Il meeting con gli investitori svoltosi stamani nella ridente metropoli giapponese che risponde al nome di Kyoto ha segnato quello che sarà il funerale vichingo di una di quelle che reputo, a oggi, una delle mie console preferite. Ovviamente, se non siete così rimbambiti da non aver fatto caso al titolo, saprete già che sto parlando di Wii U, che dal prossimo marzo dovrà fare ben più che a gomitate per riuscire a guadagnarsi un piccolo spazio oltre la fossa che già la attende al varco il giorno dell’arrivo di NX.
Sebbene il pubblico generale continui a denigrarla, a dire che non ci sono giochi, a definirla il peggior fallimento videoludico di sempre al pari del Virtual Boy, la piattaforma da salotto che ha avuto l’arduo compito di rimpiazzare la regina del motion control è, a mio parere, semplicemente vittima di pessime, pessime scelte di marketing. Nonché di una notevole dose di sfortuna.
Sul fatto che Wii U abbia ospitato alcuni dei giochi più divertenti di questa generazione non c’è alcun dubbio. Basta citarne anche solo tre o quattro per averne la conferma, alcuni anche parecchio bistrattati dai nintendari stessi, per motivi che tuttora mi risultano ignoti. Fra quelli che personalmente ho più gradito citerei Super Mario 3D World, sul quale ho passato un numero spropositato di ore in multigiocatore e ci sarà sempre posto nel mio cuore per ricordare Bayonetta 2; menzionerei anche i più ovvi Mario Kart 8, Pikmin 3, Splatoon, Super Smash Bros. e Captain Toad: Treasure Tracker, di certo un po’ monotematici in termini di protagonisti, ma non per questo da sottovalutare.
Tuttavia, è stato proprio il fatto che la console in questione fosse inferiore, in termini di potenza, a PlayStation 4 e Xbox One a decretarne la fine prematura: gli sviluppatori di terze parti si sono rifiutati di sviluppare titoli decenti appositamente per questa piattaforma e, come se non bastasse, Nintendo stessa non ha spremuto più di tanto le proprie risorse per sfruttare al meglio le caratteristiche che la distinguessero dalle concorrenti, come il funzionale GamePad dotato di schermo e speaker (venuto tristemente a galla proprio nel recente Star Fox Zero) e gli amiibo, introvabili al lancio e che adesso a stento riescono a imporre la propria presenza.
L’ultimo grosso passo falso di Nintendo, tuttavia, sta nel semplice fatto che, per come si prospettano le cose, da qui a marzo 2017 rischiamo di vedere sugli scaffali nostrani solo due o tre titoli di rilievo, che per inciso sono Tokyo Mirage Sessions #FE (il crossover fra Shin Megami Tensei e Fire Emblem in arrivo da noi il 24 giugno), Paper Mario Color Splash (tuttora fisso a un generico 2016) e il pluriposticipato The Legend of Zelda esclusivo per Wii U, da oggi non più tanto esclusivo, dato che, dopo tanto vociferare, è stato confermato anche per NX nel corso del 2017.
Perché arrendersi in questo modo quando manca ancora un annetto alla dipartita di Wii U? Ulteriore conferma di ciò è anche il velato annuncio, nel comunicato stampa odierno di Nintendo, che questo capitolo di Zelda sarà l’unico titolo mostrato in forma giocabile al prossimo E3, col pretesto di far immergere i giocatori nella totalità dell’esperienza offerta da questo nuovo episodio. A me, tuttavia, suona tanto come: “Purtroppo ci stiamo concentrando solo ed esclusivamente sui giochi che vorremo lanciare assieme alla nuova console, quindi accontentatevi di questo maestoso canto del cigno che, probabilmente, nemmeno giocherete su Wii U”. Oltre alle insistenti voci su Zelda, infatti, erano tante quelle che vedono gli sviluppatori dirottare il proprio lavoro iniziato sull’attuale console verso quella di prossima generazione. Ma davvero non avremo più nuovi giochi per Wii U dopo Zelda e Paper Mario? Non possiamo affermarlo con certezza se non dopo la fine del Nintendo Direct che si terrà a giugno, in concomitanza con le possenti celebrazioni in quel di Los Angeles.
Tanto sappiamo tutti come andrà a finire. Come è successo con il GameCube, anche Wii U, al momento reputata un fallimento, godrà di una seconda giovinezza quando ormai sarà tempo di parlarne nostalgicamente al passato facendosi fighi con il termine retrogaming.