I dieci migliori film di Takeshi Kitano secondo Weaponing di Akiba Gamers: uno dei più importanti registi del cinema giapponese riassunto in dieci, imperdibili pellicole.
Takeshi Kitano (北野 武) è annoverabile tra i registi giapponesi più noti in Occidente insieme a Yasujiro Ozu, Akira Kurosawa e Hayao Miyazaki. Per parlare e stilare una classifica dei suoi film migliori, è fondamentale fare una premessa. Takeshi Kitano approda in televisione come comico insieme a Kaneko Kiyoshi negli anni ‘80, raggiungendo un’elevatissima popolarità, la quale gli permise di mettere la firma su numerosi programmi sia televisivi che radiofonici (tra i quali figura “風雲!たけし城”, l’unico trasmesso anche in Italia, con il nome di “Mai dire Banzai”/ “Takeshi’s Castle”).
Parallelamente alla carriera televisiva conduce una prolifica carriera da attore, comparendo sia in commedie, che in film d’autore (come nello splendido Furyo di Nagisa Oshima, nel quale recita al fianco di David Bowie e Ryuichi Sakamoto); fin quando nel 1989, sul set di “Violent Cop” Kitano coglie l’abbandono della regia da parte di Kinji Fukasaku, per proporsi e ottenere il ruolo di regista. Oltre a dirigere la pellicola, riscriverà completamente la sceneggiatura, trasformando la commedia decisa inizialmente in un film decisamente più profondo e intriso di violenza e malinconia.
Ed è questo il paradosso riguardo la figura di Kitano che ancora oggi disorienta i giapponesi; abituati a vedere una maschera scanzonata, non accettano di guardare negli occhi un attore, ma soprattutto un regista, che nel corso degli anni ha dimostrato di avere molto da dire, sia riguardo se stesso, sia riguardo i suoi connazionali.
Il suo casuale avviamento di carriera, giustifica quindi uno stile semplice, caratterizzato da inquadrature molto spesso fisse, o da lunghissimi carrelli che riprendono camminate accompagnate esclusivamente dalla musica, la quale rappresenta un altro tratto distintivo del cinema di Kitano; la collaborazione con Joe Hisaishi (conosciuto maggiormente per il sodalizio con lo Studio Ghibli), ha permesso la composizione di scene affascinanti, nelle quali il silenzio dei personaggi si amalgama alle ambientazioni tipicamente giapponesi proprio grazie ad una colonna sonora calzante ma allo stesso tempo delicata.
10. Achille e la Tartaruga
(アキレスと亀 Akiresu to Kame) – 2008
La decima posizione è occupata dall’ultimo film della cosiddetta “trilogia del suicidio”. Decisamente lontano dai successi degli anni ’90, Kitano ci racconta la vita di Machisu (da lui stesso impersonato), un artista che dedicando tutta la sua vita a rincorrere la perfezione artistica, incappa nel circolo vizioso del noto paradosso di Zenone. Come Achille, rincorre la sua tartaruga e si districa tra le varie epoche artistiche del Novecento con un’unica ambizione, dipingere l’opera perfetta che lo porterà alla realizzazione personale e alla fama eterna. Ci viene presentata una pellicola meno lenta rispetto alle precedenti e dal clima decisamente grottesco, avvicinandosi più alla comicità che lo ha reso famoso in Giappone, piuttosto che alla raffinatezza cinematografica che ha più volte deliziato la critica.
9. Boiling Point
(3-4X10月, San Tai Yon Ekkusu Jugatsu) – 1990
La seconda opera di Takeshi Kitano vede la sua firma oltre che sulla direzione, anche sulla sceneggiatura. Questo film si discosta leggermente dalla violenza del precedente Violent Cop, nonostante non abbandoni il genere dello Yakuza-eiga. Già dalle prime inquadrature Kitano ci presenta Masaki, un ragazzo semplice quanto ottuso (impersonato da Yurei Yanagi), il quale, completamente inutile per la sua squadra di baseball, vive costantemente tra le nuvole. La figura dell’inetto è presente spesso nel cinema di Kitano, che incarna perfettamente il senso di solitudine tipicamente giapponese che caratterizza ogni personaggio portato sul grande schermo dal regista. La trama si snoda sul classico copione dello yakuza-movie; per riparare ad un involontario affronto fatto da Masaki ad un capobanda mafioso, il suo allenatore di baseball, ex affiliato, viene punito e per vendicarlo il ragazzo e un amico si recano nella tropicale Okinawa per procurare delle armi. Durante la permanenza ad Okinawa i due incontrano un appariscente yakuza (interpretato da Kitano) che sta a sua volta lottando contro una cellula della sua banda.
A differenza del primo film, il regista aggiunge alla cruda violenza della yakuza numerosi momenti ilari, sostenendo lui stesso la linea comica, ma arricchendo il suo personaggio con tinte amare, porte allo spettatore grazie alla suggestiva commistione dell’espressività attoriale e degli splendidi paesaggi del profondo sud giapponese.
8. Zatoichi
(座頭市) – 2003
Zatoichi è l’undicesimo film diretto, ma anche scritto e montato da Takeshi Kitano, il quale, a differenza di tutti gli altri lavori del regista, è stato commissionato esternamente. Zatoichi è uno dei personaggi più famosi della cultura giapponese (al pari di Minamoto no Yoshitsune e Tokugawa Mitsukuni); un massaggiatore cieco che, vagando di città in città, affronta nemici e protegge innocenti grazie alla sua abilità nel destreggiarsi con la spada. Le atmosfere dipinte da Kitano ci immergono nel tipico film sul Giappone dell’era Tokugawa, scandendo il ritmo della narrazione con musiche coinvolgenti che ricordano le danze tipiche dell’isola di Sado. Kitano stesso ha dichiarato di aver voluto realizzare un puro film d’intrattenimento, rompendo così la tradizione di vedere Zatoichi impersonato da Shintaro Katsu (in ben 26 pellicole e 100 episodi televisivi); nonostante ciò il film si è rivelato il più fortunato del regista per quanto riguarda gli incassi al botteghino, riuscendo senza difficoltà a salpare oltreoceano.
Nonostante si discosti dai suoi temi tipici, il regista si mette alla prova in una pellicola carica di responsabilità e aspettative, non deludendole ma permettendoci anzi di vedere il Giappone a cavallo tra medioevo e modernità attraverso delle lenti nuove e mai banali.
7. Kids Return
(キッズ・リターン Kizzu Ritān) – 1996
In Kids Return Kitano abbandona la recitazione per dedicarsi esclusivamente alla regia, alla scrittura e al montaggio, dando così fiducia ai due giovanissimi protagonisti (Ken Kaneko e Masanobu Ando) che ci regalano un’interpretazione semplice ed efficace.
Kitano racconta la storia di due amici, tutt’altro che interessati alla scuola, che tra atti di bullismo a professori e compagni inevitabilmente si cacciano in situazioni pericolose. Quando Masaru viene atterrato da un pugile intento a vendicare un amico, i due decidono di iscriversi a una scuola di boxe cercando presto l’occasione per attuare la loro personale vendetta. Perso l’entusiasmo iniziale, e sfiancato dagli allenamenti Masaru decide di andarsene, finendo tra le braccia della Yakuza. Shinji si dimostra invece un ottimo pugile, tanto da arrivare in finale nel campionato cittadino. Il regista ci descrive perfettamente il punto di vista, a noi completamente alieno, della gioventù giapponese “fuori dagli schemi”, che non intenzionata a indossare una cravatta e un colletto bianco, si districa attraverso gli ostacoli di una crisi economica che non sembra predisporli ad un futuro così roseo. La musica accattivante ed energica di Joe Hisaishi accompagna le lunghe passeggiate in bicicletta dei due, i quali, con l’ingenuità tipica dei ragazzi, ci fanno sognare, e ci rendono partecipi dell’adolescenza travagliata di Kitano.
6. Violent Cop
(その男、凶暴につき Sono otoko, kyōbō ni tsuki) – 1989
Con Violent Cop, senza dubbio la pellicola più violenta del regista, Kitano intraprende il cammino della regia, mostrando fin da subito uno stile tanto innovativo, quanto fortemente legato alla tradizione. L’intenzione di modificare completamente la sceneggiatura, trasformando il film da iniziale commedia a dramma noir fa capire le intenzioni già chiarissime del regista di voler sfruttare a pieno la sua fama e la fortunata possibilità cinematografica per raccontare qualcosa di forte, mostrando così al grande pubblico il lato oscuro di una macchietta comica. Asuma è un poliziotto che, dopo aver perso le pochissime persone con i quali aveva stretto dei legami, cade in un circolo di vendette spietate, allontanandosi completamente dalla figura semplice e etica del gendarme giapponese. Già dalla prima regia Kitano porta alla luce dei personaggi incredibilmente soli, che in un modo o nell’altro cercano di trovare delle risposte alla loro solitudine, rompendo le convenzioni e rendendo così malati quei limitati rapporti sociali che tentano vanamente di coltivare. Da un punto di vista tecnico possiamo godere di intuizioni acerbe più legate alla semplicità data dall’inesperienza, piuttosto che da una motivazione più profonda, ricorrente in molte pellicole successive.
5. Il Silenzio sul Mare
(あの夏、いちばん静かな海。 Ano natsu, ichiban shizukana umi) – 1991
Il quinto posto della mia classifica è occupato da “Il silenzio sul mare”, scritto, diretto e montato da Takeshi Kitano. Un ragazzo si innamora casualmente del surf e occupa tutto il suo tempo libero a cavalcare le onde dell’oceano, sotto gli occhi attenti e innamorati della sua fidanzata. Questo plot potrebbe ricordare quei banalissimi film ambientati sulla costa californiana con protagonisti segnati da fisici scolpiti e lunghi capelli biondi, se non fosse che in questa pellicola i protagonisti sono sordi. Veniamo così catapultati in una dimensione parallela, nella quale i dialoghi sono (ovviamente) inesistenti e siamo quasi costretti a osservare meticolosamente ogni dettaglio della mimica dei protagonisti e delle affascinanti ambientazioni marine. Durante la visione del film veniamo cullati dalle note oniriche della colonna sonora di Joe Hisaishi, accompagnata dal costante rumore del mare e da qualche battuta dei personaggi che circondano i due protagonisti. Viene affrontato per la prima volta l’amore tra individui con malattia o debilitazioni fisiche o mentali, un tema presente in alcuni fra i film più importanti di Kitano; permettendo così allo spettatore normodotato di affacciarsi e provare sulla propria pelle sensazioni alle quali il cinema occidentale, anche in film simili, non ci ha mai abituato. Una menzione speciale va al terzo protagonista, il mare. Paesaggio fisso in ogni film di Kitano, dà respiro a scene spesso troppo offuscate dalle luci cittadine accompagnando con il proprio suono la colonna sonora. È bene però stare attenti a non credere ad alcune dichiarazioni molto profonde del regista su questa scelta, in quanto la vera motivazione la esprime nel video che potete vedere di seguito.
4. Hana-Bi
(はなび) – 1997
Grazie alla vittoria del Leone d’Oro al Festival di Venezia del ‘97 questo film ha portato Kitano alla consacrazione internazionale.
Hana-Bi può essere considerata la pellicola più completa, in quanto racchiude tutti i temi principali della filmografia del regista, il quale raggiunge a pieno la maturità stilistica. Ci viene presentato Nishi, un ex-poliziotto solcato profondamente da una carriera colpita da numerosi lutti e violenze e ricattato dalla yakuza per un prestito destinato a curare la moglie malata di leucemia.
Assistiamo così alla fusione tra uno yakuza-eiga e la rappresentazione cinematografica dell’amore secondo Kitano, scandito dai tempi lenti tipici dell’autore e del cinema giapponese. Il regista ci presenta con l’uso del silenzio (come in “Il Silenzio sul Mare”) la relazione tra il protagonista e la moglie, che nuovamente ci rendono partecipi del loro amore attraverso gesti semplici ma mai scontati, attenzioni misurate, contrapposte spesso alle reazioni grottesche del protagonista, capaci di strapparci un sorriso.
Attraverso un montaggio serrato, spesso confusionario, Kitano ci guida attraverso i meandri della mente di Nishi, stretta dai ricordi violenti e dalle immagini dei suoi colleghi freddati dalla yakuza, con l’intenzione di disorientare lo spettatore al punto da far cessare l’intenzione di mantenere un filo logico e godere esclusivamente delle immagini che vengono proiettate, che porteranno ad un finale necessario quanto efficace.
3. Sonatine
(ソナチネ) – 1993
Il gradino più basso del podio ospita uno tra i film più amati sia dal pubblico, che dalla critica; vincitore nel ’93 del Festival di Taormina, Sonatine consacra Kitano alla fama nazionale. Ricalcando il genere dello yakuza-eiga, il regista, sceneggiatore, montatore e attore decide di allontanarsi dall’oscura capitale nipponica, dirigendosi verso l’incontaminata Okinawa. A differenza di Boiling Point però, l’isola tropicale assume un ruolo totalmente diverso, ricalcando le caratteristiche del locus amoenus, aiuta e accompagna il protagonista alla redenzione. Murakawa, abbandonata la vita criminale, accetta di aiutare un suo amico e combattere per un’ultima volta una banda nemica. Giunto ad Okinawa però, si accorge di essere stato tradito, e insieme ai suoi compagni accetta il suo destino ed esorcizza la morte attraverso la spontaneità e i giochi tipici dei bambini. Sfruttando il mare e le spiagge incontaminate, il protagonista e i suoi compagni costruiscono intorno a sé un’atmosfera completamente staccata dal tempo; lontani dalla metropoli e dalla costante paura della morte, non avendo più nulla da perdere, riscoprono il gusto e il senso della vita. Il regista ci pone dinanzi alla consapevolezza della morte, ma senza farci mai sentire la sua incombenza. Aiutati da una colonna sonora incredibile, con la quale Joe Hisaishi si diverte a dilatare e velocizzare il tempo della narrazione e da un set paradisiaco grazie al quale possiamo respirare l’odore del mare e delle foreste tropicali, ci accorgiamo della fine del film a poco a poco, riuscendo a godere di ogni gioco compiuto sull’isola.
2. Dolls
(ドールズ) – 2002
La pellicola premiata con la medaglia d’argento rappresenta un unicum tra le opere del regista. È il film con la struttura più complicata (probabilmente insieme ad Hana-Bi) e si allontana totalmente dalla violenza fisica dei film yakuza, colpendo invece lo spettatore con una violenza leggera, che affonda il colpo grazie ai paesaggi pittoreschi e, come al solito, alla colonna sonora di Joe Hisaishi. Dolls diventa una delle pellicole più affascinanti del regista (ma oserei dire del cinema giapponese), proprio grazie a questo paradosso, nel quale si contrappone l’eleganza della natura, mostrataci in ogni stagione, e la cruda violenza dei silenzi e di una sceneggiatura per nulla lasciata al caso. Kitano ci racconta tre storie autonome, intrecciate tra loro esclusivamente dal continuo peregrinare dei protagonisti della prima, Masako e Matsumoto. Questi due giovani sono una coppia di amanti prossimi al matrimonio, i quali si separano forzatamente intralciati dai genitori di Matsumoto, interessati alla realizzazione del figlio grazie al matrimonio combinato con la figlia del direttore dell’azienda in cui lavora. La giovane Masako, persa la stabilità mentale a causa della fine della relazione e tentato il suicidio, viene rinchiusa in un istituto psichiatrico. Il promesso sposo durante la cerimonia nuziale abbandona il progetto dei genitori, dopo aver saputo del tentato suicidio e della situazione psichiatrica della giovane che, dilaniata dalla sofferenza e smarrita la memoria, regredisce mentalmente avendo così bisogno della presenza fissa di Matsumoto, che la porterà a vagare per il Giappone attraverso le tappe della loro relazione.
La seconda storia racconta la vita di un boss mafioso, che per sposare la vita criminale, lascia la sua amata che lo aspetterà tutti i sabati per cinquanta anni sulla panchina del parco di Saitama; mentre l’ultima descrive l’ammirazione malata verso una idol da parte di un fan, che giunge a compiere gesti estremi pur di mantenere intatta l’immagine della sua amata.
Kitano nel raccontare l’amore supera la semplice rappresentazione presente negli altri film, ne spolpa il concetto, arricchendolo di situazioni disturbate, al limite della malattia; decide di dipingere l’amore con freddezza, senza cedere al sentimentalismo occidentale, affrontando piuttosto il delicato discorso del tempo (rappresentato dall’alternarsi delle stagioni), figura ambivalente, che causa il cambiamento che però non affossa mai il sentimento presente nei protagonisti della pellicola.
Dolls mette in luce l’incessante impegno richiesto, non solo dall’amore, ma dal più generale concetto di rapporto sociale, che potrebbe svanire da un momento all’altro a causa di una distrazione giunta dall’esterno alla quale spesso è impossibile ribellarsi.
Ogni passo dei protagonisti fa risuonare un paesaggio che fa da spettatore alle loro emozioni, quasi intento ad ascoltare la esile colonna sonora, ultima collaborazione tra Joe Hisaishi e Takeshi Kitano. Il musicista riesce a cogliere alla perfezione ogni immagine offerta dalla sceneggiatura, esponendola in modo quasi impercettibile grazie alle musiche che si adattano perfettamente ad ogni situazione, tanto da alternarsi ai numerosi silenzi presenti nel film quasi senza lasciare traccia.
1. L’estate di Kikujiro
(菊次郎の夏 Kikujiro no Natsu) – 1999
Nel corso degli anni il regista ci ha abituato a un mondo fatto di violenza, nel quale solo chi agisce senza etica riesce a godersi una limitata fetta di soddisfazione mentre si lascia terminare dall’incessante scorrere del tempo, eccezion fatta per “L’Estate di Kikujiro”. Con questa pellicola il regista decide di soffermarsi sul tema della solitudine, inquadrando questa volta non solo il protagonista, il piccolo Masao, ma soprattutto il contesto che lo circonda, il Giappone di fine millennio.
Masao è un bambino orfano di padre, che lontano dalla madre impegnata dal lavoro, finalizzato al suo mantenimento, vive con la nonna. Fin dalle prime scene trasmette una forte tristezza, causata dalla solitudine immediatamente successiva alla fine della scuola. Annoiato dalle vacanze estive, trova per caso una foto della madre e decide di andare a cercarla. Compare quindi il secondo protagonista, il quale nome verrà svelato alla fine; uno scorbutico signore, dall’aspetto poco rassicurante (chiaramente impersonato da Kitano) accompagnato dalla moglie, apparentemente più responsabile; la quale venuta a conoscenza delle intenzioni di Masao, lo affida al marito che prenderà il ruolo di suo accompagnatore. I due, dopo una prima fase di incomprensione, danno inizio al loro viaggio.
Takeshi Kitano adoperando il punto di vista di un bambino riesce a rappresentare qualunque tipo di situazione, evitando di sembrare troppo pesante, serio o fuori luogo. Tokyo attraverso gli occhi di Masao è una metropoli decisamente pericolosa, nella quale ad ogni angolo delle strade si possono incontrare bulli, ubriachi e pedofili, anche in zone (come Asakusa) generalmente coperte dai flash dei turisti. Sarà proprio Kikujiro ad allietare la solitudine del bimbo; l’inaffidabile uomo, molto probabilmente ex-affiliato della yakuza, avrà modo di crescere insieme al suo compagno di viaggio, riscoprendo un mondo troppo differente dalla vita frenetica della grande città. Grazie a Masao avrà modo di ripercorre le fasi della sua infanzia, riuscendo anche a rivivere la semplicità di quelle sensazioni da troppo tempo svanite.
Joe Hisaishi firma una delle colonne sonore più rappresentative della sua carriera, cattura ogni aspetto dell’estate giapponese e lo fa suo, assumendo il ruolo di mediante perfetto tra i due mondi contrastanti dei protagonisti. Grazie a questa pellicola possiamo godere insieme ai protagonisti degli odori della campagna giapponese; attraverso piccoli accorgimenti del regista possiamo avvertire sulla nostra pelle la canicola estiva allietata da un ventilatore o ascoltiamo il frinire incessante delle cicale, riuscendo così ad immergerci completamente nell’atmosfera leggera del film, cessando di pensare alle nostre preoccupazioni, con gli stessi occhi di Masao.
Sapevate che Takeshi Kitano è uno degli attori del cast di Yakuza 6: The Song of Life?