Anche le fiabe più belle hanno dietro la penna un grande narratore. Un animo sensibile, in grado di conferire spessore a quelle storielle “da bambini” che la mamma ci raccontava la sera prima di andare a dormire, e che rileggendo da adulti ci mettono di fronte ad una nuova consapevolezza: erano veramente come ce le ricordavamo? Ci sono storie che si possono apprezzare solo dopo aver superato lo scoglio della maturità, potendosi approcciare con occhio più critico e con mente più aperta. Ma non dimentichiamo: non perderanno mai quell’aura di mistero e magia che accompagna ogni narrazione fantastica, semplicemente riusciremo a condensare nella lettura delle emozioni che, causa l’innocenza infantile, non avevamo ancora sperimentato. C’è un narratore dei nostri tempi — sì, lo voglio chiamare narratore, non semplicemente fumettista — che è stato in grado di creare un piccolo cosmo di sensazioni visive e percettive in grado di smuovere, agitare l’anima del lettore e portarlo in quell’universo di bianco e nero, di chiaro e scuro, di bene e male. Nagabe non è il semplice mangaka della porta accanto, sommerso da fogli e pennini e oberato di lavoro per le scadenze imminenti: con le sue penne stilografiche e il suo portamento pacato è in grado di delineare mondi onirici, sospesi tra il reale e l’irreale, caratterizzati ognuno da un bilanciamento di influenze e una commistione di toni in grado di dare vita a fiabe dai sapori antichi ma attualissime dal punto di vista contenutistico.
Nagabe è un giovanissimo disegnatore che cresce autorialmente grazie a illustratori di grande prestigio, primo fra tutti Tove Jansson, la creatrice di Moomin: la sua influenza si denota soprattutto dalla creazione visiva del tratto di Nagabe, così frammentato, ma al contempo armonico e preciso, quasi chirurgico. L’illustrazione è la sua base di riferimento principale, uno studio attento delle linee visive e una coerenza quasi maniacale della composizione grafica. Sono altri illustratori, infatti, i suoi mentori spirituali e stilistici: i giapponesi Komako Sakai e Yuko Higuchi si impongono per la loro aderenza ad un immaginario fiabesco e onirico, il primo per quanto riguarda principalmente i colori e il tratto, il secondo per i soggetti rappresentati. Nagabe assorbe da ognuno i tratti peculiari della loro arte, mescolandoli e dando vita a qualcosa di unico, a mio avviso di innovativo nel mondo del manga nipponico. Sono poche, infatti, quelle opere in grado di coinvolgere il lettore in una dimensione ancestrale, come se tutta la dieresi fosse sospesa in una bolla di visività distorta che rapisce i sensi di chi legge e glieli restituisce inebriati, quasi mutati.
Una peculiarità questa che, come si potrà intuire, non si lega esclusivamente al comparto grafico, ma è indissolubilmente intersecata con la sfera narrativa, con l’universo fantastico che l’autore riesce a creare. Di Nagabe qui in Italia possiamo apprezzare due opere, entrambe edite da JPop, che non si discostano eccessivamente per quanto riguarda lo stile, quanto per le dinamiche interne alla storia: Wizdoms è un volume contenitore di storie a sfondo LGBTQ+ incentrate su animali antropomorfi che, tra le aule e le stanze di un’antica scuola di magia, si incontrano, si conoscono e si amano; l’opera sicuramente principale dell’autore, e quella che lo ha portato alla ribalta nel mondo del fumetto è, però, sicuramente Girl from the Other Side (qui la nostra recensione del primo volume). Questa storia si pone come un modello di narrazione a fumetti ibrida, attraverso la quale si intersecano differenti espressioni e numerose influenze che provengono da ambiti disparati sia grafici, sia letterari.
La base narrativa è costruita intorno alla convivenza di un’innocente bambina, Shiva, e di uno strano essere maledetto da una misteriosa malattia, soprannominato il Maestro. A differenza degli altri Estranei, il Maestro non desidera l’anima della bambina per compensare la propria mancanza spirituale, ma anzi, sembra volerla proteggere dagli altri demoni e dagli umani stessi. La differenza tra la bambina e il demone si risolve in un rapporto di complicità e compensazione, attraverso il quale le due vite così diverse possono completarsi in un gioco di opposti e di toni differenti che non si escludono, ma al contrario si attraggono.
Il gioco di contrasti permette a Nagabe di costruire un sistema narrativo incredibilmente solido e deciso, in cui la purezza dell’infanzia si scontra prepotentemente con gli interessi politici ed economici: il gioco di bianco e nero è stato decisivo per la costruzione di Girl from the Other Side, come afferma lo stesso autore, in un perpetuo vortice di rimandi al mondo reale che ci circonda. Ogni concetto, infatti, ha il proprio opposto, afferma Nagabe in una recente intervista: la scelta stilistica si intreccia con quella contenutistica, volendo rendere visivamente tale contrasto mostrandolo immediatamente e rendendolo subito riconoscibile attraverso il netto contrasto di colori. Dopotutto era necessaria una differenziazione grafica per far comprendere al lettore il messaggio che si voleva esporre: lo stile di Nagabe si presenta come armonioso e indirizzato principalmente verso una rappresentazione di campiture di colore piuttosto che una minuziosa della realtà. Perciò è necessario che il messaggio venga veicolato in modo diretto, immediato, e che sia comprensibile anche senza cogliere le sfaccettature delle espressioni del volto o ricorrendo alle parole.
Il contrasto visivo, come detto prima, si interseca anche con quello contenutistico, che si esprime con una profondità narrativa ineccepibile e di leggiadra poesia: l’alone di mistero che aleggia sulla storia principale di Nagabe dimostra come l’autore sia un attento narratore e un meditato scrittore. Nonostante la compattezza delle sue opere, riesce a intrattenere il lettore grazie ad una fidelizzazione basata su una storia semplice ma al contempo intrigante, senza eccessivi orpelli narrativi che possano appesantire il tutto, ma approfondendo volume dopo volume piccoli aspetti della dieresi che si risolveranno probabilmente solo nell’ultimo volume (è stato annunciato che Girl from the Other Side si concluderà con il volume 11).
Nell’altra opera di Nagabe, Wizdoms, notiamo come l’autore sia indirizzato verso la rappresentazione di figure antropomorfe ma al contempo zoomorfe e che si intersecano in un contesto quotidiano e realistico. L’influenza che accompagna l’autore è sicuramente una preponderante che si riaffaccia in quest’opera, chiaramente improntata su uno stile peculiare che non si può discostare da un genere fantasy che però si rifà sempre a tematiche condivise e attualissime. Ciò denota una delle prerogative stilistiche e contenutistiche: la società e le sue problematiche, i suoi conflitti intestini e manifesti sono un leit motiv di Nagabe, che si riaffaccia in ogni tavola quasi come un monito per se stesso e per i suoi lettori. Animali antropomorfi che affrontano le problematiche della vita reale sembrano richiamare il più famoso Beastars di Paru Itagaki, ma al contempo si indirizzano verso una rappresentazione più pacata dei dissidi interiori e potremmo definirla poetica, caratterizzata cioè da una pacatezza grafica e narrativa esplicitata anche dalla frammentazione in singole storie raccolte appunto nel volume unico Wizdoms.
La pacatezza espressiva può essere considerata quindi in entrambi gli esempi una peculiarità che si manifesta come la volontà di costruire racconti basati su un tratto essenziale ma che non esclude assolutamente tematiche molto forti e che si potenziano proprio grazie ad una pervasività percettiva basata proprio su un’alternanza di estetiche grafiche e contenutistiche quasi agli antipodi. Tale compromesso, basato su semplicità e profondità, denota come Nagabe sia, nonostante la sua giovanissima età — 26 anni — un narratore incredibilmente capace, in grado di rendere uno spessore narrativo forte e solido, che accompagna lo sguardo e la mente in storie cariche di emozione e mistero.