Lo sbarco di Neon Genesis Evangelion su Netflix ha segnato il ritorno dell’anime cult simbolo degli anni ’90, ma non è stato recepito positivamente come invece i piani alti si sarebbero aspettati: all’epicentro di questo vero e proprio disastro, troviamo nuovamente alla direzione dell’adattamento Gualtiero Cannarsi, già conosciuto per aver lavorato ai dialoghi di numerosi film dello Studio Ghibli.
Sin da subito l’intera rete, unita all’unisono come poche volte prima, ha espresso un disprezzo pressoché unanime nei confronti di questo nuovo adattamento di casa Netflix: l’opera magna di Hideaki Anno però è stata soltanto il Vaso di Pandora che ha fatto venir fuori dei malumori molto più radicati, come gli adattamenti dei sopracitati lungometraggi.
Per quale motivo c’è un dissenso così marcato e intenso? La risposta è molto semplice, visto e considerato che il modus operandi di Cannarsi stesso risiede in un utilizzo della lingua italiana ampolloso, inutilmente ricercato ed estremamente anacronistico. La vecchia versione invece, con la prima edizione del doppiaggio curata da Cannarsi stesso e in parte anche da Fabrizio Mazzotta, complice lo sbarco su Netflix viene ricordata con nostalgia ed è molto semplice capirne i motivi: non aveva tutte queste pretese nell’apparire a ogni costo forbita.
Una ricerca principalmente ossessiva del termine più fuori luogo, quella di Cannarsi, che dunque si lascia alle spalle con indifferenza il fatto che italiano e giapponese siano due lingue profondamente differenti. Una traduzione corretta è a prescindere il perno su cui deve poggiare una resa efficiente della frase, sul piano teorico non esiste nulla di più giusto ed è innegabile, ma appunto si tratta di traduzione.
Una traduzione che abbia la dignità di essere chiamata tale, ripercorre pedissequamente il testo riportato dalla lingua straniera, senza adattare concetti, sfumature e intenzionalità narrativa e/o colloquiale… ed è proprio per questo motivo che si apre la branca dell’adattamento.
Di pari passo alla traduzione, l’adattamento è ciò che di più importante possa esistere nel mondo dell’intrattenimento come lo conosciamo, creando il ponte tra opera originale e riproposizione in lingua che dev’essere fruibile in quanto integra, completa e riconoscibile al pari della concezione di partenza del proprio creatore. Un adattamento è sempre la parte più complessa quando si parla di culture differenti, figurarsi poi con una realtà come quella del Sol Levante, dove per indicare anche soltanto la prima persona ci sono più di cinque modi differenti.
Quello che Cannarsi invece fa è un lavoro che, se nella teoria può avere la parvenza di funzionare, nella messa in pratica diventa il corrispettivo di una corsa di faccia contro un muro di mattoni: paradossalmente usare un qualsiasi sistema di traduzione online frutterebbe una resa molto più scorrevole ed equilibrata.
Un ruolo come quello di adattatore, ma anche di dialoghista, perciò dà forma all’anima di personaggi che, attraverso l’idioma dello stesso spettatore, creano la costruzione della caratterizzazione fondamentale per la struttura dell’opera nella sua interezza: in caso contrario, invece, stendere un velo d’elitarismo che s’impunta sulla traduzione pari pari all’originale è soltanto un approccio deleterio.
Come si può quindi scegliere una struttura, oltre che grammaticalmente errata, così formale che non solo svilisce il contesto, ma soprattutto ridicolizza dei segmenti che avrebbero semplicemente un’atmosfera neutra? Alcuni esempi in questa nuova edizione di Evangelion sono gli “yappari” trasformati in “e infatti”, vezzeggiativi fuori contesto e traduzioni fuori luogo di frasi incredibilmente semplici come “gokuro datta na – ottimo lavoro/è andata bene” in “ti sei dato buona pena”.
Riportiamo un estratto delle dichiarazioni di Francesco Di Sanzo, l’attuale production manager del canale TV MAN-GA nonché co-fondatore di Dynamic Italia, pubblicate su Distopia Evangelion:
« […] intendo rimarcare che chiunque apprezzi il primo doppiaggio italiano della serie TV di “Evangelion”, realizzato negli anni 1997-2001 a marchio “Dynamic Italia”, sta di fatto apprezzando quello che non è eccessivo dire essere al 100% il frutto dell’opera, delle idee, delle scelte artistiche di Gualtiero Cannarsi, che io personalmente supportai e condivisi con grande entusiasmo.
Ribadisco che i numerosi colleghi che incrociarono la nostra tortuosa strada in questo lavoro potrebbero confermare tutto ciò, di cui sono anche certo siano rimasti molti materiali (copioni, corrispondenza, testi, ecc.) in archivi personali e aziendali, e che la cosa era chiaramente dichiarata tramite riviste, fanzine e conferenze del tempo.»
Ciò a dimostrazione di come evidentemente la capacità d’adattamento sia andata via via mutando nel tempo, ma non solo in Neon Genesis Evangelion. Lo stesso FLCL, sempre di casa Gainax, poté godere di un buon doppiaggio nonché adattamento generalmente fluido e comprensibile. Si tratterebbe perciò di un deterioramento qualitativo che, col passare degli anni, sia per deformazione professionale sia per stile, andrebbe sempre più affossandosi da solo: il risultato che ne esce è un esorbitante risalto dei difetti rispetto agli ipotetici pregi che, in fin dei conti, possono comportare conoscenze approfondite del prodotto curato.
Non mancano comunque i sostenitori del suo operato e, seppure non me ne capaciti, il suo approccio 1:1 alla realtà giapponese sembra riscuotere un flebile supporto comunque sovrastato dall’oceano in tempesta dei suoi detrattori: sono i forti richiami, quasi ossessivi, alla cultura giapponese, a braccetto col voler ricercare un registro aulico a ogni costo, ad affossare ancora di più l’opera curata: una marcatura così forzata della lingua ferma lo spettatore a chiedersi, praticamente a ogni battuta, cosa stiano cercando di comunicare i personaggi.
Ripercorrendo il cavallo di battaglia delle polemiche degli ultimi giorni, primo fra tutti il mantenimento di “apostoli” anziché “angeli”, è coerente spezzare una lancia in favore che, per quanto se ne possa cavillare, la soluzione a questo polverone è una sola.
L’unica informazione davvero rilevante riguardo questo dato contesto è che lo stesso Anno cercò un modo altisonante per dire “Angelo” pur mantenendo in senso lato entrambi i significati (Apostolo e Angelo), per il tipico gioco di parole che sussiste tra kanji e furigana (l’hiragana scritto letteralmente sopra i kanji per facilitare la lettura dell’ideogramma), come anche soltanto nella stessa sigla di apertura di Evangelion, dove viene scritto come “universo”:
この宇宙(そら)を抱いて輝く
少年よ 神話になれ
Kono sora wo daite kagayaku
Shōnen yo, shinwa ni nare
Ma è soltanto uno dei tanti esempi, senza contare che riprendendo il binomio opera-regista, a Hideaki Anno non importa una beneamata mazza del pubblico internazionale, in quanto l’opera stessa verte su un simbolismo spicciolo utilizzato in modo puramente estetico. Piccola digressione su Neon Genesis Evangelion a parte, la base del discorso non cambia: poter adattare in maniera degna di tale nome è un’Arte che deve saper ricostruire un immaginario togliendo, ricostruendo e ripristinando quello che va perdendosi dopo l’ovvia dislocazione linguistica.
Moltissime sono state infatti le persone che hanno voluto soffermarsi su piccolezze simili, incuranti del fatto che il vero problema del lavoro svolto da Cannarsi è la creazione di frasi virtualmente senza senso che sono quasi un insulto alla concezione di lingua italiana come sistema di linguaggio: i giochi di parole esistono in ambo le lingue, solo che ci sono ambiti dove non ne sussista il parallelismo.
È pressoché impossibile mantenere una fedeltà assoluta, prendendo come esempio l’italiano, tra una lingua indoeuropea e un’altra che, oltre a non conoscerne il ceppo di provenienza, ha subito influenze incredibili da parte del continente asiatico. Altra enorme importanza inoltre, la possiede il tono della voce nei contesti espressivi dei personaggi. Il giapponese è una lingua che letteralmente basa — senza nemmeno esagerare — un buon 90% sul tono della voce di parlante e interlocutore, dove un registro più o meno alto cambia pressoché totalmente l’intenzione comunicativa alle spalle di un pensiero: prendendo per esempio un altro dei più grandi interrogativi di questo nuovo adattamento, “un pochitto” risulta un neologismo virtualmente inutile, poiché per “choccho” (ちょっちょ), essendo una flessione dialettale di “chotto” (ちょっと), in italiano sarebbe bastato un semplice salto di tono con una nota di falsetto e, il gioco era letteralmente fatto. Questa piccola ma vitale branchia del dialogo in atto è dunque in grandissima parte arte comunicativa del doppiatore che, se sprovvisto di un’effettiva guida che possa mostrare il metodo corretto, rischia di rimanere in balia della direzione svolgendo un compito qualitativamente buono… ma non al pieno della prestazione che sarebbe in grado di dare.
In conclusione, è pur vero che il giapponese è una lingua con un enorme ventaglio d’interpretazione, ciò nonostante renderla appetibile al proprio pubblico è il fondamento su cui basa l’intera industria. Si può restare giorni, settimane, anche mesi a discutere su una parola rispetto a un’altra, ma è un discorso che passa a dir poco in secondo piano quando uno degli scambi di battute più famosi di Evangelion, come l’annaffiare di Kaji che interagisce col giovane Ikari, da momento molto carico di pathos finisce in un vero e proprio pensiero sconclusionato che, tra ripetizioni e sintassi molto confusa, distrugge l’atmosfera del dialogo originale.
— Nicholas Chirico, studente di giapponese alla facoltà di Comunicazione Interculturale della Milano Bicocca
Considerazioni personali
Da studente di giapponese è puntualmente una vera e propria ecatombe assistere all’operato di Cannarsi, non c’è mai una sola cosa che funzioni e l’unica utilità delle sue fatiche è un monito sul come Non avvicinarsi al mondo della traduzione, nonché adattamento. Quando mi fermo a leggere direttamente dal giapponese ciò che ha tradotto, quello che mi sembra d’aver davanti è soltanto un lavoro svogliatamente pre-confezionato… un po’ come quando inserisci su Google Traduttore dei pezzi di testo e la resa in italiano crea strafalcioni ridicoli. In questo caso invece no, è un mondo d’inconcludenza comunicativa che non solo ha l’arroganza di voler tagliare fuori il pubblico, facendolo con il più inadatto degli approcci sia verso gli appassionati che i neofiti delle opere trasposte, ma non tiene nemmeno conto del fatto che senza queste stesse persone tanto denigrate, questo mondo non esisterebbe. Se non fosse per la domanda che il pubblico crea, non esisterebbe nessun mondo dell’intrattenimento, nessun artista sarebbe spronato a creare né avrebbe il supporto che concerne l’intera industria cui fa imprescindibilmente parte ma…
evidentemente è un discorso troppo complesso da digerire.