Yomawari: The Long Night Collection è una raccolta che comprende i due titoli usciti finora della serie Yomawari: Night Alone del 2015 e Midnight Shadows del 2017, entrambi opera di Nippon Ichi Software e della sviluppatrice Yu Mizokami.
Il primo gioco racconta la storia di una bambina delle elementari e del suo cane, Poro. Durante una normale passeggiata serale, il cucciolo scappa e dopo un incidente anche la sorella della nostra protagonista, del cui nome non veniamo mai a conoscenza, svanisce nel nulla. Sarà quindi nostro compito esplorare di notte una città buia e solitaria piena di spiriti maligni per ritrovare sua sorella e il suo cane. Nel secondo capitolo invece vestiremo i panni di Yui e Haru, due bambine delle elementari che vivono nella città vicina a quella in cui accadono gli eventi di Night Alone. Dopo essersi separate in una notte di festa, controlleremo a turno entrambe le protagoniste, per cercare di ricongiungerle attraversando mille difficoltà.
- Titolo: Yomawari: The Long Night Collection
- Piattaforma: Nintendo Switch
- Versione analizzata: Nintendo Switch (PAL/EU)
- Genere: Avventura, Survival Horror
- Giocatori: 1
- Software house: NIS America
- Sviluppatore: Nippon Ichi Software
- Lingua: Inglese (testi)
- Data di uscita: 19 ottobre 2018
- Disponibilità: retail, digital delivery
- DLC: nessuno
- Note: la Limited Edition comprende un art book, un set di spille, un poster doppio e una custodia esclusiva.
Per semplificare la lettura della recensione di questa collezione parlerò prima delle similitudini fra i due titoli, che sono davvero molte (troppe?) e poi dedicherò alcuni paragrafi ai singoli giochi.
Yomawari: Night Alone e Midnight Shadows sono dei survival horror puri di tipica tradizione giapponese, cosa che si può notare fin dai primi minuti di gioco. Mancano infatti tutti quei crismi classici tanto visti nell’orrore occidentale, come può essere uno splatter molto esplicito (questo anche perché l’agenzia di rating giapponese, il CERO, ha regole molto strette a riguardo) oppure una possibilità di combattimento contro i mostri. La telecamera nei giochi Yomawari è fissa e isometrica, dandoci una visuale angolata dall’alto del mondo di gioco.
Mikka Bōzu
Entrambi i titoli raccontano una storia decisamente più intima e auto-contenuta, con un cast di personaggi ridottissimo e un design di mostri presi principalmente dal folklore giapponese e da leggende metropolitane locali: ammetto che dopo aver giocato spesso mi trovavo a cercare su internet altre informazioni su credenze e spiriti del Giappone rurale, trovando poi qualche similitudine in gioco. Per quanto queste creature siano decisamente terrificanti e riescano perfettamente nell’intento di spaventare il giocatore, conoscerne l’origine mi ha aiutato a inquadrare meglio la trama e tutto quello che potrebbe passare un po’ sottotraccia.
Questa tuttavia non è una lezione di teologia, quindi non voglio annoiarvi troppo con dettagli superflui: in conclusione, ho imparato che teste di neonato giganti, mani oscure con enormi forbici insanguinate e palle d’ombra fanno più paura di zombie e individui mutati da parassiti per il controllo della mente sviluppati da servizi segreti vari.
Squadra che vince non si cambia
Per quanto riguarda il gameplay, i due giochi sono sostanzialmente uguali: le uniche azioni che le nostre protagoniste potranno compiere saranno correre, camminare in punta di piedi, nascondersi, spingere oggetti pesanti, lanciare piccoli ciottoli per distrarre i mostri oppure illuminarli con la torcia.
Visto che gli spiriti maligni sono invisibili a meno di non venire puntati con una luce diretta, ho apprezzato la presenza di una torcia a pile infinite: avere un cono illuminato molto piccolo e quindi doversi girare di continuo è decisamente più stressante che passare il tempo a cercare Duracell mollate in giro. L’unico nostro metodo di difesa sarà appunto tenere a bada i mostri con la luce, oppure nascondersi dietro ad un cespuglio o un cartellone, fino a quando non se ne saranno andati smettendo di cercarci.
Anche l’interfaccia utente è ridotta completamente al minimo per dedicare il massimo dello spazio possibile al gioco: è solo presente una barra della resistenza che diminuisce durante la corsa, e che scenderà sempre più velocemente man mano che uno spirito si avvicinerà a noi, evitando quindi di rendere triviale ogni incontro dando la possibilità di scampare facilmente a tutto. L’unico modo che abbiamo di capire quando stiamo per incontrare qualcosa di brutto, anche senza vederlo direttamente, è l’aumento del battito cardiaco delle bambine. Ogni creatura ha una sua peculiarità e un certo tipo di movimento durante l’inseguimento, aumentando di parecchio la varietà dei nemici. Entrambi i titoli riescono perfettamente a farci calare in un’atmosfera inquietante e a rendere spaventoso anche solo salire un paio di rampe di scale strette, tuttavia…
It helps to have a map
…Non posso negare che, certe volte, l’esplorazione della città si trasforma in qualcosa di più frustrante che altro: la mappa, consultabile solo andando in un menu a parte, è disegnata a pennarello dalle nostre protagoniste, quindi non è molto accurata: inoltre, all’inizio del gioco sarà completamente oscurata mostrando solo la zona dove in generale si trova un posto, ad esempio “scuola” o “libreria” e starà poi a noi trovare la strada esatta per raggiungerle. Alcune strade all’inizio del gioco saranno chiuse, ma non abbiamo nessun modo di saperlo prima di averle raggiunte, e anche in quel caso sarà poi necessario ricordarselo in caso dovessimo fare backtracking, poiché sulla mappa non verrà mostrato.
Per rendere leggermente meno lungo il percorso tra un luogo e l’altro, sulla mappa sono disseminati dei piccoli tempietti dedicati al Buddha Kṣitigarbha (o Jizo, come viene chiamato in Giappone), dove sarà possibile effettuare una sorta di salvataggio “light” in cambio di una monetina da 10 yen, anche queste trovabili per terra in quantità abbastanza abbondanti: in caso di morte respawneremo davanti all’ultima statua a cui avremo fatto un’offerta invece che a casa nostra, e potremo effettuare un viaggio rapido verso qualunque altra statua già trovata, ma questo solo in una sessione: in caso dovessimo richiudere il gioco ricominceremo il capitolo da capo; questo sistema di salvataggio è sicuramente interessante e originale, però non aiuta abbastanza a rendere meno pesante la navigazione per la mappa davvero enorme per questo tipo di gioco.
Carabattole e fluviterreni, portabene e puttini
In entrambi i giochi sono presenti dei puzzle molto semplici, che spesso si riducono soltanto al dover cercare un oggetto in un posto e poi portarlo in un altro per riuscire a passare oltre ad un ostacolo: in Night Alone esiste una finestra dedicata appunto alla “collezione”: una sorta di inventario dove conserveremo tutti gli oggetti trovati nel corso della nostra avventura, mentre in Midnight Shadows sarà possibile una volta tornati a casa alla fine di ogni capitolo equipaggiare alcuni oggetti trovati per la città come amuleti o protezioni con effetti molto leggeri, come la possibilità di poter portare un paio di ciottoli in più nell’inventario o il ritardare di qualche istante l’inizio dell’inseguimento da parte degli spiriti nel momento in cui ci vedono.
Non avendo possibilità di combattere, gli effetti bonus di questi amuleti devono essere limitati proprio per evitare di semplificare troppo il gameplay. Dopo ogni morte inoltre perderemo il nostro inventario temporaneo, quello composto dalle monetine e dai ciottoli. Questo non è un grande problema dato che la mappa ne abbonda abbastanza, ma ogni momento passato a percorrere vie vuote per riempirmi il portamonete per poter pregare ad una statua è un momento in cui non sto fuggendo da spiriti malvagi assetati di sangue, e questo è il più grande difetto che entrambi i titoli di questa collection si portano dietro. Il “quiet time” come viene chiamato nel gergo dei game designer è importante per definire il ritmo di un gioco, ma è importante non trasformarlo in “boring time”.
Cosa rende unico Night Alone?
Yomawari: Night Alone, il primo titolo di è questa collezione, ci introduce perfettamente agli aspetti topici che poi ritroveremo anche nel seguito. Ho trovato la storia della nostra protagonista senza nome alla ricerca del suo cane più inquietante di quella di Midnight Shadows, e senza fare spoiler di alcun tipo posso dire che in qualunque momento, il suo destino mi è sembrato sempre molto più incerto e il suo compito sempre più gravoso, se non altro anche solo per il sentimento desolante di solitudine che ho provato mettendomi nei suoi panni, rispetto a quello di Haru e Yui.
Cosa rende unico Midnight Shadows?
Midnight Shadows è per molti versi soltanto un’evoluzione di Night Alone, in tutti gli aspetti possibili: fedeltà grafica, resa espressiva e animazione dei personaggi, intelligenza artificiale, level design. Tuttavia, l’ho anche trovato leggermente più dispersivo del suo progenitore che già soffriva di questo problema. Per forme, abilità e varietà gli spiriti di Midnight Shadows sono se possibile ancora più spaventosi e il gioco sembra anche più sanguinolento. Mentre Night Alone vince per la trama, questo secondo capitolo ha un gameplay e un’interfaccia più raffinata e in generale fa qualche passo avanti, non abbastanza però da cambiare le carte in tavola.
A chi consigliamo Yomawari: The Long Night Collection?
Yomawari: The Long Night Collection è un esempio classico di horror psicologico giapponese, e come tale si comporta, si presenta e si gioca in modo un po’ diverso rispetto ai vari Outlast o Amnesia. Ciononostante, l’ho trovato decisamente più inquietante di quanto pensassi inizialmente e spesso in seguito ad alcune scene anche dopo aver smesso di giocare mi sono sentito come se avessi preso un pugno nello stomaco. È stato interessante andare ad informarsi e a imparare cose divertenti sull’immenso e complicatissimo folklore giapponese e sulle credenze più rurali e animiste. Mi sento di dover consigliare questo titolo a chiunque voglia qualcosa di più di un semplice spavento veloce, e stia cercando invece un’esperienza surreale e inquietante con una storia che tutto sommato sebbene non sia particolarmente complessa o intricata permette di appassionarsi ai personaggi principali e a provare comunque empatia vera per le loro disavventure.
- Atmosfera davvero spaventosa
- Design dei mostri originale
- Storia legata al folklore giapponese, interessante materia di studio
- La mappa è di difficile navigazione
- Il sistema di salvataggio è scomodo e poco intuitivo
- Il secondo gioco avrebbe potuto innovare un po’ di più
Yomawari: The Long Night Collection
Due esperienze terrificanti al prezzo di una
Yomawari: The Long Night Collection raccoglie i due capitoli della serie usciti finora e, se nessuno me lo avesse detto, avrei sinceramente fatto fatica a capire che si trattava di due titoli differenti, e che Midnight Shadows non fosse un DLC del primo gioco. Questi due giochi si assomigliano nel gameplay, nel design dei mostri e nella struttura della mappa: questo non è necessariamente un difetto, però considerando che sono passati quasi due anni dall’uscita del primo gioco a quella del secondo, si sarebbe dovuto giustamente chiedere un pochino di più. Questa formula funziona, ma ha evidenti problemi di ritmo, passando da scene piene di emozione e spavento a lunghe parti in cui dovremo semplicemente navigare strade quasi totalmente vuote per raggiungere un’area di interesse. Questo è reso più noioso anche dal fatto che, a volte, per delle semplici trappole non segnalate o da spiriti che ci prendono di sorpresa, verremo costretti a ricominciare dal punto di partenza. Consiglio personale: giocate questa collection a piccoli sprazzi di un’ora o due, l’aspetto horror ne soffrirà un pochino ma forse troverete meno pesante girare per le troppe viuzze vuote di queste città maledette.