Sin da piccoli, abbiamo visto molti cartoni animati giapponesi venir cambiati (in particolare da 4Kids) nelle maniere più assurde: gli onigiri diventavano delle “Ciambelle con gelatina”, le pistole e le sigarette sparivano e ogni riferimento al folklore giapponese veniva sostituito da qualcosa di americano. I cambiamenti su cui oggi si ride, in linea generale, andavano a ritoccare elementi secondari, ma nulla era paragonabile a ciò che successe anni dopo con Ghost Stories.
Se il nome di quest’anime non vi suona familiare è assolutamente normale, ma è pressoché impossibile non aver mai sentito una o più frasi prese da questa serie, le quali venivano usate continuamente in qualsiasi meme, soprattutto nel periodo dei Vine e delle poi famose serie Abridged. Le battute inserite in Ghost Stories variavano tra scemi doppi sensi e black humor e la loro continua condivisione sui social contribuì nel mantenerlo famoso ancora oggi.
“I was so sad that I would never hear his voice again…”
Per capire cosa è accaduto, serve partire dal principio: Ghost Stories è un’anime del 2000, adattamento di una serie di romanzi di successo degli anni ’90, in cui venivano raccolte varie storie autoconclusive a tema fantasmi: la serie animata segue le vicende di un gruppetto di bambini che, ad ogni episodio, si ritrova impegnato a risolvere un mistero legato a uno yokai. Il gruppo dei protagonisti è composto da Satsuki, una ragazzina forte e decisa, Keiichiro, suo fratello minore, Momoko, amica di Satsuki dai poteri psichici, Hajme, ragazzino semplice ma coraggioso, Leo, appassionato di fenomeni paranormali e Kaya, un gatto parlante dal carattere scontroso.
Ci furono trasposizioni anche cinematografiche e videoludiche dei libri, ma l’anime, nonostante gli investimenti profusi dallo Studio Pierrot, ebbe una media di voti e di spettatori più bassa rispetto agli standard dei loro prodotti (come GTO, Naruto, e Yu degli spettri), pertanto, Ghost Stories venne poi diffuso in altri paesi semplicemente per recuperare un po’ dei soldi spesi per la produzione.
In America, l’anime venne affidato a Steve Foster della ADV Films, amato/odiato adattatore americano, famoso già ai tempi per traduzioni talvolta approssimative, e che con Ghost Stories intraprese delle scelte che trasformarono l’opera in una serie comica, scrivendo di sana pianta battute senza senso e lasciando libertà creative anche agli stessi doppiatori. I motivi e il processo legato a questo cambiamento sono in realtà poco chiari su certi aspetti: c’è chi dice che Foster decise di cambiare lo script della serie perché in Giappone considerata un flop assoluto, voce però smentita con i rating che, sebbene bassi, sono sicuramente lontani dal renderla un fallimento; altri ancora dicono che i distributori non diedero linee guida per l’adattatore o che gli venne direttamente richiesto di cambiare il senso della serie, in quanto ritenuta troppo noiosa per un pubblico Americano.
“Have you accepted Jesus as your personal savior?”
Alcune fonti sono poco affidabili, ma tutte confermano che vi erano solo tre regole da mantenere: la prima, non cambiare i nomi dei personaggi, la seconda, non cambiare il significato generale degli episodi, e la terza, non cambiare le morti dei fantasmi. Ebbene, fatte queste eccezioni, tutto il resto venne stravolto: Foster e i doppiatori si divertirono inserendo gag il più politicamente scorrette possibili, rotture della quarta parete e prese in giro dei cliché tipici degli anime, perfino cambiando personalità a protagonisti e personaggi secondari.
Satsuki, diventa una scalmanata che insulta il fratellino Keiichiro, il quale comunica quasi sempre con versi incomprensibili; Hajime diventa un playboy con le caratteristiche stereotipate del ragazzino pervertito, mentre Momoko è una cristiana evangelica che tenta di convertire chiunque, soprattutto Leo, diventato ebreo per nessun motivo in particolare; inoltre, Kaya adesso ha il potere di rompere la quarta parete per commentare sulla scarsa qualità delle animazioni e della pessima scrittura della serie.
Le gag sono volutamente offensive verso tutto e tutti: abbiamo battute sulla religione (“Jewish people rocks!”), battute razziste (“Think of a big black man chasing you!”), battute sul nazismo, sui disabili, sull’omosessualità (“Principals always looks like lesbians”), fino a passare a frasi semplicemente sceme e sconclusionate con accozzaglie di luoghi comuni e perfino delle, per nulla velate, critiche ai politici americani di quegli anni; la comicità varia da battute scritte e pensate a improvvisazioni dei doppiatori.
Di queste battute, Ghost Stories ne è pieno in ogni episodio, infilate in qualsiasi punto e senza oltrepassare il limite imposto dalle uniche tre regole a cui dovevano attenersi; su YouTube sono tantissime le compilation che racchiudono le frasi diventate più celebri, ma guardando tutte e venti le puntate si possono notare perle nascoste e poco calcolate, come le gag ricorrenti del gruppo di operai, cambi di lingua improvvisi o un professore che fa l’appello ricevendo risposte a caso.
Alcuni dei doppiatori di Ghost Stories risposero a vari Q&A e raccontarono la loro esperienza: vennero date delle linee guida molto generiche per ogni episodio e decisero dunque di improvvisare quasi tutta la serie, facendo scegliere il tono delle sequenze a chi di loro arrivasse per primo nello studio di registrazione; per i doppiatori era diventata una gara a chi riusciva a far più ridere.
“We have to go there every episode!”
Oggi, molti degli spettatori sono più che divertiti da ciò che è successo con Ghost Stories, perfino acclamandolo come “il miglior adattamento mai realizzato”, ma alla sua prima uscita venne prevalentemente odiato, in quanto irrispettoso nei confronti della cultura giapponese e dell’opera originale, non apprezzando inoltre l’ironia usata. Nonostante le critiche iniziali, con gli anni a venire il doppiaggio di Ghost Stories venne amato da moltissime persone e Steve Foster rimase tranquillamente nella sua posizione di adattatore alla ADV, dimettendosi solo molto tempo dopo.
Per alcuni, non è esagerato dire che il doppiaggio americano di Ghost Stories abbia salvato l’anime dal dimenticatoio: sebbene in Giappone il brand (tra film, libri e giochi) sia ancora ben conosciuto, da noi è diventato famoso solo grazie all’assurda e pazza decisione di trasformarlo in una serie comica. Gli effetti si vedono ancora oggi, dal momento che è molto facile vedere varie frasi dell’anime citate nelle community, segno che è riuscito a ritagliarsi (e mantenere col tempo) una fanbase solida che continua a farlo conoscere a sempre più persone.
Non è da escludere poi la possibilità che questo doppiaggio abbia ispirato le prime serie anime Abridged che oggi troviamo su YouTube, nate proprio poco tempo dopo la diffusione di massa delle frasi di questo adattamento.
Se siete amanti del trash e del black humor, Ghost Stories è un anime da non perdere (ovviamente in lingua inglese!), capace di garantirvi ore di divertimento e portandovi alla scoperta delle battute più famose che hanno fatto la storia di Internet. E vi lasciamo alla fine con un’allegra morale, come dicono in uno degli episodi: “Se lasciate dei figli a carico, ricordatevi di pagare il mantenimento!”.