Ore 23:59 6 luglio 2017. Mi trovo a letto perché, tra mille difficoltà, sono riuscito a prendermi un giorno libero dal lavoro. Sono su Netflix dalla mia Smart TV, programma di perdizione che fa trascorrere il poco tempo libero che mi rimane prima di andare a letto. Tra un minuto arriverà il 7 luglio, tra un minuto arriverà la cosa che più attendevo di questo 2017.
Non provavo un turbine di emozioni simile da quando son partito per alla volta di Tokyo per un semplice motivo: il 7 luglio, la piattaforma Netflix metterà online la trasposizione animata di Castlevania, una saga che forse amo più della figa. Forse.
Inutile dire che ho passato tutta la notte, fino alle quattro del mattino, ad aspettare che la serie fosse disponibile alla visione – attesa mal ripagata, il che mi ha costretto a mettere la sveglia a qualche ora più tardi.
Questo è il mio punto di vista nonchè la mia prima “recensione” di una serie animata, quindi vorrei davvero conoscere le vostre impressioni su questo articolo. Cercherò inoltre di farvi meno spoiler possibili, per farvi godere al meglio l’esperienza che la serie stessa è in grado di offrire.
La serie animata di Castlevania è prodotta da Adi Shankar, regista statunitense conosciuto per lo più per il corto versione “adulta” dei Power Rangers, disponibile alla visione su YouTube, insieme a POWERHOUSE ANIMATION, Shankar Animation, Project 51 Productions LTD e al Frederator Studios, conosciuti soprattutto per il surreale Adventure Time. Per me è stata subito una garanzia perché, seppur il corto amatoriale dei Power Rangers è stato denigrato per i suoi toni adulti e violenti anche da Jason David Frank, il Tommy Oliver della serie originale, io VOLEVO una roba simile per la trasposizione animata di Castlevania. Stiamo parlando di vampiri, sangue, demoni e affini, mica di Teletubbies. La sceneggiatura, invece, è stata affidata al fumettista Warren Ellis, collaboratore di DC e Marvel.
La serie in questione è ispirata al terzo capitolo della serie, Castlevania III: Dracula’s Curse, il mio secondo gioco preferito della saga, podio che spetta all’inossidabile Castlevania: Symphony of the Night. Dracula’s Curse si divide, in questa serie, in quattro episodi della durata di circa 25 minuti ciascuno. Durante la visione mi è parso di avvertire troppa trama, che potremo prendere come un errore se valutassimo la serie come una trasposizione animata di Castlevania, più nota per la moltitudine di azione e combattimenti che per i dialoghi tra i personaggi. Invece anche questa scelta risulta azzeccata, perché questi quattro episodi non sono altro che un enorme episodio pilota diviso in quattro parti, che ci farà scoprire le origini di Lisa, moglie di Dracula apparsa in Symphony of The Night, del personaggio di Sypha Belnades e dei suoi poteri magici, di Trevor e della sua storia e ovviamente, dello scontro tra padre e figlio ovvero tra Alucard e Dracula. I fan del gioco rimarranno veramente sorpresi da alcune piccole chicche, come ad esempio la battaglia con il ciclope e il seguente salvataggio di Sypha, con allusione al “sembrare un maschio”, oppure il risveglio di Alucard e la seguente battaglia per testare le forze di Trevor.
L’animo del tutto è l’eterno conflitto tra il bene e il male, con il conseguente scontro e gli orrori della chiesa ai tempi dell’inquisizione, dove chiunque non era accettato era condannato a bruciare al rogo. I personaggi mostrano sicuramente, più del gioco, il loro lato umano o semi umano. Trevor è consapevole che i Belmont sono temuti da tutti, addirittura scomunicati dalla chiesa, ma allo stesso tempo l’ultimo baluardo contro la furia di Dracula e lui è l’ultimo della sua casata, forse un destino troppo grande per un uomo che sembra fuggire dalle sue responsabilità. Alucard, per metà uomo, vuole fermare la follia del padre, deciso a vendicarsi sulla razza umana per il brutale assassinio della moglie, che in punto di morte ha supplicato il marito di perdonare i suoi aguzzini. Dracula stesso poi è il personaggio più umano di tutta l’opera, nonostante sia un vampiro: è stato capace di amare, di provare emozioni e di vivere una buona vita, fino a che gli uomini hanno tolto tutto quello che più amava e, come ogni uomo che subisce un torto, medita la vendetta.
Il tratto dell’opera è egregio, facendola sembrare decisamente una produzione asiatica piuttosto che una occidentale: per il design è stato usato un tratto simile ai personaggi androgini disegnati da Ayami Kojima, storica illustratrice della serie in carica da Symphony of the Night, rispetto ai design originali di Dracula’s Curse. Ne sono l’esempio Trevor Belmont, molto simile alla sua versione di Curse of Darkness, o Alucard, del quale è stato ampiamente scartato il design del vecchio terzo capitolo, dove era più simile a Bela Lugosi, storico Dracula delle trasposizioni cinematografiche, o anche a Dracula stesso, che ha un design rinnovato e simile a un miscuglio tra le varie trasposizioni delle ultime serie.
Il doppiaggio è stato affidato a professionisti piuttosto famosi. All’inizio mi è stato difficile associare il personaggio di Trevor, inspiegabilmente cazzone (ma sarà sicuramente interessante vederne la crescita) al personaggio di Thorin de Lo Hobbit ma sono rimasto piacevolmente sorpreso nel sentire la voce anglosassone di James Callis, il Gaius di Battlestar Galactica per quel che riguarda il mio personaggio preferito, Alucard. Son stato piacevolmente sorpreso anche dalle voci dei personaggi di contorno, molto buone nel doppiaggio inglese, mentre quello italiano, per quanto quasi sempre di livello superiore, non mi ha per nulla fatto impazzire.
Le musiche sono ad opera di Trevor Morris, che mescola abilmente organi e cori, caratteristici degli ultimi giochi della serie, ma purtroppo non abbiamo avuto neanche un accenno a brani storici, come ad esempio Mad Forest o la ben più famosa Clockwork. Potremo sperare nella seconda stagione, ma la vedo piuttosto dura. Nonostante ciò il comparto sonoro rimane di buonissimo livello e anche la sigla, presente solo all’inizio del primo episodio, è stupenda sia musicalmente che visivamente.
Tra i difetti della serie posso sicuramente annoverare la durata della stessa, visto che quattro episodi da venticinque minuti l’uno sono stati quasi un antipasto, e dovremo aspettare un anno per finire il nostro pranzo. A questo si aggiunge, ahimè, la mancanza di uno dei personaggi principali: Grant Danasty. Il nostro pirata è assente e sarà abbastanza grave se decideranno di non inserirlo, sia perché è uno dei personaggi principali, sia per i buchi di trama come l’amore per Sypha o l’amicizia con Trevor, sia perché un vero fan di Castlevania lo aspetta come le zanzare d’estate. In più, non è stato detto nulla riguardo la leggendaria arma di Trevor, la Vampire Killer, facendo credere ai meno esperti che si tratti solo una semplice frusta. Tra i difetti elencherei pure lo scarso bestiario mostrato in animazione, visto che sono presenti, oltre al ciclope, solamente degli Imp e un Hell Hound. Auguriamoci che il prossimo anno, quando i nostri eroi saranno all’interno di Castlevania, ci siano molti più orrori di quelli apparsi in questa serie.
Brividi a luglio
Il giudizio finale è semplice: dopo Street Fighter: Assassin’s Fist, la serie Netflix di Castlevania è la trasposizione più fedele di un videogioco sul grande schermo. È stata capace di farmi provare i brividi a luglio, con la temperatura esterna di quaranta gradi, con un mix di sangue, nostalgia e anche qualche risata, nonché a togliermi tutti i dubbi che riservavo insieme all’hype durante questi mesi. Le ipotesi di una seconda stagione migliore rispetto alla prima ci sono tutte, e speriamo veramente che il successo ottenuto faccia finalmente aprire gli occhi a KONAMI, che dopo il reboot di Lord of Shadows (per carità, un bellissimo gioco se non avesse il nome e i personaggi di Castlevania) ha abbandonato decisamente una serie che merita davvero un roseo futuro.
Breve, ma intenso