5 cose che ci mancano delle vecchie sale giochi

Cabinati, sigarette, personaggi leggendari e leggende metropolitane: un tuffo nel passato nelle sale giochi degli anni ’90 ormai scomparse in tutta Italia

5 cose che ci mancano delle vecchie sale giochi

Chiunque segua assiduamente Akiba Gamers da qualche anno sa che posseggo un cabinato. Si tratta di un bartop fatto su misura che mi sono autoregalato per il trentesimo compleanno per un motivo che capirete alla fine di questo articolo. Capita, purtroppo molte volte più del normale, di attraversare dei momenti no, vuoi per lavoro, preoccupazioni, o a volte pensare troppo più del normale. È proprio quando mi accorgo che a 33 anni non sono riuscito a diventare un astronauta, una tartaruga ninja o uno dei Ghostbusters che mi rifugio in questo “oggetto”. Questa macchina infatti mi permette di estraniarmi da tutto e da tutti e di ritrovarmi, anche a 33 anni, nuovamente alto un metro, con tutti i capelli e con mille lire pronte ad essere convertite in gettoni o in monete da 200 lire. Mi fa sentire nuovamente negli anni novanta, dove le uniche preoccupazioni erano quelle di arrivare all’ultimo boss, salvare principesse e vincere improbabili tornei di arti marziali, preoccupandomi solo di schivare a mo’ di Migatte no gokui gli schiaffi dei nostri genitori per aver fatto tardi a casa.

Avrete già capito dalla prefazione che questo articolo avrà lo scopo di farvi viaggiare nel tempo, per cercare di farvi provare almeno in parte le stesse sensazioni di chi ha vissuto e continua a viverle questi piccoli momenti di isolamento da malato mentale. Le sale giochi, ormai scomparse quasi del tutto dal nostro Paese, erano il massimo divertimento per un bambino nato negli ultimi trent’anni dello scorso millennio: vi consiglio di leggere con un fazzoletto in mano, alcune delle cose che seguono potrebbero commuovervi.

L’ambiente

Parto prima descrivendo le “mie” sale giochi. Per un bambino del sud abitante in un paesino di quasi 2000 abitanti non esistevano sale giochi, a meno che non si andasse nelle grandi città (e grandi era proprio un parolone) e per noi quindi, la scelta cadeva nei bar del quartiere. Ai tempi si poteva fumare dentro i locali, vi lascio immaginare quindi che l’ingresso in quegli antri di vino, carte e bestemmie era paragonabile all’ingresso in una catacomba. Anche i cabinati avevano ai lati dei mini posaceneri, sempre pronti a macchiarti la manina di cenere in caso di qualche hadoken di troppo. Le slot machine e i videopoker ancora non esistevano e aspettavano il loro xenomorfo insediamento per fagocitare tutte le macchine arcade. Non disdegnavo affatto quelli ambienti, visto che ci sono letteralmente nato, infatti i miei possedevano un bar vecchio stile, chiuso nel 1993 per aprire un bar-pizzeria-ristorante. È stato lì che ho cominciato a muovere i primi passi nel mondo degli arcade, finendo il mio primo gioco, Out Run, insieme a mio fratello, a circa 4/5 anni. A capo di tutto c’era il proprietario dei gettoni o il convertitore delle monete da 200 lire come sempre unico ostacolo tra noi e il nostro piacere quotidiano. I più coraggiosi cercavano spesso di truffarlo con la più banale delle scuse, ovvero “il gioco mi ha mangiato il gettone” per farsi una partita in più e a volte, complice un calcio al cabinato per via di una partita persa troppo in fretta, si arrivava anche al conflitto verbale. Ricordo inoltre che in quel periodo andavano di moda i “Pistons”, stivali che in confronto i ferroni da stiro a carbonella di piombo fuso di Fantozzi erano delle comuni ciabatte. Passiamo ora ad una breve descrizione della fauna che popolava questi luoghi di culto.
Winners don't use drugs

La fauna

Ricordo sempre la celebre frase che accompagnava l’accensione di ogni videogame di casa CAPCOM che diceva “I vincitori non usano droghe” — peccato che mai frase fu più sbagliata, infatti alcuni personaggi che popolavano la sala giochi ed erano forti ai videogames non erano proprio degli stinchi di santo. Al tempo non si pensava di certo alle donne, era rarissimo vederne una nelle sale giochi e ancor più raro vederla all’interno delle bettole che ospitavano i videogames, infatti se notavi dei capelli lunghi probabilmente appartenevano a un metallaro. Ognuno aveva i suoi gusti ma tutti, e dico TUTTI, sfogavano la libidine sui cabinati di New Fantasia, un arcade che ti permetteva di vedere due tette pixellate e che ti faceva fare figure meschine quando tua madre veniva a cercarti in quei posti, a causa dei gemiti che il gioco faceva quando completavi una porzione di livello, sparati a volume smodato nelle casse. Le modalità di gioco erano le seguenti: i giochi con due giocatori in cooperativa erano quasi sempre occupati, e si liberavano solamente quando uno dei due litigava con l’altro per aver preso un power up destinato all’altro, e via di botte. Stessa cosa capitava con i picchiaduro: se avevi una sola moneta evitavi di farti sfidare dal prossimo, a meno che non troppo sicuro di te o abbastanza bravo; inutile dire che il più delle volte le risse tra bambini si scatenavano perché qualcuno sfidava l’altro senza permesso. L’inflazione poi ha generato abbastanza disagio, ricordo ancora la sfiorata rivoluzione con il proprietario del bar quando arrivò Virtua Striker che voleva non uno ma ben due gettoni. Aveva una grafica da paura e la possibilità di registrare il best goal (che poi ognuno magari lo spacciava per suo anche se non era vero, causando altri tafferugli) ma due gettoni cazzo no, chi sono, Paperon de Paperoni?

5 cose che ci mancano delle vecchie sale giochi

Babbo Natale

Le figure di spicco che avevo da piccolo, oltre a Ultimate Warrior e Kurt Russell, erano Babbo Natale e l’uomo dei videogames. L’uomo dei videogames era quello che andava a prendere le monete dal cassetto o che aggiustava le macchine quando erano guaste. Inutile dire che incontrarlo proprio mentre arrivava ti faceva stampare un sorriso da ebete sul volto perché voleva dire solamente due cose: un nuovo gioco o gettoni gratis. Infatti il bastardo aveva la chiave, oggetto proibito che permetteva al tizio di inserire crediti gratis nelle macchine e se tu eri lì presente in quel momento ti sentivi come se avessi vinto il biglietto d’oro per la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka. A differenza dei Flipper, che potevano darti un credito gratis a fine partita, i videogiochi arcade al massimo avevano una vita extra ottenibile superando una certa soglia di punteggio oppure in un punto nascosto del livello e molto spesso dovevi crepare due volte per cercare di prendere la vita extra. Quando poi arrivava un nuovo gioco le voci in paese si spargevano presto e talvolta dovevi necessariamente sacrificare la visione di Ken il Guerriero e City Hunter su TCS per poter arrivare prima delle altre persone. Se poi il tizio arrivava mentre c’erano altri tuoi coetanei, cominciavi a vedere come il peggiore dei nemici lo stesso bambino con cui prima avevi una combinazione più potente di Misaki e Tsubasa di Captain Tsubasa.

Leggende metropolitane

Ai tempi internet non era così diffuso e quindi potevi beccare le più assurde leggende metropolitane sui videogames. Alcuni cantastorie narravano le gesta di un tizio che era riuscito a entrare negli edifici del quinto livello di Metal Slug e che aveva addirittura usato una delle Fiat 500 del livello, caratteristica resa disponibile solamente in Metal Slug 5. Quando ti presentavi con un trucco, per esempio conoscendo una fatality di Mortal Kombat oppure usando l’MVP Genki di Virtua Striker diventavi il mito della sala e guai a rivelare il segreto, in quanto avresti perso tutto il supporto della ciurma che seguiva le tue gesta nella sala giochi o nel bar e, in un tempo dove il rispetto te lo guadagnavi facendo il perfect a Shang Tsung, non era di certo cosa da poco. Ricordo ancora di gente che parlava di Street Fighter III prima ancora che uscisse o di chi affrontò Akuma e, nonostante i testimoni, venne preso per pazzo e probabilmente passò il resto della sua vita a drogarsi per non essere stato creduto. A malapena ricordo ancora una hack di THE KING OF FIGHTERS presente in sala giochi, dove il team delle donne, se una super veniva usata contro di loro, perdeva i vestiti facendoti sentire un maschio alpha in mezzo ai gorilla.
5 cose che ci mancano delle vecchie sale giochi

Le differenze con il Giappone

Durante il mio primo viaggio in Giappone rimasi letteralmente folgorato, in quanto il sentore déjà-vu avvertito all’interno sale giochi era più forte che mai. Purtroppo lì quasi tutti i cabinati di ultima generazione sono connessi alla rete, facendo perdere quasi del tutto la gioia più grande di sbeffeggiare l’avversario in prima persona (ricordo ancora la mia scia imbattuta di gloria a THE KING OF FIGHTERS ’96, che ho dovuto interrompere perché stavano chiudendo la sala giochi con noi ancora dentro). Purtroppo il Giappone è un paese che ha difficoltà ad interagire con il prossimo, specialmente se straniero e, nonostante all’ultimo piano di una sala giochi un tizio mi chiese da accendere (si poteva fumare in certi angolini), non spiccicò neanche una parola né mi degnò di uno sguardo. Oltre ai giochi interattivi con le carte, tipo DRAGON BALL Heroes dove ad ogni partita ricevi una carta utilizzabile all’interno del gioco stesso, vi è anche la possibilità di acquistare e mangiare improponibili snack all’interno della sala giochi stessa attraverso dei distributori automatici. È possibile inoltre acquistare una carta per salvare i progressi della tua partita, sbloccando inoltre dei bonus per l’applicazione mobile quando disponibile, oppure contenuti multimediali relativi al gioco solamente collegandoti al sito ufficiale. Il fatto poi di trovare dei videogames nelle toilette dell SEGA Joypolis (con conseguente pisciata in terra per via della concentrazione e delle risate) sembra incredibile da raccontare senza poterlo vedere. Potrei inoltre parlarvi mille altre cose, come per esempio la ragazza che preferì fuggire piuttosto che accettare delle partite gratis da me e Kurama (eravamo messi male ma vi giuro che non avevamo lo sguardo da stupro), oppure vedere tizi ancora davanti ad un videogame o una pachislot dopo dodici ore di fila ma preferisco lo vediate, magari con qualche collegamento live, direttamente quest’anno, quando torneremo alla conquista del Sol Levante.

Spero, con questo articolo, di aver aperto i vostri cancelli della memoria e spero, in futuro, di pubblicare più articoli riguardanti i giochi gloriosi degli anni passati, non tanto per farveli conoscere ma più che altro per farvi tornare alla mente le stesse sensazioni che ho descritto in questo articolo. E voi, avete qualcosa da raccontare? Fatecelo sapere: siamo ansiosi di conoscere i vostri racconti.

Ha reagito all'annuncio di Bloodstained: Ritual of the Night come Paolo Brosio con il Papa. Termina Golden Axe almeno una volta al mese. Da dieci anni.

1 commento

  1. Fantastico time travel

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