L’8 novembre 2019, se qualcuno mi avesse parlato di coronavirus gli avrei risposto naturalmente dicendogli che la birra annacquata da hipster non mi piace e non mi è chiaro come il marchio sia potuto diventare virale. A distanza di un anno, invece, abbiamo imparato a fare i conti con la peggiore pandemia da un secolo a questa parte, che ad oggi ha portato a quasi cinquanta milioni di casi nel mondo con oltre un milione di morti in meno di 12 mesi. Il Coronavirus, COVID-19 o SARS-CoV2 che dir si voglia ha cambiato il nostro modo di vivere costringendoci, per la buona parte di questo 2020, a vivere isolati, separati gli uni dagli altri, chiusi in casa in lockdown più stringenti (da marzo fino a giugno) e in alcuni più morbidi (come quelli di ottobre e ora di novembre, che via via si inaspriscono). Tanti hanno imparato a conoscere la solitudine, l’isolamento, il disagio e lo stress che spesso prova un’altra categoria di persone poco compresa, quella degli hikikomori, che richiedono un discorso a parte che spero di poter approfondire in futuro.
L’8 novembre 2019, prima di tutto questo, usciva su PlayStation 4 DEATH STRANDING, il primo titolo indipendente di Hideo Kojima dopo la sua dipartita da Konami. Nel mondo fantastico (si fa per dire) ideato da KOJIMA PRODUCTIONS, gli Stati Uniti d’America sono stati devastati da una calamità, il Death Stranding appunto, che ha avvicinato pericolosamente il mondo dei vivi a quello dei morti, generando entità soprannaturali, strani fenomeni atmosferici, e il quasi annientamento della popolazione del continente americano. I pochi sopravvissuti resistono in delle enclavi fortemente corazzate, in bunker isolati e generalmente solo in piccoli gruppi, o addirittura in maniera totalmente solitaria, come ci capiterà di scoprire occupandoci delle missioni secondarie dei vari personaggi sparsi per la mappa. A connettere in qualche modo questi drappelli isolati di persone abbiamo i corrieri di agenzie come la BRIDGES e la Fragile Express, gli unici in grado di attraversare un’America spettrale e vuota. Sembra familiare?
Spesso viene affibbiata ad Hideo Kojima la nomea di visionario perché, in titoli come METAL GEAR SOLID 2, è riuscito ad anticipare bene (e a criticare) come la società stia cambiando radicalmente a causa dell’accumulo incontrollato di stimoli a cui va incontro una persona d’oggi, sempre connesso e immerso in un mondo digitale che gli permette di avere a portata di mano quasi tutto lo scibile umano, ma anche ad essere costantemente giudicato ed in competizione con una buona fetta della popolazione mondiale. Il tutto nel 2001, quindi ben prima dell’avvento di social network come Facebook o simili, che hanno accelerato irrimediabilmente il processo. Con DEATH STRANDING in qualche modo c’è riuscito nuovamente, inutili teorie del complotto a parte. No, di certo non aveva predetto l’avvento del COVID-19, ma lavorando per metafore, è giunto ad una simile conclusione con un processo logico e creativo del tutto differente.
Secondo Kojima infatti, che nutre ben più fiducia dell’umanità di quanto non ne abbia io, la società è sempre più paradossalmente disconnessa e contemporaneamente connessa allo stesso tempo, con divisioni sempre più marcate e continue discriminazioni di sesso, classe sociale, etnia, e via discorrendo. Mezzi di comunicazione di massa, di trasporto, di totale digitalizzazione delle nostre vite non ci hanno resi più liberi, ma al contrario ci ha portato ad isolarci sempre di più nelle nostre bolle, camere d’eco in cui solo le opinioni a cui siamo già invisi possono filtrare e convincerci ulteriormente di quello che già pensiamo. DEATH STRANDING è stato concepito come il primo “strand” game, ovvero un genere rivoluzionario propostoci dallo sceneggiatore come un’esperienza in cui il punto focale è la riconnessione, il ricostruire la speranza per il futuro, tramite un protagonista (Sam Porter Bridges) così pregno di significati simbolici da essere praticamente un semplice “concetto ambulante”. Per rendere ancora più evidente il messaggio c’è l’originale sistema multiplayer del gioco, in cui invece che interagire direttamente con altri giocatori, potremo invece aiutarli indirettamente (o essere aiutati) costruendo infrastrutture che faciliteranno il viaggio ai corrieri che passano per quella specifica strada.
Io di DEATH STRANDING non ne ho parlato al lancio avendolo giocato solamente su PC a luglio, ma a quei tempi si era da poco usciti dal lockdown, ironia della sorte, e credo che questo abbia cambiato non poco il mio giudizio. Ed ecco perchè, in questo 2020, DEATH STRANDING è sicuramente il gioco più significativo per me, se non il migliore poiché non privo di difetti oggettivi, che vanno in alcuni aspetti a minarne la componente “ludica”. Abbiamo visto l’Italia riconnettersi piano piano alla Rete Chirale nelle settimane prima dell’uscita di questa versione su Steam, settimane dove il mio sostentamento è passato anche attraverso rider e corrieri. L’ho vissuta dunque come un’esperienza diversa, con cui ho potuto appunto “connettermi” meglio, fresco di mini-Death Stranding vissuto sulla mia pelle. Come i Simpson, pure Kojima ha predetto il futuro a modo suo.
DEATH STRANDING in versione PS4 è disponibile su Amazon al prezzo di circa 30 €. Se non lo avete ancora giocato, potete prendere in considerazione l’idea di farlo su PlayStation 5.