Come ogni stagione anche il primo blocco animato del 2024 vede la netta predominanza degli anime diffusi sulla piattaforma Crunchyroll, e anche questa volta sono stati numerosi i sequel attesi che hanno fatto parlare di sé: l’arco di Hegghead di One Piece, le continuazioni dei top 3 della scorsa stagione (Shangri-La Frontier, Frieren e Il monologo della speziale), ma anche di altri titoli molto apprezzati, come Mashle o Classroom of the Elite. Stesso discorso per quanto riguarda le new entry: tante ottime trasposizioni, ma anche originals, con alcune sorprese che vi accompagneranno tra duelli, combattimenti, e persino romanticismo. Ecco quindi la nostra classifica (piuttosto serrata, senza netti distacchi) dei migliori anime da vedere per la stagione inverno 2024!
10 – The Unwanted Undead Adventurer
Lo studio Connect, famoso principalmente per serie ecchi (come Strike the Blood o l’ultimo discusso Akayashi Triangle) si cimenta in una delle tante opere che ormai tirano, fatte di dungeons e livellamenti: The Unwanted Undead Adventurer segue infatti le vicende di Rentt Faina, un avventuriero che lavora da solo e che un giorno viene assalito ed eliminato da uno strano drago. Misteriosamente però si risveglia come un non morto, con ancora la sua coscienza; con l’aiuto di suoi amici e nascondendosi dalla gilda proverà a recuperare le sue sembianze umane, cercando di evolversi in mostri dall’aspetto meno “morto”. La narrazione di questa disavventura è ottima, non pressante, e nonostante le sue molte banalità sa regalare attimi di spensieratezza in una stagione ricca di anime frenetici: i 12 episodi (tratti da light novel) potevano tranquillamente essere 2, ma in questo modo apprezziamo sia l’esperienza che i desideri di Rentt.
Le radici dello studio Connect si notano ovviamente nel lavoro svolto sui personaggi femminili, come Sheila o Lorraine, ma persino queste figure ci vengono mostrate più come dei “save-point” (dove riposare dalle fatiche), con atteggiamenti anche profondi, e solo in parte inserite in inutili siparietti di comicità forzata o di “esibizione”. Per il resto c’è poco da aggiungere: una base narrativa standard, ma piacevole; il classico dungeon con alcune interessanti aggiunte; la crescita del personaggio vista dal lato di un mostro, che aggiunge quel minimo di mistero necessario al funzionamento. Per finire una caratterizzazione del protagonista piuttosto interiore, la quale però non punta a tediarti con tragedie o complicazioni personali infinite, ma che sfrutta pochi avvenimenti sofferti ben piazzati per costruire un carattere e una morale coerenti. Per esempio, questi fatti delineano la sua ossessione di voler diventare un avventuriero di grado mithril e le relative scelte, compresa quella dell’ultimo episodio, che ci offre un finale appropriato. Non sarà certo un top stagionale, ma è una di quelle opere da guardare per ottenere un po’ di dovuta tranquillità.
9 – The Weakest Tamer Began a Journey to Pick Up Trash
Oltre la sufficienza è anche quest’anime che ripercorre (per l’ennesima volta, diciamolo) le gesta di una piccola domatrice che con il suo slime affronta le insidie di un mondo fin troppo crudele nei suoi confronti. Evy è infatti costretta a fuggire dal suo villaggio quando viene additata come portatrice di sventure per aver fallito una prova valutazione magica, dopo essere stata ripudiata persino dalla sua famiglia; per sopravvivere e scappare dagli inseguitori si avventura verso territori sconosciuti, vagando come un’avventuriera alle prime armi. Solito anime di avventura e magia, solite capacità nascoste, soliti discorsi didascalici e lenti, solite scopiazzature a situazioni basilari da titolo di serie C… ma allora perché si trova in questa lista, vi chiederete? Semplicemente perché questo titolo, partendo a bomba con il primo episodio (tecnicamente ottimo, e con un taglio parecchio drammatico) riesce a trasmettere con forza le sue emozioni, che siano tristezza, rabbia, tenerezza o sollievo.
Se gli aspetti empatici hanno successo è grazie anche allo stile decisamente curato per un anime del genere, che si tratti di dettagli, di espressioni, o semplicemente delle ambientazioni (basti pensare alla cura per l’opening). Le aspettative purtroppo non rimangono quelle proposte dal primo episodio, ma lo studio Massket al suo primo lavoro internazionale ha comunque saputo incuriosire con una trama che ti prende nonostante le banalità, trascinandoti sino agli episodi finali più improntati sull’azione. Se l’adattamento di questa serie di romanzi saprà offrire nuove prospettive dal lato isekai (inteso come reincarnazione), un dettaglio attualmente inutile per la trama, lo scopriremo in futuro. Di certo c’è che questa dolce protagonista nasconde tanti segreti: citazioni ambigue, riflessioni sotto le stelle e una voce interiore sono un preludio a grandi antefatti, e potrebbero arricchire un titolo che per ora non mostra molta originalità, ma comunque una buona narrazione.
8 – Bucchigiri
Cosa accade quando lo studio MAPPA mette mano a una serie che non punta tutto su duelli o combattimenti violenti, ma principalmente su aspetti comici? Questa risposta ce la fornisce Bucchigiri, un anime “stupido” come quelli di una volta, ma con alcuni tocchi grafici e di regia veramente piacevoli, che ci narra una storia dalle tinte asiatiche: Arajin Tomoshibi (Ara) è uno studente che viene trasferito in una scuola contesa tra tre bande di delinquenti, dove ogni rissa sembra lecita. Qui incontra il suo amico d’infanzia, Matakara Asamine, che ancora prosegue nella promessa che si erano fatti da piccoli: diventare honkibito, ovvero “uomini seri”, mitologici combattenti il cui nome potrebbe significare anche “genio”. Ed è proprio invocando un desiderio che Ara invoca Senya dal santuario, che gli concederà la forza di sopravvivere ai furiosi scontri nei quali finisce sempre implicato suo malgrado.
Tamarro, a volte demenziale e altre più profondo (vi farà sia ridere che soffrire) questo titolo offre molti richiami a note opere del passato: le atmosfere di Beelzebub, meccaniche da Inferno e Paradiso, agganci alle rivalità di JOJO, siparietti amorosi da Lamù, tutto condito con molta parodia e stupidità. Diciamolo, questo stile non si accoppia benissimo con le animazioni dello studio MAPPA, che però contribuiscono a non far scadere l’opera in una pura commedia scolastica. Se infatti molti discorsi ed evoluzioni narrative sono tipici delle commedie che tutti abbiamo visto da piccoli, i combattimenti e la storia di fondo (pur ormai pluri-sfruttata, come si è visto in Tokyo Revengers) sono piacevoli da guardare e da assaporare. Non che il lato comico sia pessimo: molti scambi di battute e scenette (come i siparietti del Nyan Nyaight Love) sono piacevoli, ma spesso anche scontati e per questo possono stancare. Il mio consiglio? guardatevi la opening e capirete ad impatto se è un titolo che fa per voi, e nel caso fosse così abbiate il coraggio di seguirlo fino allo strepitoso combattimento finale che risolleva la serie e lascia spazio a una seconda stagione.
7 – Sengoku Youko
Non sembra aver riscosso molto successo Sengoku Youko, anime dello studio White Fox che racconta la storia di due gemelli in viaggio nel Giappone Feudale. Tama e Jinka sono rispettivamente un demone che ama gli umani e un umano che ama i demoni (i Katawara) e per questo la ragazza e il ragazzo viaggiano nel mondo alla ricerca di loro “simili”, combattendo le ingiustizie: in quest’epoca infatti molte sciagure che coinvolgono la popolazione, tra minacce, fame, sacrifici e soprusi, sembrano dovute a cause innaturali. Oltre a Hyoudou Shinsuke, uno spadaccino poco coraggioso e diffidente, nel loro tragitto incontreranno molti alleati, ma anche tanti nemici, come un’organizzazione di monaci combattenti che vuole eliminare proprio gli Youko, le creature demoniache.
Tratto dal manga Creature Arcane di Satoshi Mizukami, lo stesso autore di Samidare (si vede il tocco), iniziato solamente due anni più tardi (nel 2007), anche questo titolo mostra la stessa buona impostazione di trama, ma con uno studio di animazione che non ne ha affossato la visone come nel caso della precedente opera: ottima opening, disegni decenti e molto vecchio stile (come le storie trattate), discorsi non sempre “lucidi”, ma spesso profondi e comprensivi e una buona evoluzione dei personaggi durante la loro avventura. Tutto più che sufficiente, con punte di eccellenza nella narrazione di alcuni drammi; se lo avete skippato a causa dell’inizio troppo “noioso” (e temo siano stati in molti) dategli una seconda possibilità: questo titolo è ricco di riferimenti/omaggi sia ad Ushio e Tora che alle situazioni di grandi classici come Inuyasha, con una piacevole interpretazione degli yokai e delle altre creature mitologiche. Insomma, dietro un velo “bambinesco” si nasconde un buon anime, e anche se c’è non ci sono garanzie su una seconda stagione (inizialmente erano previsti 37 episodi, ma poi l’arco si è chiuso a 13) non posso che consigliarvelo.
6 – The Wrong Way to Use Healing Magic
Ecco ora uno di quei titoli da “skip” quasi automatico dopo aver visto il titolo, la descrizione e qualche frame, ma che invece ha uno sviluppo sensazionale (rispetto alla qualità di partenza) sia in termini di emozioni che di trama. La storia segue le gesta di Ken Usato, uno studente evocato in un altro mondo con due suoi compagni per salvare l’ennesimo regno dall’attacco dei demoni, e che però non sembra avere le qualità per fare l’eroe; ben presto tuttavia scopre di avere un potere “raro” e sempre comodo, quello della magia di guarigione. Inizierà così ad allenarsi, come sottolinea il titolo, in modo non convenzionale per diventare un healer, fino a trasformarsi in un membro fondamentale sul campo di battaglia.
La bellezza di questo anime è forse la sorpresa di trovarsi di fronte a una storia solida e divertente, nonostante le premesse da infima serie. Il dubbio poteva insorgere osservando le buone animazioni/musiche dello studio Shin-Ei Animation (che già aveva saputo stupire con The Danger in my Heart) ma l’inizio di questo titolo è troppo standard per attirare l’attenzione: l’evocazione, l’eroe messo da parte, la lotta contro i demoni, i siparietti comici e così via. Poco alla volta, però, vengono fuori dei tratti di originalità: Usato che non viene messo da parte o bistrattato nel classico modo ingiustificato di molti isekai, personaggi con un una Lore di tutto rispetto (come il comandante Rose), co-protagonisti e avversari che impattano direttamente sulla trama, con un buon livello caratteriale (compresi i due evocati con lui), e per finire episodi che migliorano sino alla promettente conclusione. Persino i momenti più stupidi, o quelli “acchiappa like” (vedasi per Felm) sono meno superficiali di quanto possa sembrare. Certo, c’è un continuo alternarsi di animazioni/elementi da sufficienza a tratti dove l’animazione o la trama riprendono vigore, che siano combattimenti, ricordi crudi o l’introduzione di nuovi personaggi. Se l’avete abbandonato dopo il primo episodio vi siete persi un titolo interessante con alcuni istanti di ottimo fervore.
5 – Sasaki and Peeps
La personale sorpresa di questa stagione ce la offre lo Studio Silver Link, adattando una light novel (scritta da Buncololi) ricca di potenzialità… ma andiamo con ordine. Gli isekai sono sempre troppi e con schemi ripetitivi e noiosi, lo sostengo da molto, ma di tanto in tanto c’è qualche opera che aggiunge un tocco di novità e in queste rientra sicuramente Sasaki and Peeps: Sasaki è un impiegato dedito al lavoro che un giorno decide di adottare un animale, e sceglie un padda, l’uccellino tuttavia non è quello che sembra! Si tratta infatti della “reincarnazione” di un potente mago proveniente da un mondo parallelo, nel quale anche l’impiegato ben presto viene catapultato. Lì inizierà a far fruttare tutte le sue abilità lavorative, ma non solo! Il nuovo ambiente gli regalerà opportunità commerciali, ma anche intrighi politici, e persino sulla Terra avrà pane per i suoi denti, entrando in contatto con un’organizzazione segreta di Esper.
Questa è la storia in breve, ma sappiate che Sasaki and Peeps racchiude tutta una serie di aspetti che hanno reso famosi molti titoli del passato: reincarnazioni in animali, commercio tra un mondo e l’altro, maghi, poteri psichici, complotti, guerre tra regni e società segrete. Tutto fa brodo per questa coraggiosa serie che, ricordando un po’ Saving 80000 Gold in Another World for My Retirement, un po’ Tsuki ga Michibiku Isekai Douchuu, un po’ A Certain Magical Index e così via, amalgama tutto in una trama sorprendentemente coerente per la mole di informazioni. Certo, a tratti la narrazione sembra perdersi o saltare qualche passaggio (come nell’episodio 4) e la colonna sonora è persino fastidiosa in certi punti, ma tutto è così improbabile, dal nome dell’uccello (Piercarlo) all’introduzione delle meccaniche, che non ti viene voglia di abbandonarlo. Passando da salvataggi improbabili alle tipiche scelte degli anime “diplomatici” e “gestionali” quest’anime ci regala 12 episodi (con il primo dalla doppia durata, ottima scelta) ricchi di intrattenimento, con molte questioni lasciate aperte, e risolvendo solo pochi dei misteri che vi allieteranno e turberanno sino all’apertissimo finale.
4 – The Witch and the Beast
Come il manga di Kōsuke Satake, che alla sua prima opera giunta in Italia ha saputo riscuotere buoni apprezzamenti, anche l’anime di The Witch and the Beast offre una certa originalità e consistenza. Tutto inizia seguendo il viaggio di un “mago”, Ashaf, che viaggia per il continente come delegato della sua organizzazione, per risolvere vari casi legati alla stregoneria. Ad accompagnarlo c’è il suo bagaglio (una bara portata come uno zaino) e una ragazzina, Guideau, che sta cercando una strega ben precisa, allo scopo di eliminare la maledizione che l’affligge; per rimuoverla ci sono solamente tre modi: uccidere chi l’ha lanciata, il bacio del vero amore e, fatto sconosciuto ai più, anche un bacio estorto a una strega, seppur in questo caso la maledizione scompaia solo per poco tempo. Due sono i punti di forza di questo titolo: la visione dei personaggi e la regia. Nel primo caso ci troviamo di fronte a una caratterizzazione forse scontata, ma distintiva, sia dei protagonisti che di quelli secondari, fatta più di impatto visivo che di parole (un po’ alla NANA oserei dire in certi attimi); riguardo al secondo punto, è pur vero che la trama appare semplice, con una storia lineare tipica dei “viaggi a puntate”, ma la gestione delle animazioni e della narrazione è armoniosa e suggestiva.
La serie parte con un primo episodio col botto, facendoci apprezzare la coppia di personaggi iniziali (che non è quella presentata nell’anteprima), mostrandoci il loro modo di fare e i loro accessori: Guideau ha tutti i tratti dei ribelli che lottano contro il mondo intero, mentre Ashaf, con la sua bara che fa tanto Wolfswood di Trigun o Ginko di Mushishi (anche se la funzione è più quella di Demon Slayer) e con la sua parlata calma e inespressiva, racchiude tutti gli interrogativi della sua organizzazione. Diciamolo, questo schema classico di missione-ricerca-battaglia-nuovo viaggio potrebbe risultare stretto a molti, così come dialoghi e il fatto che sin da subito traspaiono alcuni obiettivi dell’avventura, ma l’alone di curiosità iniziale sopravvive: dal background, con l’ammaliante descrizione del mondo elargita dall’ultimo episodio, ai personaggi, con la comparsa della coppia Phanora/Johan e dei vari nemici corredati da inquietanti poteri e artefatti. Un ottimo anime dalle atmosfere gotiche, dove gli aspetti più dark e più cruenti sono comunque miticati dalla regia e da contorni fiabeschi, per un risultato piacevole e non troppo opprimente al quale ancora molto dovrà essere aggiunto.
3 – Metallic Rouge
In occasione del suo venticinquesimo anniversario, lo studio BONES ci propone un delizioso original, scritto da Toshizō Nemoto con la sceneggiatura di Yutaka Izubuchi. Questa storia, fatta di mecha e fantascienza, ci racconta il viaggio di due ragazze in un mondo dove umani e androidi (i Nean) coesistono, ma nel quale questi ultimi vengono duramente sfruttati perchè costretti a sottostare al (famoso) codice Asimov: a loro non è permesso far del male agli uomini, eppure Rouge, pur essendo un’androide, riesce a sfuggire a questa logica. Per questo la sua alleata Naomi (potremmo dire amica) la ingaggia per una missione su Marte, allo scopo di eliminare gli Immortal Nine, creature artificiali anch’esse libere dal vincolo di non uccidere gli umani. Insomma, un viaggio tortuoso in pieno stile cyberpunk, dove abbondano citazioni e riferimenti al genere: uno scorrere degli eventi alla Cowboy Beboop, una certa decadenza di fondo alla Wolf’s Rain e sensazioni alla Black Lagoon; non per nulla il character design è curato da Toshihiro Kawamoto, che del genere se ne intende parecchio.
A tutto ciò si aggiungono le tematiche piuttosto profonde (mai troppo opprimenti, né sopite) fatte di dubbi morali ed esistenziali sulla vita, sulla morte e sul confine tra uomo/macchina, che ricordano opere alla NieR:Automata, Ergo Proxy o Vivi Fluorite Song, puntando però su schemi narrativi più semplici; la serietà e la cattiveria del primo episodio viene mitigata dai successivi, sia con lunghi attimi di tranquillità o piacevolezza, sia con sketch simpatici e inattesi (la fotografia della bambina, l’autostop). Questa gestione narrativa trascina con sé anche qualche piccolo difetto: alcuni stralci inutili e dialoghi forzati, vari cliché da fantascienza (ricordi impiantati e doppioni) o personaggi (come l’ispettore) introdotti in modo strano, con dei tagli di scena “stonati” quasi mancassero dei pezzi. Persino i combattimenti tra battle-suit appaiono poco concreti, nonostante l’ottima grafica, gli effetti visivi e le ambientazioni curate, con quella declino della società che tanto ci piace e incuriosisce. Rilasciato anche in lingua italiana (cosa che ne ha certamente favorito la diffusione) questo titolo ha comunque più punti di forza che di debolezza: nella storia, nel background, nella grafica e nella soundtrack (la stessa musica rivisitata in tanti modi diversi è un marchio che ricorderete a lungo). Quindi consideratelo un must stagionale!
2 – A Sign of Affection
Lo studio Ajia-Do ci regala 12 episodi appassionanti, ma delicati, di uno dei titoli romantici che più ho apprezzato negli ultimi anni. A Sign of Affection è una narrazione spettacolarmente visiva della vita di Yuki, una ragazza sorda che cerca di vivere la sua vita universitaria come una qualsiasi delle sue coetanee: nonostante i problemi di udito infatti prosegue spedita contro le difficoltà, anche grazie agli amici che la circondano. A questi un giorno si aggiunge Itsuomi, un ragazzo del quale si innamora a prima vista, e con cui, poco a poco, proverà a costruire un rapporto romantico come mai ne aveva avuti; ma non tutti ne saranno felici, come Oshi, suo caro amico d’infanzia che l’ha sempre adorata. Insomma, siamo di fronte a un titolo che lancia vibes alla Silent Voice, puntando però su un romanticismo dolce e spontaneo, che non fa pesare la condizione della ragazza, ma che la usa come trampolino di lancio per tanti quadretti pucciosi e ammalianti, che vi estorceranno persino qualche lacrimuccia (proprio per la gioia trasmessa da Yuki).
Sin dai primi episodi A Sign of Affection ci ammalia con la cura grafica e narrativa proposta: nel primo caso abbiamo disegni precisi, puliti, ricchi di colori e gestualità, così avvolgenti che ti sembra di essere presente a fianco della protagonista nelle sue gioie e indecisioni; nel secondo c’è tutta quella irresistibile serie di commenti e descrizioni basata sui piccoli gesti, come maneggiare una moneta o scrivere un messaggio, che accompagnano la scena in ogni momento, che siano discussioni, spostamenti o scene romantiche. Le stesse relazioni sono costruite al bacio, in tutti i sensi, a partire dalla magnifica opening (che mostra proprio i protagonisti con e senza l’amore) sino al finale di stagione (altrettanto magnificamente costruito), con l’unico turbamento che possa includere derive alla Toradora. Anche i personaggi, pur componendo un teatrino alla Lovely Complex risultano magnificamente caratterizzati, persino quelli maschili: Oshi non appare come il classico personaggio da romcom, e Itsuomi, pur interpretando la parte del belloccio, incarna tutta una serie di qualità che lo arricchiscono anche caratterialmente. Concludendo, la trasposizione del manga di Suu Morishita è perfetta per questo mondo non sonoro fatto di gesti e movimenti, e non ci sono innamoramenti facili o invidie che possano intaccarlo.
Bonus: 5 titoli per chi ha già visto gli altri
Prima di passare al top stagionale ecco alcuni titoli che non saranno certo il capolavoro della vita, ma che potrebbero accontentare i più ingordi divoratori di anime che si sono già visti tutti e 10 i titoli della lista, magari elargendo qualche particolarità che potrebbe passare inosservata.
Tis Time for “Torture,” Princess
Lo studio Pine Jam (lo stesso di Glepnir) ci sorprende con un’anime particolare, sicuramente sottovalutato, appartenente al sottogenere comedy del fantasy. La relazione tra la principessa e i suoi carcerieri demoni che proveranno a estorcerle informazioni per conquistare il regno, è surreale: ironia, pucciosità, un tocco di non-sense accettabile, paradossi e doppi sensi; divertente sì, ma trova il tempo anche per momenti teneri e spiazzanti, che ricordano The sleeping princess in the demon castle. un inizio un po’ noioso e varie ripetizioni potrebbero scoraggiarvi, ma questa commedia con i lineamenti da slice of life e una qualità grafica “sprecata” merita un’occasione.
Hokkaido Gals Are Super Adorable!
Solare, divertente, con evidenti riprese da My dress up Darling e pescando da ambientazioni romantiche dei classici del passato (piste da sci, parchi, biblioteche), questa serie degli studi Blade e Silver Link ha inaspettati punti di forza: personaggi ben caratterizzati, con una giusta evoluzione, l’ambientazione inusuale dell’Hokkaido, una narrazione abbastanza delicata e non così monotona, un’opening orecchiabilissima e, soprattutto, aspetti emotivi che sono stati trascurati in molti titoli del genere. Con animazioni sufficientemente curate e un romanticismo forse banale, ma apprezzabile, Hokkaido Gals è un’ottima serie stagionale per chi adora le commedie romantiche.
7th Time Loop: The Villainess Enjoys a Carefree Life Married to Her Worst Enemy!
Se non fosse per una storia ormai abusata questo titolo dello Studio Kai e dell’ambizioso HORNETS sarebbe tranquillamente nella lista dei top 10. Rishe è una ragazza bloccata in un loop che parte dal suo fidanzamento, annullato dal principe Dietrich, e termina con la sua morte, all’età di 20 anni. Giunta ormai alla sua settima vita decide di non fare nulla e godersi gli anni che le rimangono, ma così finisce per fidanzarsi con il principe ereditario Arnolt, colui che è destinato a ucciderla. Meno frivolo di Villanes level 99, e con una sufficiente cura e leggerezza nei disegni e nella regia, questo Otome ha delle qualità non indifferenti: personaggi con buone personalità e background, discussioni e dettagli curati, e una storia abbastanza avvincente. Meglio di quanto si mostra dalla copertina!
Doctor Elise: The Royal Lady with the Lamp
Per questo ennesimo Isekai abbiamo una promessa imperatrice che rinasce sulla Terra dopo essere stata messa al rogo, e poi, a seguito di un incidente, ritorna alla sua vecchia esistenza in tempo per provare a modificare il suo destino; tenterà quindi di salvare più persone possibili grazie alle capacità acquisite come chirurgo. Se l’anime fosse realistico delle abilità mediche così avanzate (in un ambientazione non certo moderna) l’avrebbero portata alla stessa esecuzione, ma invece ci viene mostrata una sitcom alla Grey’s Anatomy, tra dilemmi, risvolti romantici e complicate operazioni. La Maho Film (produttori di By the Grace of Gods), nonostante la scarsa CGI e i soliti cliché, riesce a costruire una buona serie animata, rilassante e persino interessante.
The Demon Prince of Momochi House
L’anime tratto dal noto manga Gli Spiriti di casa Momochi non è certo un capolavoro, ma è una buona storia romantica con tratti sovrannaturali: le tematiche si sono già viste (il Nue), la grafica è nella media e i personaggi sembrano quelli mediocri da shojo vecchio stampo, ma la relazione tra Momochi Himari e le creature sovrannaturali che la abitano, e in particolare Aoi, potrebbe stuzzicare chi cerca la classica storia d’amore alla Romeo e Giulietta. La crescita della relazione è lenta, con storie brevi e non propriamente interessanti, ma verso la fine il titolo guadagna corposità, spargendo curiosità ed emotività tra gli spettatori.
1 – Solo Leveling
Giunge su piattaforma probabilmente il webtoon (qui se non sapete di cosa stiamo parlando) più santificato, chiacchierato, osannato e abusato degli ultimi anni, ovvero Solo Leveling. Sarò sincero, anche io ne ho adorato la lettura, ma un buon recensore deve sapersi distaccare (quando serve) dal suo tifo, e nonostante il titolo sia primo in questa classifica lo è sostanzialmente perché non è uscito nella precedente stagione. Per chi non lo conoscesse la trama è la seguente: sulla Terra hanno iniziato a comparire dei portali, i “Gate”, accessi a dungeons ricchi di materie prime e mostri; al contempo alcuni umani hanno iniziato a mostrare poteri più o meno incredibili, e fare l’hunter è diventata una vera professione. Sung Jinwoo è di livello E, ed è forse il più debole risvegliato che affronta queste difficili missioni, ma insiste con coraggio per poter pagare le spese mediche della madre, almeno fino al giorno in cui un Gate etichettato come semplice si trasforma nella sua più tragica esperienza: grazie a questo potrà però risvegliare ancora una volta i suoi poteri e puntare a diventare un imbattile hunter di grado S. Storia già sentita dunque, ma narrativamente e visivamente ottima, soprattutto nel manhwa, perchè la trasposizione in formato anime porta inevitabilmente alcuni difetti strutturali: per esempio, la scelta di riportare nell’anime tutti i pensieri come una serie di discorsi solitari stona parecchio, così come le rappresentazioni delle abilità; fuori luogo sono anche certe scene per allungare la durata o attualizzare la trama (ma non tutte) e alcuni adattamenti “buonisti”, come quello che fa credere che Jinwoo sia sempre costretto a uccidere.
Anche la crescita degli episodi soffre un pochino la pressione: se le prime due puntate sono piacevolissime, e le piccole modifiche/aggiunte non pesano, le difficoltà si vedono in quelle puntate “di preparazione”, come la terza, dove la resa è inferiore al webtoon per la presenza di tante parti introduttive e discorsive. Ecco, lo squilibrio con le scene da combattimento si vede tutto, proprio per la loro differente qualità; le sensazioni come la furia omicida dei personaggi sono trasmesse magnificamente, così come la psicologia dietro alle loro scelte, che siano la tensione data dai raid, una missione, la paura, oppure, ciò che l’ha reso famoso: quell’ottica di accrescimento del personaggio in termini di potenza e gestione delle risorse, portata avanti come in un vero gioco in solitaria, con relativi cambiamenti di lineamenti e di carattere verso la tipica ombra di chi conquista il potere. Il tutto supportato da grafica e azioni splendide: i movimenti, l’impugnatura delle armi, gli spostamenti, le spinte, le cadute, persino le inquadrature rendono l’azione viva e pulsante, cullandola con colori che spaziano dal caldo del rosso al brivido del blu metallizzato. In tal senso lo scontro con il cavaliere Igris è uno spettacolo. Scene da brividi e una colonna sonora favolosa vi trascineranno velocemente sino al dodicesimo episodio, facendovi scordare i suoi difetti nel caldo abbraccio di una crescita incontrollata.