L’estate, per me, è sempre stato un periodo di ritorno alla fanciullezza videoludica. Da tanti anni, infatti, complice il maggior tempo libero dato dall’assenza di impegni scolastici prima e universitari poi, insieme ai primi caldi di giugno viene anche il momento di rispolverare il Nintendo DS prima e 3DS poi, e di ricominciare a giocare “seriamente” (per quanto controintuitivo questo aggettivo possa sembrare, vista la natura del gioco) alla serie di Animal Crossing.
La tradizione si era in qualche modo interrotta negli ultimi due anni per diversi problemi, in primis la mancanza di una console funzionante. Speravo che quest’estate sarebbe stato diverso, perché già pregustavo una giornata al mare in compagnia di Nintendo Switch e dell’Animal Crossing che poi si sarebbe rivelato chiamarsi New Horizons; con l’annuncio del nome ufficiale all’E3 però venne anche quello del ritardo del lancio, rimandato a marzo 2020. Purtroppo, la pazienza non è una delle mie virtù e quindi presi la decisione che qualsiasi persona sana di mente avrebbe preso nei miei panni: in occasione dell’Amazon Prime Day, fra i vari oggetti nel mio carrello c’erano anche un Nintendo 2DS XL e una copia di Animal Crossing: New Leaf.
Una domanda potrebbe sorgervi spontanea: perché non giocare ad Animal Crossing: Pocket Camp su smartphone per “calmare la sete”? Ammetto di avere parecchi pregiudizi e preconcetti riguardanti il mobile gaming, visti certi esempi di monetizzazione aggressiva e bassa qualità generale dei titoli sulla piattaforma, ma fortunatamente non è il caso di Pocket Camp. Tutti i titoli mobile di Nintendo infatti sono caratterizzati dalla stessa pulizia e cura per i dettagli che troviamo su console. Semplicemente, qui si tratta di gusto personale e di una certa dose di nostalgia che non nego.
Tralasciando per un momento la catarsi dell’abbandonare storie fantastiche, gameplay frenetici e comparti multiplayer competitivi per dedicarsi alla pesca e alla quieta contemplazione di un piccolo ambiente idilliaco, giocando giorno dopo giorno sono rimasto stupito da quanto il concetto di “rispetto” venga fuori in questa serie iniziata ormai nel lontano 2001. Non solo come insegnamento, ma anche come atteggiamento del titolo nei confronti del giocatore.
Animal Crossing rispetta il tuo tempo
Viviamo in un mondo digitale costantemente bombardati di notizie di qui, notifiche di là, e nuovi concetti da assimilare appresi ovunque; l’information overload è un fenomeno reale e ben documentato, e la serie Dobutsu no Mori sembra fatta apposta per combatterlo. Tanti giochi attuali, specialmente quelli categorizzati come live service anche su console casalinghe, offrono al giocatore cose che siamo abituati a trovare sui mobage come bonus per i login giornalieri o consecutivi, eventi a tema limitati, notifiche push e altro ancora. Questi elementi totalizzanti permettono di fidelizzare il giocatore che, per paura di non rimanere al passo, si ritrova costantemente sotto pressione con il timore di lasciarsi sfuggire qualcosa.
Animal Crossing d’altro canto spinge il giocatore a rallentare il proprio ritmo e a riportarlo a livelli “sani”. I negozi hanno orari ben precisi, così come gli abitanti del villaggio: le attività seguono il flusso del tempo e spesso durano una singola giornata, ripetendosi comunque regolarmente per permettere a tutti di provarle. Parlando di progressione vera e propria, i miglioramenti alla casa, ai negozi, le opere pubbliche e quasi tutti i cambiamenti importanti richiedono una quantità considerevole di tempo reale per giungere a compimento. Insomma, c’è un limite netto alla quantità di cose che è possibile fare in un giorno. Dove gli altri giochi richiedono sempre più attenzioni peggio di un tamagotchi, i titoli concettualizzati da Katsuya Eguchi, ad un certo punto, ci costringeranno a chiudere il 3DS, e accontentarci di quanto fatto durante la giornata.
Animal Crossing rispetta l’ambiente
Questa categoria risulta di facilissima comprensione: tutti i titoli del franchise si svolgono in un ambiente prettamente rurale che, come abitanti prima e come sindaci poi in New Leaf, avremo il compito di proteggere e migliorare. Questo va dal semplice giardinaggio all’incrocio di fiori per ottenere nuove varietà, fino alla pulizia della cittadina da piante appassite, e persino allo smaltimento di spazzatura inquinante.
Il messaggio ambientalista del titolo è chiaro e spesso esplicito, con casi limite in cui l’abitante stesso, pescando una lattina vuota, chiederà al giocatore di non inquinare le acque. In New Leaf, per smaltire questo tipo di rifiuti sarà necessario pagare una tassa proprio come nella vita reale, e “viaggiare nel tempo” (pratica che consiste nel manipolare la data della console per saltare certe stagioni, eventi, o ottenere interessi sul conto in banca) ha conseguenze pesanti sull’ambiente con prati che si restringono, erbacce ovunque e cittadini arrabbiati; quello che ci troviamo davanti basta per instillare, specialmente nei giocatori più giovani, un rispetto per la natura su cui altri giochi simili glissano velocemente.
Animal Crossing rispetta i propri NPC
Katsuya Eguchi, game designer e mente dietro al franchise ha rivelato in diverse interviste che l’idea per Animal Forest, nome tradotto dall’originale giapponese, è nata quando per motivi lavorativi l’allora ventunenne fresco di laurea si è dovuto spostare da Chiba alla sede di Nintendo a Kyoto, trovandosi così spaesato in un ambiente nuovo e a lui sconosciuto, dovendo ricrearsi da capo una vita sociale.
Proprio per questo, egoisticamente parlando, il nostro personaggio sarà il vero e proprio centro della sua comunità. I vari cittadini pendono metaforicamente dalle labbra dell’Abitante-Sindaco, pronti a cambiare persino i loro modi di dire su richiesta, ma mantengono comunque una propria indipendenza. Essi infatti potranno traslocare a piacere oltre a scegliersi liberamente modi di dire, vestiti o soprannomi, a volte suscitando nel giocatore anche forti emozioni in caso di abitanti a cui siamo particolarmente affezionati…
In un certo senso, il non avere controllo su queste cose ci mette di fronte alla realtà: per quanto noi possiamo essere dei bravi vicini, dare agli altri NPC diverse scelte di libero arbitrio invece che trasformare gli abitanti in dei droni selezionabili a piacere ci mette di fronte all’inevitabilità che non si possono trattenere tutti: se ami davvero qualcuno, devi lasciarlo libero di partire, alla volta di nuove console.
Devo ringraziare Nintendo per quello che alla fine si è rivelato essere una benedizione sotto mentite spoglie: il ritardo di Animal Crossing: New Horizons, deciso per evitare di ricorrere all’aberrante pratica del crunch, ha messo in atto tutta questa catena di eventi che, alla fine, è sfociata in questo articolo. Fuffi, sei la mia musa ispiratrice.