So già che me ne pentirò, so già che questa mia frase susciterà qualche scontento da parte vostra, ma ogni volta che Gou Tanabe fa uscire un nuovo adattamento di H. P. Lovecraft, mi convinco sempre di più che i giapponesi abbiano compreso l’autore molto più di quanto lo abbiano mai fatto gli occidentali. Almeno nel fumetto.
Partiamo però da qualche presupposto però, chi è Lovecraft? Perché è così importante nella cultura horror e soprattutto, cosa ha insegnato al mondo la sua scrittura? Howard Philip Lovecraft è uno dei maggiori esponenti della cultura horror letteraria, un autore estremamente prolifico di inizio ‘900. Gli scritti di Lovecraft si può dire siano alla base di quasi tutto il genere horror e anche in molte sfumature dei prodotti fantascientifici. Senza nulla togliere a Lord Dunsany e a Edgar Allan Poe, che hanno praticamente consacrato il genere qualche decennio prima dello scrittore di Providence, si può dire che Lovecraft lo abbia reso un pilastro.
La peculiarità più inconfondibile dei suoi scritti sta nei metodi descrittivi e nell’estetica narrativa dell’oggetto terrifico. Per Lovecraft infatti il terrore non ha ne forma ne nome, per questo ogni elemento della sua scrittura che si riferisce all’oggetto del terrore è sempre vago, negativo o descritto nelle sue qualità più inconcepibili. L’orrore dunque è un concetto che evoca sensazioni ma nasconde la forma, e nella sua indefinitezza agguanta il lettore in una presa strettissima.
Il concetto narrativo Lovecraftiano dunque ha conferito al mondo della narrazione standard estetici e narrativi ampiamente utilizzati in tutti i media (libri, videogiochi, fumetti e cinema) di tutte le culture influenzando centinaia e centinaia di prodotti. La formula Lovecraftiana dell’orrore ha dunque un enorme successo, è efficace, pulita e viene riprodotta nelle forme più disparate, fino a giungere in Giappone. Nonostante infatti il maestro di Providence sia un autore occidentale, l’impatto che ha avuto in particolare sul fumetto e il cinema giapponese è innegabile.
Autori come Junji Ito, prodotti cinematografici del calibro di Tetsuo: The Iron Man, alcuni elementi delle storie di Kazuo Umezu e infine gli splendidi adattamenti di Gou Tanabe, dimostrano come ancora una volta il popolo nipponico sia riuscito a carpire un concetto dalla nostra cultura e lo abbia saputo sviluppare fino allo stremo, fino a fonderlo con elementi della propria cultura narrativa come il rapporto col corpo e l’estremizzazione della violenza.
Se a ciò si aggiunge una cultura narrativa focalizzata sul controllo del ritmo narrativo, sulla dinamica e il movimento, il risultato è davvero incredibile. Nei suoi adattamenti Tanabe nasconde l’elemento terrifico, in una zona grigia e indefinita o volutamente occultato dai chiaroscuri intensi. Attraverso il disegno l’autore giapponese è riuscito perfettamente a realizzare quelle sensazioni e a rievocare immagini di altri mondi, altri spazi e a trasporre le tecniche narrative di Lovecraft tra le proprie vignette.
Un adattamento che non ha nulla da invidiare al Providence di Alan Moore, all’Hellblazer di Dillon e addirittura agli scritti originali del maestro di Providence.
La vista
A primo impatto i lavori di Tanabe travolgono per la potenza visiva e il lavoro eccellente fatto sul design e sulle ambientazioni. Aiutato sicuramente anche da una enorme letteratura fumettistica, letteraria e cinematografica basata su Lovecraft negli anni, la Providence degli orrori cosmici emerge con forte impatto. Atmosfere gotiche, solenni, mostruosità cosmiche quasi mai inquadrate nella loro totalità o abilmente nascoste dai chiaroscuri pesanti. La vista è la sensazione prediletta all’interno di questi lavori, o meglio, il visivo. Tanabe si configura infatti come uno dei pochi che, comprendendo come l’iper-descrittività di Lovecraft fosse maggiormente basata sulla percezione visiva, ha trasposto questo concetto nel disegno e nel segno grafico.
Tutto il lavoro visivo fatto da Tanabe ha un unico e solo obiettivo: rendere l’orrore una sensazione indefinita, collocarlo nello spazio del non detto e, attraverso una regia davvero abile, immergere il lettore in un atmosfera soffocante. L’orrore entra a far parte di un gioco show not tell in cui il disegno riesce ad arrivare dove la parola non può. E ne risulta un prodotto molto più scorrevole di alcuni dei lavori del maestro di Providence, in quanto il medium del disegno permette al narratore di prendersi i propri silenzi per mostrare e far vedere. Un abile gioco narrativo basato sulla vista dunque; un vedo non vedo che suggerisce.
Il tutto è condito da uno stile preciso e pulito, quasi manieristico in alcuni punti. L’utilizzo di diverse tipologie di tratto che si fondono molto bene dimostra una capacità enorme di padronanza del medium, il tratto infatti piega la propria espressività alla narrazione mantenendo un organizzazione stilistica assolutamente compatta.
Gli altri sensi
Ciò che non può essere descritto può essere solo vagamente rievocato. Lovecraft utilizzava spesso la descrizione di sensazioni vaghe e sconosciute che, contrapponendosi con uno stile descrittivo manieristico delle ambientazioni, riusciva a creare un forte impatto emotivo e una forte sensazione di straniamento.
Tralasciando le sensazioni visive di cui abbiamo ampiamente parlato nel paragrafo precedente, concentriamoci invece su come Gou Tanabe sia riuscito a trasporre i suoni e gli odori sfruttati da Lovecraft stesso per evocare senza mai cadere nel dettaglio. Come Tanabe avrà dunque realizzato concetti così vaghi all’interno del medium fumettistico?
Prima di tutto la raffigurazione del suono, attraverso l’utilizzo delle onomatopee, è centellinato e riservato solamente a momenti ampi e solenni. I suoni nelle lingue antiche dunque emergono con forza all’interno di questo contesto. In contrasto con le atmosfere piatte e silenziose il suono non può non essere notato e finisce sempre per rievocare nel lettore quelle sensazioni “altre” che l’orrore cosmico porta sempre in grembo.
Infine gli odori. La maggior parte delle storie e dei mostri Lovecraftiani riportano sempre questo dettaglio, ovvero un odore nauseabondo di putrefazione che sembra accompagnare tutto ciò che è legato agli altri spazi. Oltre a diventare un sinonimo di presagio, l’odore è stato rappresentato efficacemente da Tanabe nel suo adattamento de “L’Orrore di Dunwich”. Attraverso delle striature bianche che fluttuano nello spazio riesce dunque a dar vita alla sensazione olfattiva mettendo dunque da parte le descrizioni e riuscendo abilmente e renderlo un elemento facilmente riconoscibile nelle vignette in cui è presente.
Il ritmo della paura
Che Lovecraft sia uno scrittore dalla rarissima immaginazione, capace di evocare immagini potentissime e maestro assoluto delle ambientazioni, questo è fuori da ogni dubbio. I suoi mondi, l’estetica cosmica e l’idea di terrore che permea i suoi scritti hanno letteralmente inventato un genere, influenzato generazioni di scrittori a venire e creato degli standard dal quale è molto difficile scostarsi anche adesso se ci si vuole avvicinare al genere horror. Tuttavia Lovecraft non è un ottimo narratore: il suo stile estremamente pomposo e descrittivo e la quasi totale mancanza di dialoghi rendono i suoi scritti molto lenti e pesanti rispetto alla tipologia di narrazione che siamo abituati a vedere adesso. Per questo ritengo che Tanabe abbia fatto un lavoro più che magistrale nei suoi adattamenti.
Gou Tanabe traspone i racconti cambiando medium, crea un ritmo ben scandito, utilizza la suddivisione classica dei quattro tempi giapponesi in maniera molto scaltra e riesce a alleggerire quel peso e quella pomposità che i racconti del maestro di Lovecraft. Scorrendo le pagine, attraverso l’inserimento di dialoghi inediti e piccole modifiche alla storia originale, riesce a donare respiro e a bypassare lo stile iper descrittivo di H.P.L. attraverso uno stile di disegno a tratti manieristico e iper dettagliato che si mischia perfettamente a tavole dai chiaroscuri netti che nascondono e tengono nell’ombra tutto ciò che è innominabile, indescrivibile e terrificante.
In questo caso quindi il medium del fumetto lo aiuta tantissimo, perché ciò che Lovecraft descrive minuziosamente e che appesantisce il testo originale, Tanabe lo mostra con gli inchiostri e con una maestria davvero rara.
La fedeltà al maestro di Providence
Nonostante i secoli di differenza, e nonostante il cambio del medium, la fedeltà di Tanabe al maestro è davvero incredibile. Quasi totale in termini contenutistici. Le vicende di una Providence maledetta, che nasconde sotto la superficie l’esistenza di culti di civiltà antichissime e lontane nel tempo si susseguono e ripercorrono quasi in maniera maniacale i racconti originali.
L’unico cambiamento radicale fatto da Tanabe sta nel cambio della prospettiva narrativa. Lovecraft infatti porta molto spesso uno stile narrativo giornalistico, il narratore esterno ripercorre gli eventi e descrive con minuzia i fatti, sono dunque racconti essenzialmente plot driven. Tanabe fa invece qui un’operazione inversa, forte anche dell’enorme eredità lasciatagli dai mangaka e della narrativa orientale, riflette tutto in termini character driven. Il protagonista e la sua esperienza è sempre al centro della narrativa, vengono aggiunte spesso alcune parentesi introspettive e l’arco di trasformazione tipico della narrazione giapponese viene rappresentato sfruttando la formula Lovecraftiana del più conosco più impazzisco. In questo modo Tanabe riesce sempre a dare un punto di vista interno alla storia anche quando l’autore originale non lo aveva pensato e in qualche modo aumenta l’efficacia dell’empatizzazione da parte del lettore.
Un altro fattore che dista dalla narrazione originale sta nella rappresentazione grafica di alcuni elementi. Negli scritti del maestro infatti tutti i riferimenti alle mostruosità, alle architetture impossibili, al design dei reperti archeologici, sono spesso accennati o descritti in termini vaghi e negativi. Qui Tanabe ha dovuto però rappresentarli graficamente e ha dovuto in qualche modo “inventare” ciò che Lovecraft non ha mai voluto descrivere. Ne risulta un’operazione davvero magistrale, l’idolo di Cthulhu in pietra, i gioielli blasfemi di Innsmouth, le città dei Grandi Antichi, sono state rappresentate in maniera estremamente dettagliata ma senza mai uscire da quell’idea di indefinito e misteriosamente diverso che l’autore originale voleva veicolare.
Complice anche il magnifico gioco di chiaroscuri netti e l’ormai immensa letteratura ispirata a Lovecraft nell’ambito del fumetto che molto probabilmente hanno aiutato Tanabe a gestire dei design così complessi e stranianti.
Lo volete un consiglio?
Per scrivere questo articolo ho ripercorso gli scritti originali parallelamente ai fumetti di Tanabe. Oltre a essere stata un’esperienza di lettura che mi ha completamente immerso nella Providence di H.P.L. è stato davvero interessante ripercorrere le assonanze e le dissonanze tra i due autori, assaporare due diversi medium e poter godere delle storie in una maniera molto più ricca e intensa. Un’esperienza che consiglio a tutti gli amanti del maestro di Providence e più in generale agli amanti dell’horror cosmico.