Poco dopo aver sedato l’ennesimo assalto dei Turbanti Gialli, Zhao Yun e Lei Bin scoprono l’esistenza di una dea imprigionata da millenni in un blocco di ghiaccio. Il suo nome è Lixia e, dopo averla accidentalmente liberata, pretende che i guerrieri l’accompagnino attraverso il paese alla ricerca di sfere magiche che racchiudono il suo potere. Parte così la più classica delle quest di ricerca, stagliata però sullo sfondo di un periodo storico particolare in cui la Cina è dilaniata da guerre fra clan guidati da forti personalità. DYNASTY WARRIORS: Godseekers è la storia di questa avventura.
La serie DYNASTY WARRIORS non ha certo bisogno di presentazioni: basata su un sistema di gioco unico, incarnatosi fra le più diverse proprietà intellettuali, la più prolifica figlia di KOEI TECMO GAMES è senza dubbio una pietra miliare del videogioco di stampo nipponico. La sua qualità è però da sempre messa in discussione: c’è chi la definisce semplice, adrenalinica, immediata, addirittura inimitabile; altri ne discutono invece la profondità, marcando la banalità, la superficialità e la ripetitività di un gameplay fin troppo permissivo, reiterato in vent’anni senza mai troppe novità.
- Titolo: DYNASTY WARRIORS: Godseekers
- Piattaforma: PlayStation 4, PlayStation Vita
- Genere: Tactical RPG
- Giocatori: 1
- Software house: KOEI TECMO GAMES
- Sviluppatore: Omega Force
- Lingua: Inglese (testi), Giapponese (doppiaggio)
- Data di uscita: 1 febbraio 2017
- Disponibilità: digital delivery
- DLC: costume aggiuntivo per Lixia a pagamento
- Note: disponibile in Giappone anche su PlayStation 3
È inevitabile che una serie del genere senta dunque il peso degli anni, specie se fulcro delle sue reincarnazioni è proporre un sistema essenzialmente semplice e poco incline a modifiche strutturali che possano appunto compromettere tale semplicità. Per casi del genere, gli spin-off ricoprono il ruolo di pietra filosofale, poiché inclini a rinnovare la vitalità di un marchio che altrimenti sprofonderebbe fra gli abissi della demenza senile. In questo senso, l’impresa di cui si fa carico DYNASTY WARRIORS: Godseekers è encomiabile: adattare il brand a un genere (quasi) estraneo quale può essere quello degli RPG strategici turn-based. Omega Force è riuscita a svolgere il compito alla perfezione, e forse è proprio questo il problema.
Le Cronache dei Tre Regni
Come da tradizione, anche le vicende di questo spin-off si inseriscono sullo sfondo di quell’Epoca dei Tre Regni di cui il romanzo di Guanzhong si fa da secoli eredità. Il quadro dipinto è quello di una quest di ricerca attraverso un continente devastato da conflitti ideologici e dagli interessi di singoli clan che cercano di imporre a tutti i costi la propria egemonia. Il banale racconto del viaggio di due eroi alla ricerca delle sfere magiche è però solo il pretesto per inserirsi in maniera dinamica fra le meccaniche di dominio e potere che regolano i rapporti delle dinastie cinesi, permettendoci di conoscere, seguire e odiare alcune delle più eccentriche personalità, che a seconda dei casi potremmo apprezzare come rivali o sostenere come compagni. In questo senso, è da elogiare l’ottimo lavoro di approfondimento dei personaggi portato avanti da Omega Force attraverso una cura maniacale degli ufficiali, che riesce a donare vita anche al più stereotipato degli eroi giapponesi dai valori assoluti. Ciò avviene non solo attraverso i soliti e prolissi (e spesso inopportuni) intermezzi di testo tipici di ogni RPG che si rispetti, ma anche con cinematiche animate dal motore di gioco dalla regia convincente, sempre a metà fra il drammatico e il pomposo tipico di questa saga.
Ad aggiungere ulteriore profondità è la modalità Path of Destiny che, attraverso un pretesto narrativo assai discutibile, permette ai personaggi di dialogare fra loro indipendentemente dal momento in cui si sono incontrati: ogni guerriero avrà un diagramma dedicato i cui vari punti si sbloccheranno previo completamento di missioni e obiettivi secondari; ciascun punto ritrarrà una scenetta nella quale sarà possibile assistere a un dialogo in cui il soggetto principale si confronterà con un altro personaggio fino a raccontargli le proprie motivazioni e cosa lo spinge a combattere.
Il comparto narrativo, se considerato nel suo insieme, può ritenersi più che soddisfacente. È sicuramente da apprezzare l’ottimo lavoro svolto nella caratterizzazione di una tale ingente mole di personaggi (circa trenta), e giustifica appieno i frequenti intermezzi in corso d’opera totalmente inutili, che spezzano il ritmo di un gameplay già di suo problematico.
Questo matrimonio non s’ha da fare
Analizzare il gameplay di Godseekers non è stato facile: nel considerare la richiesta profondità tipica del sistema RPG in cui questo strategico a turni va a inserirsi, è d’obbligo tener presente anche l’appartenenza spirituale di questo spin-off a una serie che da sempre ha come peculiarità la semplicità e l’immediatezza. In questo senso, Godseekers è un esperimento riuscito solo per metà, perché per metà accontenta entrambe queste esigenze, proponendo un gameplay immediato e divertente calato in una struttura RPG sviluppata con troppa superficialità: la personalizzazione è infatti minimale e sufficiente, le mille armi son diverse fra loro solo per tratti essenziali, ma la loro influenza in battaglia è praticamente nulla; il sistema di talenti è mal organizzato, assegnato al tipo di unità e non a singolo personaggio; l’apprendimento di nuove tecniche è arbitrario e casuale, il loro range d’azione si differenzia pochissimo fra gli ufficiali; i nemici soffrono di un’IA mediocre sono vittime di routine tutte uguali. In sintesi, questo gioco pecca nel proporre strumenti potenzialmente utili a personalizzare il nostro approccio all’azione, ed è questo elemento che più di ogni altro decreta l’infaticabile crollo del sistema nervoso del giocatore a fronte delle più di trenta ore necessarie a completare l’esperienza. In tal senso, nemmeno i tre livelli di difficoltà proposti, tarati come sono verso un livello di sfida abbastanza permissivo, riescono a risollevare l’offerta, relegando piuttosto la già pedante noia al necessario grinding che, previo completamento di missioni secondarie, ci permetterà di salire di livello quel tanto che basta da potenziarci per sbaragliare qualsiasi ostacolo.
Tutto ciò sarebbe un difetto ingiustificabile se non si considerasse l’anima intrinsecamente Musou del titolo. La componente strategica si propone infatti semplice da padroneggiare, pregna di deliziose chicche che ne allietano la gestione quali la modalità Synchro, utile a pianificare una seconda serie di attacchi, e il sistema di bilanciamento della morale, che permette un incremento della forza delle unità previo completamento di semplici sotto-obiettivi. Anche i personaggi, seppur divisi in soli quattro tipi (tecnica, difesa, attacco e velocità), si presentano in un’ingente mole e dotati ognuno di attacchi più o meno specifici. Siamo lontani dalla complessità con cui può viziarci un Fire Emblem, ma ci troviamo vicini a una manipolazione peculiare del genere in grado di accontentare tanto i fan della saga di DYNASTY WARRIORS, quanto i novizi degli strategici a turni, che potrebbero trovare in questo Godseekers un ottimo pretesto per interessarsi al genere.
Come in ogni Musou che si rispetti, dunque, sterminare orde di nemici tutti uguali risulta tanto semplice quanto appagante, ma calati in una struttura così prepotentemente RPG ci si ritrova a cozzare con tutti gli intorni, finendo per avere fra le mani un gameplay che non riesce a reggere il peso di un’offerta così poco stratificata.
La maledizione dei cross-gen
Tecnicamente, Godseekers soffre di tutta la mole di problemi tipica che deriva da uno sviluppo cross-gen, fra texture e modelli poligonali visibilmente arretrati. Frequentissimi sono anche i cali di frame rate, specie durante le fasi finali, in cui le arene si riempiono di dettagli su schermo: inspiegabili, se si considera la minor mole di poligoni che il motore grafico dovrebbe gestire almeno su PlayStation 4 e le arene generalmente spoglie. Le animazioni dei personaggi sono spesso legnose e, come da copione, la maggior parte del lavoro di caratterizzazione è stato dedicato agli eroi, che devono combattere un oceano di volti tutti uguali. L’estetica proposta è il classico misto fra verosimiglianza storica e derive fantasy/fantascientifiche che questa saga ci offre da più di vent’anni, dove ad ambientazioni solenni e poteri dai mille colori si alternano armi inventate e armature e capigliature decisamente eclettiche. La colonna sonora è nella media, propone una serie di tracce dedicate a menù e particolari situazioni nella trama ma nel campo di battaglia si alternano in loop sempre le stesse tre melodie, che alla lunga sfiniscono anche il fan più sfegatato della serie. Nota di merito finale va al mastodontico lavoro di doppiaggio, dedicato ad ogni singola stringa di testo del gioco, dagli intermezzi in battaglia all’approfondita modalità Path of Destiny.
A chi consigliamo DYNASTY WARRIORS: Godseekers?
Consigliamo Godseekers ai fan della serie DYNASTY WARRIORS poiché vi troveranno tutte le caratteristiche del brand da loro tanto amato riproposte in un contesto fresco ed eccentrico. Consigliato anche ai neofiti e ai curiosi del genere proposto, che troveranno almeno nelle sue prime battute un gioco che saprà educarli adeguatamente, a patto di gustarlo a piccole dosi. È possibile acquistare DYNASTY WARRIORS: Godseekers in Europa esclusivamente tramite PlayStation Store su PlayStation 4 e PlayStation Vita.
- Narrativamente ottimo
- Divertente, immediato e facile, adatto a neofiti e fan della saga
- Esperimento di ibridazione dei generi riuscito
- Componenti RPG mal orchestrate
- Comparto tecnico visibilmente arretrato
- Esperimento di ibridazione dei generi riuscito
DYNASTY WARRIORS: Godseekers
Quando le intenzioni da sole non bastano
Come ho già detto, recensire DYNASTY WARRIORS: Godseekers non è stato per niente facile: da un lato, questo spin-off curato da Omega Force riesce a contestualizzare con coerenza tutte le caratteristiche del suo più grande marchio in un genere a se stesso estraneo; ma dall’altro lato, per quanto nobile possa essere tale impresa, il lavoro svolto è insufficiente e il prodotto appare sviluppato solo in superficie, pregno di una serie di difetti difficilmente giustificabili. L’ennesimo caso di quanto, a volte, le intenzioni possano non bastare.