Dalla loro comparsa ad oggi, i videogiochi hanno subìto una graduale modifica che li ha portati da essere un hobby di nicchia per appassionati di apparecchiature hi-tech ad un vero e proprio fenomeno di costume per intere generazioni. Ora, il mondo dei videogiochi è parte integrante e fondamentale dell’industria dell’intrattenimento, alla pari di quello cinematografico. Le vendite delle console di ultima generazione presentano cifre davvero allettanti, e il videogioco stesso è passato attraverso varie modifiche che l’hanno gradualmente cambiato nel tempo, specchio della nostra società in rapida evoluzione.
Miglioramenti grafici, sceneggiature a prova di macchina da presa, gameplay innovativi e sempre differenti, l’utilizzo di periferiche VR, hanno elevato i videogiochi ad essere qualcosa di più rispetto a ciò che un tempo erano. Soprattutto, il fulcro della vendita e della buona riuscita del prodotto sta nel suo protagonista: è inutile ignorarlo, più il personaggio principale è carismatico e più suscita il nostro interesse il conoscere la sua storia. Il mondo dei videogiochi è pieno zeppo di personaggi che hanno fatto breccia nel nostro cuore: Mario, Link, Cloud Strife, Solid Snake… e così via.
Eppure, ognuno dei personaggi qui elencati non hanno ragione di esistere senza una figura femminile al loro fianco.
Mario non avrebbe alcuna motivazione di proseguire il suo viaggio senza la presenza della principessa Peach, e non ci sarebbe nessun mentore per il caro Big Boss in METAL GEAR SOLID 3 se The Boss non esistesse.
Le figure femminili nei videogiochi hanno sempre avuto ruoli diversi in base alla domanda di mercato e al tipo di prodotto. Sicuramente, il personaggio femminile è la caratteristica che ha subìto più modifiche nel corso degli anni, diventando da semplice “damigella in pericolo” ad eroina indiscussa di brand di successo, e vorrei esaminare questo cambiamento nelle figure femminili nei videogiochi giapponesi proprio perché è in Giappone, un paese notoriamente maschilista, che sono nati i primi cambiamenti, e li vedremo in questo articolo.
Da “damsel in distress” a protagoniste di successo
Nel 1981, Shigeru Miyamoto prese ispirazione dal film King Kong per creare un gioco che, all’epoca, era uno dei pochi giochi che usava, come espediente narrativo, il tema della “damigella in pericolo”. Questo gioco era il celebre Donkey Kong.
È proprio dalla sua saga che viene una delle più tipiche damigelle in pericolo della storia dei videogiochi, Pauline, di recente ricomparsa in SUPER MARIO ODYSSEY. Ella viene sostituita nei successivi titoli dalla più famosa Peach, che compare in quattordici giochi della serie principale di Super Mario e solo in uno di questi non viene rapita. Uguale è il destino che attende la principessa Zelda nella celebre saga che porta il suo nome che, nonostante sia un personaggio saggio e potente, viene sistematicamente salvata in ogni gioco della serie dal buon Link. Tale espediente funziona da sempre e attira a sé una larga fetta di pubblico, ma allo stesso tempo, è lecito chiedersi “che tipo di pubblico?”
Il “damsel in distress” fornisce un sistema semplice per entrare nelle fantasie di potere adolescenziali maschili, con lo scopo, quindi, di vendere più giochi a quel determinato target di utenza. A metà degli anni Novanta l’immagine dei personaggi femminili nei videogiochi è lentamente cambiata sia nei titoli occidentali (basti vedere Lara Croft in Tomb Raider) che in quelli giapponesi.
Se l’immaginario culturale nipponico relegava i personaggi femminili a “oggetti” da salvare oppure a spalla di protagonisti maschili durante la trama, come ad esempio la ladra Kid che aiuta Serge nel suo viaggio in Chrono Cross oppure Elly in Xenogears che alterna momenti in cui è richiesto il suo supporto a Fei, il protagonista della vicenda, a momenti in cui viene catturata dai nemici, con l’avvento di PlayStation nuove eroine iniziano a farsi largo tra decine e decine di eroi con spade e capelli a punta.
Una delle protagoniste più emblematiche dell’industria nipponica di metà anni Novanta è sicuramente Jill Valentine, che ha aiutato a lanciare il prodotto di punta di CAPCOM, RESIDENT EVIL. Jill Valentine è una protagonista femminile atipica, in quanto lontana dalle forme ipersessualizzate che molti personaggi femminili avevano e che senz’altro spingevano nelle vendite grazie al fenomeno eye candy. Nel primo episodio della fortunata serie, Jill ha la sua uniforme da agente della S.T.A.R.S. e la sua risolutezza e testardaggine la rendono un personaggio vincente oltre che capace di fronteggiare qualsiasi situazione. Pur essendo disponibile anche la scelta di un personaggio maschile, ovvero Chris Redfield, la scelta di Jill Valentine ci permette di vivere la storia dal suo punto di vista.
Nonostante si spogli della sua uniforme in RESIDENT EVIL 3: Nemesis e cambi il suo aspetto indossando abiti civili, le sue forme non vengono messe in risalto per spingere il videogiocatore a comprare il prodotto: per fare un esempio, la cover art di RE3 è focalizzata proprio sul principale antagonista del gioco, e CAPCOM mette, giustamente, in risalto quale sia il vero obiettivo del gioco: uccidere Nemesis. Ed è grandioso che sia una donna a farlo, in completa solitudine, un po’ come la cara Ripley nella saga Alien.
Parallelamente a questo, un’altra saga famosa in Giappone adotta per la prima volta un personaggio principale femminile: è Maya Amano di Persona 2: Eternal Punishment. Già personaggio giocabile in Persona 2: Innocent Sin, Maya viene elevata a protagonista principale, e la guideremo nella sua investigazione sul New World Order. Maya, a differenza di molti personaggi femminili nei videogiochi di ruolo di quel periodo, si presenta in abiti sobri e adatti al suo ruolo, quello di giornalista presso la rivista Coolest. Ciò che colpisce di Maya è senz’altro il suo spirito indomito e sempre positivo verso qualsiasi situazione. Seppur ricopra il ruolo di protagonista silente, in Persona 2: Eternal Punishment è possibile rievocare le battute e i lati scherzosi del suo carattere grazie alle risposte a scelta multipla. L’approccio che Maya adotta nel videogioco è allegro e scanzonato, il suo motto, che presenta anche durante le battaglie, è “let’s think positive!” e senz’altro ATLUS ha riproposto questo personaggio così carico di energia positiva per invogliare i videogiocatori ad investire il loro tempo nella storia di Maya e company senza l’utilizzo degli altri espedienti suddetti. Anzi, è un personaggio che funziona così com’è, proprio per la sua semplicità.
Mia Fey, personaggio cardine del celebre simulatore di processi Ace Attorney, mentore di Phoenix Wright e consigliera che lo aiuta nel fare una valutazione critica relativa ai casi in tribunale è un personaggio ibrido che, nonostante sia stato disegnato in un particolare modo per essere ammiccante agli occhi dei giocatori, è anche un ottimo alleato e un leader carismatico e deciso nel quale anche, e soprattutto, le videogiocatrici possano rispecchiarsi e farne un modello da seguire.
Un caso completamente opposto è quello accaduto a Yuna in FINAL FANTASY X, che viene completamente modificata da SQUARE ENIX e resa personaggio principale nel primo sequel diretto di un capitolo della Fantasia Finale, diversificandosi dalla Yuna che eravamo abituati a conoscere non solo per l’aspetto ma anche per la sua personalità: si tratta di crescita personale e semplice cambio di prospettiva, oppure è il risultato della volontà di aumentare le vendite di un sequel chiacchierato facendo breccia su un target di mercato specifico?
Da Okami a Bayonetta: varie rappresentazioni e (v)ideologie
Da essere poche le protagoniste femminili che salivano in vetta alle vendite mondiali, attualmente, nel 2019, complice l’interessamento di un largo numero di videogiocatrici alle principali console casalinghe, le protagoniste femminili sono quasi pari alle loro controparti maschili. Oltre al largo numero di videogiochi come i soulslike, in cui puoi creare il tuo personaggio da controllare per tutta l’avventura e, di conseguenza, scegliere il suo sesso, molti sono stati i videogiochi che hanno presentato protagonisti completamente differenti e per tutti i gusti.
In un articolo dal titolo “Sexy, Strong and Secondary: a content analysis of female character in videogames across 31 years” pubblicato da Journal of Communication, quattro ricercatrici dell’Università dell’Indiana hanno analizzato i personaggi femminili nei videogiochi dal 1983 al 2014 e, a parte un picco negli anni Novanta, la rappresentazione della donna nei videogiochi è sempre stata variegata. Addirittura, negli ultimi anni abbiamo avuto modo di vedere, e senz’altro apprezzare, personaggi femminili completamente diversi tra di loro.
Un caso davvero emblematico è Okami, gioco del 2006 approdato prima su Wii e poi su PlayStation 2, in cui dobbiamo muoverci in un mondo ricreato in cel shading che sembra uscito dagli acquerelli delle ukiyo-e e nel quale ci metteremo nei panni della Dea dello Shintoismo, Amaterasu, sotto forma di lupo. In questo caso, complice lo scenario fantastico, abbiamo modo di rispecchiarci in un’entità sicuramente divina e allegorica che, proprio per via della sua natura antropomorfa, non fa assolutamente uso di altri fenomeni riconducibili al “male gaze”, che invece è possibile notare in un altro capolavoro targato PlatinumGames, Bayonetta.
Sin dalla sua uscita sul mercato, il character design di Bayonetta, estremamente ipersessualizzato per far breccia nelle fantasie di orde di adolescenti, ha attirato a sé tante critiche, soprattutto nella community di internet. C’è chi eleva il suo personaggio ad uno dei più riusciti negli ultimi anni: una donna indipendente che non usa la sua sensualità per raggiungere determinati scopi. Addirittura, un personaggio a 360 gradi come Bayonetta può anche essere preso come fonte di ispirazione dalle videogiocatrici. Altri invece accusano le pose ammiccanti e i vestiti succinti di Bayonetta come un modo, da parte degli sviluppatori uomini, di elevare la donna a oggetto del proprio desiderio, presentando Bayonetta non come un personaggio femminile capace di cavarsela da sola, ma piuttosto come rappresentazione per un mero piacere visivo.
Tuttavia, ciò che sarebbe giusto chiedersi è: l’ipersessualizzazione di personaggi femminili è un male per l’industria videoludica? Secondo me, ogni personaggio è visto (e vissuto) da ogni videogiocatore in modo diverso, indipendentemente dal sesso o da come questo è rappresentato. Posso scegliere di giocare alla serie di SENRAN KAGURA perché mi piacciono i giochi d’azione con i ninja e non sentirmi offesa dalla rappresentazione della donna in quel tipo di prodotto.
È senz’altro fondamentale decidere cosa è meglio per sé stessi nel momento in cui ci troviamo di fronte allo scaffale, pronti ad acquistare il nostro prossimo videogioco. È la nostra scelta a guidarci, è lì che esercitiamo il nostro potere. Quello che non ci piace? Lo lasciamo lì, per il prossimo acquirente.
Conclusioni
Analizzare la figura dei personaggi femminili in un’industria d’intrattenimento e la sua conseguente evoluzione è senz’altro interessante. Da essere personaggi di sfondo oppure in cerca di aiuto, le donne si sono lentamente ritagliate un posto principale.
Lightning di FINAL FANTASY XIII è stata la scelta per altri due spin-off ambientati nello stesso universo per poi, nel nuovo capitolo della fortunata saga SQUARE ENIX, far spazio ad un party, per la prima volta, tutto maschile. Che possa piacere, oppure no, Lightning è stata comunque fonte di ispirazione per molte ragazze e giovani videogiocatrici che si sono rispecchiate e immedesimate in lei e, perché no, anche per molti ragazzi.
È difficile immaginare, ad esempio, una saga come quella di Yakuza capitanata da un personaggio femminile, eppure, la motivazione che ha spinto un duro come Kazuma Kiryu a prendersi cura di Haruka è proprio dovuta dall’amore verso una donna. Insomma, in un modo o nell’altro, chi trama dietro la maggior parte dei videogiochi è sempre una donna. Provate a giocare a Metroid per crederci!