I narratori non sono tutti uguali: c’è chi si nasconde dietro polverosi volumi e affollate biblioteche scrivendo pagine di parole che rappresentino onirici mondi e fantastiche avventure e chi si cela invece dietro fogli da disegno, non rappresentando quei mondi attraverso la diegesi scritta, ma rendendo graficamente l’illusione di un mondo tanto fantastico quanto palpabile, lasciando raccontare ai suoi personaggi gli snodi più emozionanti della narrazione. Hayao Miyazaki può essere considerato uno dei cantori più emblematici del cinema nipponico, essendo dai più citato nel novero dei registi che hanno contribuito a sedimentare l’immaginario cinematografico poetico giapponese. Insieme a nomi quali Satoshi Kon, Isao Takahata, Mamoru Oshii e Katsuhiro Otomo, quello di Miyazaki viene citato in tutti i manuali saggistici che si occupano di animazione giapponese, ponendosi come esempio di un modus operandi e di un’estetica peculiare e assolutamente riconoscibile.
Ma qual è il segreto di una poetica rappresentativa così forte, tale da coinvolgere il cinema in toto e soprattutto da permettere al panorama nipponico di imporsi su quello occidentale addirittura vincendo l’Oscar, il premio più ambito della cinematografia internazionale? La vita di Hayao Miyazaki si presenta costellata da tappe fondamentali che lo segneranno come autore in primis e soprattutto come uomo dotato di una particolare sensibilità.
Fin da piccolo ha sempre vissuto a stretto contatto con il mondo dell’aviazione: figlio e nipote di costruttori di componenti per gli aerei dell’aeronautica giapponese, cresce disegnando velivoli e carri armati. Il suo destino sembra segnato: Hayao sarà il prossimo dirigente della Miyazaki Airplanes. Ma con la forza ribelle e innovativa che lo ha sempre contraddistinto, il giovane si ribella ai precetti paterni per tentare di intraprendere la carriera che profeticamente stava portando avanti fin da quando si divertiva a rappresentare i modelli dei mezzi bellici: il disegnatore. Negli anni ’60 l’influenza che il mondo artistico nipponico riceveva da una figura come Osamu Tezuka era ancora molto forte, e anche il giovane Hayao rimane folgorato dalle innovazioni del maestro. Dopo aver iniziato la sua carriera nel mondo dell’animazione come intercalatore presso la Toei Doga (l’attuale Toei Animation) e meditando di abbandonare un lavoro tanto duro quanto insoddisfacente, la folgorazione arriva come un fulmine a ciel sereno. La proiezione de La regina delle nevi del regista russo Lev Atamanov gli fa comprendere quanto l’animazione sia un potente veicolo non solo di immagini, ma anche e soprattutto di una sensibilità estetica e contenutistica capace di trasmettere emozioni e simbologie purissime. Questo aspetto lo porterà a concepire i disegni animati come portatori di metafore ideologiche capaci di scuotere le coscienze, imponendo l’animazione come modo di produzione cinematografico a se stante, e non ancillare di generi e tecniche del cinema dal vero.
La caparbietà di Hayao Miyazaki nel voler imporre la propria poetica ed estetica gli consentono di diventare prima responsabile dell’animazione dei key-frame di Fujimaru il giovane ninja del vento e poi, dopo aver lavorato per la APro e per la Zuiyo Company (oggi Nippon Animation) in diversi ruoli e in diverse produzioni (da Heidi a Anna dai capelli rossi, da Marco dagli Appennini alle Ande a Conan, il ragazzo del futuro), dirige nel 1979 il suo primo lungometraggio per la Tokyo Movie Shinsha: Lupin III: il castello di Cagliostro. Da questo momento in poi il nome di Miyazaki diventerà sempre più noto, imponendo la sua impronta autoriale nella cinematografia nipponica e mondiale: la peculiarità stilistica di un autore poliedrico si mescola con una concezione idealista e spirituale che si confronta con il costrutto culturale e religioso del Giappone.
Durante gli anni dell’affermazione nel campo cinematografico, l’incontro che sicuramente segnerà la carriera produttiva di Miyazaki sarà quello con Isao Takahata, regista di anime a cui lo stesso Miyazaki aveva lavorato come character designer di Heidi, Anna dai capelli rossi e Marco. Queste esperienze congiunte porteranno i due autori inizialmente a concepire il primo lungometraggio veramente ideologico e simbolista, Nausicaä della valle del vento, tratto da un manga scritto e disegnato da Miyazaki stesso: la componente ecologista e critica che si ritrova tra le righe del film è un manifesto esplicito a quella che sarà la poetica successiva dell’autore. Il film del 1984 si pone come il prototipo del cinema successivo: sentimenti puri e primitivi, lotta tra Bene e Male che non si presenta come contrapposizione tra due forze antitetiche, bensì come lotta dualistica e ciclica che porta ad un nuovo futuro, eroine in grado di sintetizzare le ideologie dell’autore e che incarnano le forze della natura. Al contempo si possono già trovare elementi costanti nel cinema miyazakiano: velivoli futuristici che si stagliano su una natura incontaminata, minacciata dalle mire antiecologiste di uomini e creature senza scrupoli.
Il successo di Nausicaä è clamoroso, tanto che i due registi decidono di svincolarsi dalle restrizioni di natura commerciale dell’ambito televisivo e di fondare il proprio studio di animazione: insieme al produttore Tokuma Yasuyoshi, nel 1985 danno vita allo Studio Ghibli.
È questo il nome a cui associamo spesso e volentieri il nome di Hayao Miyazaki, e al quale attribuiamo i successi di film quali Il castello errante di Howl, Il mio vicino Totoro, Porco Rosso, Laputa – Il castello nel cielo, Kiki consegne a domicilio, per citare solo i più conosciuti. Ma è grazie ad un film come La città incantata, vincitore del Premio Oscar come Miglior Film d’Animazione nel 2003, che Miyazaki riesce a conquistare la popolarità internazionale. Da quel momento, i film dello Studio Ghibli diventano icona di un sentire cinematografico unico e specifico, dimostrando di possedere peculiarità contenutistiche proprie di una concezione idealista applicata alla cinematografia, e una specificità grafica riconoscibile e immediatamente individuabile. Dal primo lungometraggio, Laputa, la linea produttiva ed estetica ha sempre utilizzato gli stilemi propri della filosofia di uno dei padri dello Studio Ghibli: sebbene i registi siano molteplici, sembra che l’ideologia dominante sia sempre improntata su una leggerezza sentimentale che si indirizzi verso la rappresentazione di mondi mitizzati, ma al contempo vicini a quello reale grazie alla condivisione di ideologie forti che portano i protagonisti a confrontarsi con le problematiche della vita reale e su tematiche esistenzialiste.
La componente grafica dei film di Miyazaki non è semplicemente un elemento decorativo, ma anche e soprattutto rappresentativo di una filosofia tradizionalista che concretizza il pensiero del regista: da sempre molto critico nei confronti della tecnica digitale, Miyazaki vede nel 3D il tradimento di una concezione primitiva dell’arte, come se la simbologia naturalista che cerca di imporre nei suoi film possa essere soppressa da un modello produttivo improntato sulla meccanizzazione della tecnica filmica e non sulla essenziale manualità pittorica dell’uomo. Questa concezione sembra assolutamente in linea con le metafore tradizionaliste che emergono dalle sue narrazioni, ma che in qualche modo si scontrano anche con uno dei leit motiv costanti dei suoi film. Come già citato sopra, infatti, Hayao Miyazaki è attratto dal mondo dell’aviazione (lo stesso nome Ghibli deriva non solo dal vento caldo che soffia nel deserto libico, ma anche dagli aerei italiani utilizzati durante la seconda guerra mondiale) e non si risparmia di inserire velivoli e macchine volanti nei suoi film, sia come mezzi di locomozione che come dei veri e propri deus ex machina o dei protagonisti della narrazione, come in Porco Rosso o Si alza il vento.
Quest’ultimo titolo, che nel 2013 ha segnato l’inizio della pausa di Miyazaki dalla regia, si presenta forse come la cristallizzazione dell’intera filosofia estetica e idealista dell’autore, il quale ha fatto confluire in Si alza il vento le sue concezioni morali e narrative.
Al momento il maestro Miyazaki sta lavorando ad un nuovo progetto filmico, How do you live?, tratto dal romanzo omonimo di Yuzo Yamamoto e Yoshino Genzaburo, dimostrando come alla veneranda età di 80 anni appena compiuti il genio dell’animazione nipponica non riesca a fermare la sua vena autoriale, permettendogli di rimanere uno degli incontrastati padri dell’animazione poetica contemporanea.