Tuttavia è anche importante notare come questo film si discosti molto dal repertorio classico del regista: in questa pellicola esistono dei veri e propri cattivi mentre nelle altre opere del Maestro la cattiveria umana rappresentata dagli antagonisti è sempre sfuggevole, quasi a voler in qualche modo salvare anche gli antagonisti dalla malvagità che avvolge l’uomo in maniera intrinseca. La capacità quindi del lungometraggio di essere nel contempo opera fondamentale nella filmografia del regista e avversativamente discostarsi dai canoni classici lo rende unico e degno di nota.
In questo film vediamo addirittura uomini morire, un unicum nella filmografia del Maestro, e la cattiveria umana si fa sempre più grande quanto più si avvicina alla possibilità di ottenere un potere di distruzione di massa, l’eco delle bombe atomiche in Giappone è ancora troppo forte per non riuscire ad udirlo. L’antagonista principale, rappresentante del Governo, è quindi totalmente asservito al suo scopo, non si preoccupa minimamente dei suoi colleghi o del resto delle persone, una volta arrivato a Laputa il suo obiettivo è comandare e distruggere chiunque si opponga al suo comando. Il pessimismo nei confronti della cattiveria umana raggiunge l’apice nel momento in cui il panorama incantevole e intatto di Laputa governato da una tecnologia molto avanzata che fino a quel momento si occupava solamente del benessere dell’isola stessa viene sconvolto proprio da quei robot che se azionati e padroneggiati dall’uomo non portano più benessere ma distruzione e miseria.
D’altro canto esiste comunque una via di fuga e di redenzione per l’umanità, il regista ce lo mostra non solo attraverso i due giovani protagonisti, mai come in questo film al limite di scambi ben più che affettuosi ma frenati solo dalla tenera età, ma anche grazie alla classica figura dei pirati del cielo, prima considerati dallo spettatore malvagi ma mostrati durante la proiezione come sostenitori di altissimi valori che nessuno può comprendere (in Porco Rosso, l’apologia dei viaggiatori del cielo è ben spiegata nel monologo della giovane co-protagonista). Ma anche i concittadini di Pazu possono redimere l’umanità da un’osservazione fin troppo spietata, essi si frappongono e difendono la ragazza da coloro che vogliono rapirla, eppure non hanno nulla in cambio e non hanno bisogno di avere nulla in cambio, ripagati dal duro lavoro che affrontano da tutta la vita.
Come sempre il regista ci mostra una serie di immagini spettacolari raffiguranti il cielo, in alcuni punti capace di arrivare alla bellezza di dipinti paesaggistici moderni. Cielo che rappresenta da sempre nell’ immaginario del Maestro una via di fuga e una bellezza incontaminata dall’uomo. Se nelle Avventure acquatiche di Steve Zissou di Wes Anderson è il mare ad essere l’elemento dominante, nei film di Miyazaki il cielo rappresenta quel luogo che l’uomo può raggiungere ma non dominare completamente e mai come in questo film si tende istintivamente a guardare in alto, a cercare l’ isola nel cielo, speranzosi di trovare anche noi la nostra Laputa. I rimandi letterari sono più che ovvi: I viaggi di Gulliver viene ovviamente nominato ma subito allontanato e bollato come narrativa, come una semplice storia. E chissà se Miyazaki non sapesse che il nome di Gulliver deriva dal verbo inglese to gull e che significa mentire, imbrogliare, proprio a sottolineare la fantasia e l’irriverenza che Swift inserisce nella sua opera. E ancora, la figura femminile, mai nelle sue opere vista come un semplice riempitivo ma protagonista oltre ogni modo. Dopo Nausicaä, Sheeta rappresenta la figura femminile più pura, la ragazza che si sacrifica continuamente per Pazu, per il loro rapporto e per il bene del ragazzo. Ma anche interessante la Mamma dei Pirati, capo di un equipaggio formato da soli uomini (i suoi figli) che comanda con un rigore da vero capitano.
“Più giù Signora!” dirà Pazu e lei risponderà: “Chiamami Comandante!”.
Le musiche sono sempre azzeccate, l’arrivo a Laputa è coinvolgente ed immersivo come anche il volo nel nido dei draghi. Per concludere, Castello nel cielo è un’opera di una maturità sconvolgente, il Maestro è attentissimo a tutti quegli elementi cari alla sua poetica, e questo film è il degno iniziatore per lo studio che traccerà un solco indelebile nell’animazione mondiale.
Il primo volo dello Studio Ghibli
Nel complesso Laputa – Castello nel cielo è un film molto godibile. Come detto in apertura la durata estesa può spaventare i neofiti del genere che se pazienti verranno ricambiati con una pellicola di alto spessore. Nonostante ciò l’intrattenimento può risultare macchinoso e poco ispiratore per chi non è consapevole dei temi portanti nella filmografia del Maestro e questo fatto ne condiziona la visione.
Curiosità: nella versione spagnola e in generale nelle versioni latine del film, il nome “Laputa” non appare nel titolo perché significa “prostituta”. Miyazaki si è scusato di questo inconveniente e adducendo il fatto che l’ispirazione per il nome viene ovviamente dai Viaggi di Gulliver e che Laputa in inglese e giapponese non ha significato. Il disegno del castello trae ispirazione da Paronella Park, un castello costruito da Jose Paronella in Australia. La canzone “Castle in the sky” si può udire durante i tour notturni di questo parco.
Buono, ma non senza difetti