I disturbi di personalità e psicologici vengono spesso raccontati in opere di fantasia o autobiografiche: esse si pongono come manifestazione del disagio interiore, e al contempo permettono di far conoscere la propria malattia alla collettività, attivando così un processo di autoanalisi. La mangaka Kabi Nagata ci parla proprio del suo disagio interiore in La mia prima volta e Lettere a me stessa, entrambi editi da J-POP. Noi abbiamo recensito entrambi i volumi: La mia prima volta: my lesbian experience with loneliness e Lettere a me stessa. Dopo la mia prima volta e vi consigliamo caldamente di recuperare le nostre impressioni a riguardo, per comprendere al meglio l’articolo attuale e l’evoluzione dell’autrice.
Questi due fumetti possono essere interpretati come testamenti interiori dell’autrice, che parla del suo disturbo legato alla depressione, all’autolesionismo, ai disturbi alimentari. La vita dell’autrice è caratterizzata da problematiche familiari, sociali, caratteriali, che non le permettono di avere un approccio alla società soddisfacente: il rapporto con i genitori è pessimo, lo stesso luogo di lavoro (dove pensa di aver trovato una sua dimensione) diventa pesante e opprimente, non ha amici e in 28 anni non ha mai avuto esperienze amorose o sessuali.
I due volumi si presentano come la concretizzazione del disturbo depressivo: Kabi manifesta la volontà di mettere nero su bianco le proprie preoccupazioni, i propri dissidi interiori. C’è dunque una volontà di affrontarli, di guardarli con occhi critici, come se attraverso il disegno e la sua pubblicazione mettesse in atto un meccanismo psicologico e un artificio in grado di aiutare il processo di interiorizzazione. Alcuni psicologi hanno come oggetto di analisi la manifestazione esteriore del dolore, come opere pittoriche, musicali o letterari; vi sono, inoltre, dei metodi di approccio analitico basati proprio su tale concetto.
La visione dell’autrice è facilmente assimilabile a quella occidentale, nonostante alcuni elementi sociali siano propri della realtà nipponica, come l’ossessione di avere un lavoro full time fisso, piuttosto che un semplice part time. Questo perché le problematiche relative alla depressione, ai disturbi alimentari e autolesionisti sono “universali”: sicuramente possono essere trasposti usando un determinato linguaggio o particolari riferimenti, ma accomunano immancabilmente le anime più fragili di tutto il mondo che sicuramente si rivedranno in La mia prima volta, così anche come in Lettere a me stessa.
La solitudine è uno dei temi principali: essa ha delle sfaccettature peculiari e molto spesso si pone come la problematica principale del disturbo dell’autrice, veicolando le azioni e la vita della protagonista. L’autrice afferma di sentirsi più sola a casa con la sua famiglia, piuttosto che quando vive in autonomia: l’affettività repressa e non manifestabile è uno dei fattori scatenanti del suo disturbo psicologico. Ciò la porta a rivolgersi ad un’agenzia di escort, che possano dare una parvenza di affettività che le manca. Kabi Nagata non cerca la sessualità: non è il fine ultimo delle sue azioni, nonostante affermi di voler avere almeno la sua “ prima volta”. Il suo intento è quello di essere abbracciata, coccolata come una bambina che non ha ricevuto le attenzioni e l’affetto di sua madre. L’esperienza sessuale, infatti, si rivela essere alla fine insoddisfacente e negativa.
Un aspetto che fa molto riflettere è il rapporto che l’autrice ha con sua madre, iniziato a delineare nel primo volume e approfondito nel secondo, Lettere a me stessa. Esso viene presentato come un conflitto amore-odio, nel quale Kabi Nagata cerca invano l’affettività della madre, quasi morbosa, che non viene mai ricambiata. Ciò denota un attaccamento allo stadio infantile, un riscatto nei confronti di una vita adulta costellata da sofferenze e insoddisfazioni. L’autrice capisce che questo sentimento può sembrare a tratti malsano sia per lei che per la madre, rendendosi conto con il tempo (e con lo scorrere delle pagine) che probabilmente il conflitto tra genitore e figlio si manifesta per una problematica nel rapporto che riguarda entrambi, e che questo genere di conflitto si riversa anche nella sessualità dell’autrice, che risulta essere repressa: molto spesso, infatti, i rapporti conflittuali con i genitori o problematiche relative all’infanzia si riversano nella vita e nella sfera sessuale da adulti.
L’approccio di queste raccolte di scorci di vita quotidiana di Kabi Nagata è spesso autoironico: si manifesta soprattutto nei disegni, volutamente modificati per evitare che l’autrice venga riconosciuta, dai quali traspare un’enfatizzazione delle forme. In alcuni passaggi si può notare un’evidente trascuratezza del tratto, dovuto ad episodi e momenti della vita dell’autrice particolarmente duri. In Lettere a me stessa si può notare che la mangaka sta iniziando ad affrontare le sue problematiche, con risultati delle volte positivi, altre volte meno, ma comunque sta iniziando a comprendere la natura del suo disagio cercando la forza di combatterlo e di affrontare le cause esterne. Il rapporto con la madre e la famiglia in generale migliora, consapevole della sua problematica e volenterosa di superare il disagio interiore ed esteriore.
Il lavoro da mangaka fatto su La mia prima volta e Lettere a me stessa che hanno ottenuto un successo mondiale le sta finalmente permettendo di dare forma a quello che è il suo dissidio interiore, affrontandolo attraverso la sua concretizzazione, ma soprattutto attraverso la condivisione con i lettori. Non è una cosa semplice, e ciò dimostra la voglia dell’autrice di cambiare, di affrontare faccia a faccia il suo problema e la sua malattia. Entrambi i volumi sono acquistabili in libreria e in fumetteria, e su rivenditori online come ad esempio Amazon.