In un futuro non troppo lontano il mondo è riuscito a ottenere una pace perpetua e globale tramite un accordo fra tutte le nazioni che prevedeva fra le altre cose anche il disarmo nucleare totale. La nostra avventura inizia negli Stati Uniti, dove una misteriosa cellula terroristica di nome Heaven Smile, con al comando la figura enigmatica di Kun-Lan, sta seminando il panico trasformando ignari cittadini in creature mutanti normalmente invisibili ad occhio nudo e che esplodono al contatto con altri esseri umani, chiamati anch’essi Heaven Smile. Noi vestiremo i panni di sette agenti, i killer7, incaricati dal governo statunitense di indagare ed eliminare la minaccia terroristica posta dall’organizzazione; questi sette agenti condividono lo stesso cognome (Smith) e fanno tutti capo ad una singola persona: l’assassino mercenario Harlan Smith.
Piccola lezione di storia, per aiutare ad inquadrare meglio questo titolo: killer7, uscito inizialmente nel 2005 per GameCube, è stato il primo gioco ad arrivare anche in Occidente ideato da Goichi Suda, meglio conosciuto oggi come SUDA51. Oggi noi conosciamo bene questo sviluppatore, da alcuni chiamato “il Tarantino dei videogiochi giapponesi” per il suo stile esagerato che comprende solitamente violenza estremamente esplicita, riferimenti sessuali molto pesanti, uno spiccato gusto pulp e trame ricche di colpi di scena, simbolismi particolari e narratori inaffidabili.
- Titolo: killer7
- Piattaforma: PC / Steam
- Versione analizzata: PC / Steam (PAL / EU)
- Hardware utilizzato: Intel i7-7700, NVIDIA GTX 1070, 16GB di RAM
- Genere: Azione, Avventura
- Giocatori: 1
- Software house: NIS America
- Sviluppatore: GRASSHOPPER MANUFACTURE
- Lingua: Inglese (testi e doppiaggio), Giapponese (testi e doppiaggio)
- Data di uscita: 30 novembre 2018
- Disponibilità: digital delivery
- DLC: colonna sonora rimasterizzata in .mp3 e .flac
- Note: il gioco può essere adattato anche per avere un aspect ratio di 4:3
CAPCOM Five… out of Ten
Ai tempi, Suda era stato visto in pubblico solamente con una maschera da lucha libre indosso, più o meno come iniziò a fare qualche anno dopo, e fa tuttora, Yoko Taro. La gente sin da subito si era detta scettica, ma la presenza di Shinji Mikami (creatore di RESIDENT EVIL) come produttore, dovuto al fatto che killer7 sarebbe stato l’ultimo titolo appartenente al quintetto dei cosiddetti CAPCOM Five, faceva ben sperare i videogiocatori. Purtroppo, le cose non sono andate come sperato, e qui in Occidente killer7 e anche in misura minore in Giappone, è stato un clamoroso flop, con la critica del tempo indecisa sul giudizio da dare al titolo a causa dell’estrema particolarità di come venne realizzato il tutto, la discordanza fra storia eccellente e gameplay deludente, e con il pubblico che non lo gradì o non lo capì; questi due fattori contribuirono nel tempo a farlo diventare un titolo di culto underground.
Un mantra classico che si ripete spesso quando si parla di game design è: sviluppare prima un tipo di gameplay accattivante e solo dopo adattarvi la storia, confinandola tra i paletti del “programmabile”; con questo titolo invece si è fatto l’esatto contrario, mettendo al primo posto la storia che Goichi Suda voleva raccontare: una storia folle e sincopata fatta di pazzia, omicidi efferati, traffico di organi, terrorismo, relazioni internazionali fra Giappone e USA (binomio complicatissimo con mille sfaccettature, ovviamente per ragioni storiche e belliche), che probabilmente avrebbe funzionato bene come film, ma non riesce a fare altrettanto in forma interattiva.
Non riesco a credere che non sia Time Crisis!
Il gameplay è davvero qualcosa di simile a quanto si potrebbe trovare ad un cabinato arcade di circa dieci anni prima: il movimento del personaggio è su rotaie, nonostante gli ambienti vengano comunque renderizzati in 3D. È solo possibile andare in quattro direzioni, e per combattere contro gli Heaven Smile è necessario fermarsi, andare in una modalità con visuale in prima persona, mirare manualmente con una telecamera un po’ ballerina e dalla strana inquadratura che spesso va a finire sotto l’arma, scansionare l’ambiente circostante per trovare i nemici e solo a quel punto sparare o attaccare quando le creature si avvicinano abbastanza. Ogni volta che l’arma viene ricaricata, anche se siamo in prima persona, verremo riportati alla terza.
Sebbene descrivendola così questa serie di azioni sembra semplice, in realtà i tasti associati sono sparpagliati per il controller e spesso non hanno molto senso di trovarsi lì, basti pensare che per muoversi per esempio bisogna tenere premuto “A” in caso si usi un controller Xbox One, come nel mio caso, decisamente controintuitivo e che fa sembrare estremamente più legnoso il tutto.
Perso nel miasma
Sono poi presenti a intervalli abbastanza regolari dei puzzle, sia da risolvere come “rompicapo” che come combattimenti, per esempio per oltrepassare una certa area potrebbe essere necessario dover sparare ad un grosso agglomerato di carne umana in un punto preciso, solitamente abbastanza facile da trovare, più volte e con un proiettile potenziato. Discorso diverso va fatto invece per i puzzle ambientali che invece in alcuni casi danno ben pochi indizi al giocatore su come progredire. Il sistema di proiettili caricati utilizzando il sangue raccolto dagli Heaven Smile caduti è interessante, ma abbastanza confusionario.
Sebbene avremo sempre con noi lo strano essere fantasma in tenuta BDSM Iwazaru a darci dei consigli utili e a fungere da “tutorial”, lo stesso non spiega in dettaglio chiaramente certe meccaniche, costringendoci poi a perdere del tempo più avanti. Fra i sette agenti Smith infatti, il primo che controlleremo, Damien Smith, è l’unico che ha la capacità di riportare in vita gli altri sei compagni caduti: se anche lui dovesse morire, saremo costretti a ricominciare il gioco da capo, cosa non chiaramente spiegata in nessun tutorial. È stato piacevole però provare tutti i vari personaggi, perché sufficientemente diversi l’uno dall’altro: questo cambio è richiesto a volte per superare ostacoli ambientali come allarmi laser o punti troppo stretti. Questo non li ha salvati dal sembrare tutti un po’ troppo lenti, in linea con lo spirito generale del gioco.
Questa versione rimasterizzata aggiunge il minimo sindacale per permettersi di essere chiamata tale: supporto ai 60 fotogrammi al secondo (non presente ovunque, le animazioni di ricarica per esempio sono rimaste a 30), il supporto per il widescreen e la risoluzione più alta che rende il font troppo spalmato e di difficile lettura in certi casi, e la rimappatura dei comandi per i controller moderni.
A chi consigliamo killer7 per PC?
Questa è una delle domande più complicate che mi sono state rivolte in un bel po’ di tempo (forse la più difficile di tutta la mia vita); killer7 è un po’ come una performance art di Marina Abramovic: lo si ama o lo si odia, e difficilmente si capisce al volo il significato. Lo stesso dolore che ha provato lei incidendosi il ventre in Thomas Lips nel 1975 l’ho provato figurativamente io, che è un iperbole ma ha relativamente senso, mentre progredivo fra i capitoli di gioco maledicendolo per la lentezza del tutto e i per lo schema dei comandi, che fino alla fine non sono riuscito a fare miei istintivamente. In generale, chi ha apprezzato l’originale potrebbe ritrovarsi immerso nella nostalgia, mentre per tutti gli altri forse guardando una raccolta con tutte le cutscene presenti su YouTube, che vanno comunque a formare una storia lunga più di due ore, l’esperienza sarebbe più godibile e meno frustrante.
- Storia cervellotica e interessante
- Direzione artistica e tematica originalissima
- Preservare i classici è sempre importante
- La pazzia di SUDA51 in tutta la sua gloria…
- …Ma totalmente a discapito della giocabilità
- Si nota che il gioco non era progettato per il widescreen
- Sistema di salvataggio frustrante
- Comparto audio pessimo
killer7
Un pezzo da museo difficile da digerire
Bisogna fare i conti con l’elefante nella stanza: come esperienza narrativa, killer7 stravince; come videogioco, invece, non convince. Su stessa ammissione del team di sviluppo, si è pensato prima alla trama e ai personaggi e solo dopo a quale tipo di gameplay e di gioco vero e proprio ci sarebbe stato a supportare il tutto. Il risultato è un sistema di controllo scomodissimo, un titolo parzialmente su rotaie, che se già sembrava un anacronismo limitato agli arcade nel 2005, nel 2018 sembra proprio una scoria del tempo. Anche con uno stile cel shaded che, sebbene possa aiutare nello svecchiare un po’ un titolo, di sicuro non può fare miracoli, si nota quanto killer7 sia invecchiato male. Ogni cosa di questo titolo urla “random”, persino i menu fatti in semitrasparenza, con categorie sparse un po’ a caso. È giusto rispettarlo come un videogioco di culto quale effettivamente è, e preservarlo come pezzo di stroria videoludica per le future generazioni. Proprio come i reperti più preziosi però, finito il restauro forse sarebbe meglio lasciarlo stare dietro una teca di vetro e guardarlo tenendosi a distanza. Niente flash, per favore.