Nel corso dell’edizione di quest’anno del BGeek, ormai giunto tra i più importanti eventi legati al mondo dei fumetti, dell’animazione e dei giochi nel Sud Italia, abbiamo avuto modo di intervistare una figura di spicco nel mondo dell’animazione giapponese, qualcuno che ci ha letteralmente cresciuti con il suo tratto distintivo. Ken il Guerriero, Kyashan, Slam Dunk, Gatchaman e persino opere più recenti come il film di Inazuma Eleven e la serie televisiva di YO-KAI WATCH. Questi sono solo alcuni dei lavori a cui ha preso parte Masami Suda, un nome che ricorderete di aver letto davvero tante volte nel titoli di testa e degli anime che hanno segnato la vostra infanzia.
Appartati con lui e il suo staff in quello che poteva essere il luogo più silenzioso della Fiera del Levante, abbiamo posto alcune domande al sensei Suda riguardo l’animazione giapponese, alle sue opere e altro ancora. Proseguite con la lettura se volete saperne di più.
Nel corso della sua carriera ha lavorato e continua a lavorare, a serie davvero famose. Qual è la sua preferita e perché?
Di certo la serie di Gatchaman è quella che mi è rimasta più impressa, soprattutto per le scene d’azione, per le animazioni che caratterizzano i movimenti dei personaggi. Nel corso degli anni ho lavorato a tante serie animate, ma Gatchaman è sicuramente quella mi è rimasta maggiormente nel cuore. Noi animatori siamo coloro che danno vita ai movimenti, quindi a tutto il cartone animato; per questo motivo sono davvero molto felice di essere diventato un animatore.
È solito guardare anime, magari anche gli stessi a cui ha lavorato, oppure proprio per via del suo lavoro preferisce guardare tutt’altro nei momenti liberi?
Di solito non guardo anime, perché comunque io e i miei colleghi siamo quelli alle spalle della loro creazione, e proprio per questa ragione solitamente non ne guardo. A volte mi è capitato di guardare prodotti sui quali ho lavorato quando sono andati in onda in televisione, molti mesi dopo la creazione. Ai miei tempi era difficile guardare anime se non quando venivano trasmessi in TV, per questo motivo mi è capitato spesso di trovarmi davanti ai miei lavori accendendo la TV, e in quei casi li ho guardati con piacere. Non li ho mai seguiti in maniera continuativa. Dato che per me si tratta in ogni caso di lavoro, cerco di distaccarmene un po’.
Negli ultimi anni molte serie classiche sono state riscoperte dal pubblico grazie a degli inaspettati remake o reboot. Tra le serie a cui ha lavorato, ce n’è una che le piacerebbe rivedere sotto una nuova veste?
I remake sono certamente una cosa positiva, ma comunque le serie originali sono quelle che rimangono nei ricordi di tutti, per quanto bello un prodotto rinnovato possa apparire bello agli occhi degli spettatori. Ne sono uscite tante, tra Gatchaman, Yattaman, ma non per me non sarà mai la stessa cosa. Gli originali sono più sentiti e la prima impressione è quella che permane. Non mi considero molto favorevole all’idea di realizzare continuamente reboot o remake di serie già esistenti. Un uomo che da bambino ha visto un determinato anime magari adesso investe il proprio tempo e il proprio lavoro nella realizzazione di un reboot o un remake. Ma in questo modo ci si ferma al raccontare qualcosa di già visto e non si realizza più nulla di nuovo. L’industria dell’animazione e le persone che ne fanno parte, secondo me, invece di finanziare i reboot dovrebbero produrre qualcosa di nuovo, di originale. Adesso, invece, realizzano un reboot dopo l’altro, di tutti quanti i cartoni che al tempo hanno avuto successo. Se l’animazione giapponese non riesce più a creare qualcosa di nuovo sarà difficile d’ora in avanti. Mi auguro che si riesca a recuperare la vena creativa invece di continuare a immettere sul mercato reboot e remake. Al giorno d’oggi non ci sono più molti giapponesi che decidono di fare gli animatori; da qui a cinque anni potrebbe succedere qualcosa di grave: se non ci muoveremo a creare qualcosa di innovativo l’animazione giapponese potrebbe essere inglobata dall’industria cinese. Ci sono tanti cinesi che stanno imparando le nostre tecniche e questa è una possibilità concreta. Spero che l’animazione giapponese riesca a uscire da questa situazione e a riprendersi.
YO-KAI WATCH è una serie molto famosa nel paese del Sol Levante e sulla quale lei ha lavorato come character designer. Esiste uno yokai al quale si sente particolarmente affine?
Essendo un character designer, quando finisco di disegnare un personaggio, è come se me lo dimenticassi per passare subito a un altro. Non è che lo dimentico in senso lato, ma lo metto da parte per farne altri. Per questo non penso di averne uno preferito, è il mio lavoro e devo dedicarmi a tutti i disegni allo stesso modo, senza avere preferenze particolari. I character designer ascoltano molto il responso del pubblico, per cui è un piacere sentirci dire che un determinato personaggio è particolarmente ben riuscito. Ho messo tutto il mio impegno e la mia forza in ogni personaggio alla stessa maniera. Mi ha divertito disegnare Kenshiro e tanti altri personaggi muscolosi e possenti, ma allo stesso modo mi sono sentito appagato progettando personaggi carini come quelli visti in YO-KAI WATCH.
Se non avesse intrapreso la sua attuale carriera, quale altro lavoro le sarebbe piaciuto fare?
Se non avessi svolto la carriera di animatore e character designer, mi sarebbe piaciuto fare il musicista. Prima di entrare nel mondo dell’animazione ho studiato la batteria, e molto probabilmente sarei diventato un musicista jazz. Ora però non riesco più a combinare nulla con la musica. (ride)
Ci sono molti giovani disegnatori in Italia che vorrebbero lavorare in Giappone come character designer o illustratori. Quali consigli vorrebbe dare loro?
In Europa ci sono tanti disegnatori e illustratori che disegnano in modo davvero molto realistico. Sono tutti molto bravi. L’Italia è la patria di Leonardo Da Vinci e Michelangelo: più che puntare a diventare dei geni come loro, la cosa migliore sarebbe cercare un proprio stile, magari disegnando il più possibile. In Giappone, ai tempi dei samurai, c’erano gli ukiyo-e: erano parecchio diversi dalle opere d’arte che c’erano in Italia, dove lo stile disegno era molto realistico; il tratto degli ukiyo-e era molto semplice se messo a paragone con le opere italiane dello stesso periodo. L’animazione giapponese ha pescato elementi dal mondo occidentale e li ha aggiunti riuscendo a creare i prodotti che voi tutti conoscete. Il consiglio che mi sento di dare a chi vorrebbe diventare un illustratore o un disegnatore è quello di cercare il proprio stile. In Italia ci sono tanti artisti che disegnano con uno stile molto realistico, sono rimasto davvero molto impressionato da questo. Piuttosto che ispirarsi allo stile dei disegnatori americani dovrebbero magari cercare qualche spunto nell’arte e creare un proprio stile, usare tanta immaginazione e cercare di offrire qualcosa di realmente innovativo.
Cosa ne pensa dell’attuale industria dell’animazione giapponese? Secondo lei ci troviamo in una situazione migliore o peggiore rispetto a quella degli anni ottanta e novanta?
Rispetto agli anime degli anni ottanta e novanta la situazione è un po’ peggiorata. Adesso si fa tutto con il computer e quindi si è persa la manualità che vi era un tempo, soprattutto negli anni settanta e ottanta. Preferisco di gran lunga quegli anni proprio per i tratti che venivano utilizzati. Allora veniva fatto tutto a mano. Takahata Isao, regista dello Studio Ghibli scomparso quest’anno, è stato uno di coloro che hanno voluto mantenere intatta questa manualità nella creazione dei cartoni animati. Con il passaggio alla digitalizzazione si sta pian piano perdendo questa tecnica. Certamente ci sono prodotti che fatti al computer sono bellissimi, per esempio i film della Disney Pixar, però c’è anche un certo fascino nel farli come si facevano una volta; bisognerebbe dividere queste due cose. Non disprezzo affatto l’utilizzo della CGI, ma si tratta di due cose diverse. Non esiste una sola maniera per disegnare: usando il computer si può magari contare su un tratto preciso e più pulito, ma disegnando a mano ci sono tante opportunità che è possibile trovare nelle imperfezioni. Secondo me riesce a far provare, a chi vede un cartone animato, ciò che noi animatori e disegnatori intendevamo trasmettere, come se i sentimenti arrivassero meglio al pubblico. Tutto il cuore e tutta la personalità del disegnatore. L’animazione degli anni ottanta è quella più bella e più divertente per me, ma non disprezzo di certo l’animazione attuale. Tuttavia, reputo sia tutt’altra cosa per noi artisti.
Esiste un compositore alla quale il sensei è affezionato, con il quale magari ha avuto modo di lavorare?
Non ricordo qualcuno in particolare con il quale ho lavorato direttamente, ma comunque mi piacciono molto praticamente tutte le canzoni dei prodotti animati ai quali ho lavorato. Non ho un compositore o un musicista preferito, per me l’importante è che la colonna sonora rispetti ciò che noi animatori e disegnatori abbiamo creato. La musica dev’essere di qualità come l’animazione, è molto importante è che si trovino sullo stesso livello. Una colonna sonora ha il dovere di rispecchiare la serie alla quale è abbinata. Negli anni settanta la Tatsunoko Production ha prodotto un cartone di Pinocchio e io mi sono occupato di disegnarne l’opening, la sigla iniziale. La canzone della sigla di apertura era perfetta per i disegni che avevo realizzato, poi ho visto la sigla italiana dello stesso cartone: gli stessi miei disegni, ma con una canzone diversa, in italiano. Non se l’avete mai vista (mamma mia! — recita in italiano, ndR), ma secondo me è stata capace di fare la differenza, mi piace addirittura più di quella giapponese.
Pinocchio, l’opening giapponese
Pinocchio, la sigla italiana
Ringraziamo di cuore lo staff del BGeek, il maestro Masami Suda nonché Edoardo Serino di Panini Comics per averci concesso questa intervista e ci auguriamo di poterlo rivedere presto all’opera su qualcosa che riesca a trasmettere al meglio i suoi sentimenti agli spettatori. Buon lavoro, sensei!