Lo STEM è una macchina partorita dalla mente perversa di un serial killer per scandagliare gli abissi più intimi della coscienza. Oggi, fra i segreti anfratti dell’ennesima massoneria, il brevetto è stato utilizzato per ben altri scopi: migliaia di menti confluiscono in quel piccolo mondo che è Union, la prima cittadina sospesa nel limbo di una realtà alternativa creata dalla Mobius. Sebastian Castellanos è solo un ricordo del detective sopravvissuto alla strage del Beacon Mental Hospital, oggi vittima dei suoi sensi di colpa e dell’alcool in cui cerca di annegare. A tre anni dai suoi più grandi traumi, Juli Kidman lo incontra per raccoglierlo con un lucido ma maleodorante cucchiaino e dargli uno scopo: salvare sua figlia. Per farlo, dovrà tornare all’inferno e sconfiggerne le eminenze grigie che lo popolano e ne bramano il fuoco, per un incedere di eventi drammatici e pericolosi: l’unica via per risalire è sprofondare.
Il viaggio all’inferno è un topos sviluppatosi timido nel corso di questi duemila anni. Senza voler scomodare alloro e poeti, fra i moderni cantori trova spazio The Evil Within, un inferno privato e affascinante, un concept straordinario ma vittima di quella negligenza che ne ha ostacolato l’ascesa a caposaldo del genere horror. Mikami aveva tante, troppe buone idee, amalgamante però in un rimescolo stantio che in questo capitolo risulta diluito e profumato, forse bevibile. Sarebbe sacrilegio violentare la volontà del maestro, a Bethesda lo sanno bene, e si cerca solo di far qualcosa un po’ più accessibile.
The Evil Within 2 è quasi ironico nel suo perdere e guadagnare personalità: la catarsi di Sebastian Castellanos acquista chiarezza e controllo, perché le idee c’erano da sempre, bisognava solo farle vedere. Alle soglie del 2018, la nuova produzione di Tango Gameworks non si presenta stravolta nel solo comparto narrativo, ma anche in un gameplay ora certo della sua identità stealth e inserito in quel tanto vociferato sandbox che si suppone estraneo al genere. Il prezzo della stabilità è la perdita della sperimentazione: di tutte quelle componenti tanto nuove ed eredi delle moderne produzioni quanto ricavate da una tradizione storica che il primo episodio maldestramente mescolava. Un survival horror e un TPS moderno, che fa dei suoi costanti richiami a produzioni quali The Last of Us un paradigma di serietà per sceneggiatura, gameplay ed evoluzione del personaggio, branche RPG se vogliamo immancabili in un qualsiasi single player tripla A moderno.
Ma quindi ‘sto gioco è bello o no? Ve lo spiego volentieri, ma mi dovete concedere un paio di paragrafi e un po’ di pazienza, perché il discorso va fatto come si deve. Preparatevi.
- Titolo: The Evil Within 2
- Piattaforma: PlayStation 4, Xbox One, PC / Steam
- Genere: Survival Horror
- Giocatori: 1
- Software house: Bethesda Softworks
- Sviluppatore: Tango Gameworks
- Lingua: Italiano (testi e doppiaggio)
- Data di uscita: 13 ottobre 2017
- Disponibilità: retail, digital delivery
- DLC: non disponibili
- Note: prodotto da Shinji Mikami, è noto in Giappone come PSYCHO BREAK 2
Ma il gatto che significa?
Descrivere la trama di The Evil Within 2 è tanto semplice quanto pericoloso, poiché intimamente connessa agli eventi del primo episodio e annessi DLC. Le premesse ci vengono sbattute in faccia senza pietà, e il giocatore attento dell’opera precedente di Mikami non farà fatica a trovarne i nodi giusti a cui collegare quanto appena mostrato. Segue l’intima presentazione di un’atmosfera horror mai distante dall’estetica dell’originale, attraverso uno stile che comunica sicuro il cambio di regia. Lo sguardo attento del papà di RESIDENT EVIL aleggia sul gioco in veste di produttore, ma risulta evidente l’intento di voler creare una storia forte ma accessibile, fondata meno sul criptico flusso di coscienza in salsa horror che il maestro aveva cercato di riprodurre e invece ancorata ad una sapiente componente drammatica.
Sebastian è vivo, ha sia cuore che cervello, e oggi affronta i traumi che hanno relegato la sua anima all’alcolismo in un incubo più elegante e pacato, diretto e chiaro, il cui incedere è scandito da cutscene dense di informazioni. La narrazione segue un crescendo stabile e solo raramente allungato ad acqua, per la gioia di tutti gli estimatori del primo episodio. I personaggi, villain e presunti tali, sono ben caratterizzati poiché è sulla loro interazione che la trama punta maggiormente: il dramma è vitale per The Evil Within 2, forse addirittura più dell’intreccio stesso, in grado di regalare momenti memorabili grazie anche ad un buon motion capture e a un valido doppiaggio. Nella perdita di un’identità “d’autore”, questo secondo capitolo ritrova sé stesso in una narrazione meno caotica, disposta a spogliarsi della sua spocchia per imboccare gentilmente il giocatore. Ciò è evidente dall’enorme spazio dedicato a questa: una produzione ormai concentrata sul delineare un protagonista con un’identità e un trascorso, traumi, tragedie e sentimenti, grande mancanza del primo episodio. Permangono buchi qui e là su lore e contestualizzazioni varie, lasciati spesso al caso di interpretazioni soggettive mal congeniate e sporadici documenti da collezionare, una scelta oggi comune e (in)dubbiamente apprezzata.
Cesti di sabbia
Simile il giusto al suo predecessore, The Evil Within 2 si scrolla di dosso il tono indeciso del primo capitolo per definirsi ufficiosamente stealth. Adesso è vitale dosare e accumulare compulsivamente risorse e materiali utili sparpagliati per i vari livelli. A stabilire tal tono è la componente più vociferata della nuova produzione, le fasi sandbox, in cui svolgere missioni secondarie a la Downpour e muoversi silenziosamente in una mappa aperta piena di nemici. Missioni, se così è giusto chiamarle, che risultano spesso ripetitive e noiose, con in premio zero dettagli aggiunti su trama e pochi momenti di reale divertimento. Un peccato se si considera l’ottima qualità di alcune, purtroppo poche ma d’impatto, con ampie citazioni al primo episodio e boss dedicati. Poco male, perché l’anima di questo secondo The Evil Within resta impressa nei lunghi corridoi, fasi horror ad hoc con addirittura piazzati qualche sapiente jumpscare ed esplorazione dello scenario, in un’atmosfera densa di terrore e cura magistrale. Tutto funziona come deve, e alla bellissima estetica di scenari al chiuso e dintorni si alternano poche fasi aperte di transizione.
L’esperienza risulta essenzialmente stealth, specie alle difficoltà più elevate dove è imperativo nascondersi e addirittura scappare da orde inferocite e massacri assicurati. Certo non aiuta un sistema di mira impreciso e hitbox millimetriche, anche solo per concentrare le scarse munizioni sulle teste dei Corrotti e così risparmiarle. Per il resto scordatevi bombe, trappole e fiammiferi, perché quando non si gioca stealth si consumano i nervi in combattimenti all’ultimo sangue e fughe adrenaliniche, con acme nelle meravigliose boss fight, dove tutte le risorse accumulate si sprecheranno in una botta sola. Però ne vale la pena.
Monta che ti passa
Accumulazione di risorse che, come accennato, segue gli stilemi dell’ormai fondamentale The Last of Us e si esprime in un crafting ricco e dettagliato, non più accessorio inutile ma parte attiva dell’esperienza. Cerca, raccogli, conserva e assembla quando opportuno, spesso munizioni ma anche upgrade per le armi. Ai pezzi di ricambio si aggiungono ora fusibili, polvere da sparo, sbarre di ferro e azoto liquido per creare i più disparati materiali per le bocche da fuoco, anch’esse distribuite in quantità ma poco differenziate rispetto al precedente capitolo con solo due aggiunte.
Anche il potenziamento della costituzione del personaggio appare dosato: le abilità sono distribuite in alberi ordinati e differenziati fra loro per un progresso personalizzato e graduale, con skill attive e non ad ampliare il pacchetto e approfondire le potenzialità del gameplay. Peccato per una certa scopiazzatura di fondo dei modelli dei nemici base, differenziati in ben poco fra di loro e presenti in masse uniformi su schermo con annessi frequenti e pesanti cali di frame e IA deficitaria, che impallerà spesso le proprie routine per qualche cassonetto di troppo. Segue una pessima gestione del cover system introdotto per la prima volta nel DLC The Assignement, che da esso eredita idea e problemi: Sebastian non sarà spesso in grado di distinguere quando separarsi da una copertura o liberarsene per muoversi oltre, e risulta spesso frustrante anche per le animazioni legnose assegnate al nostro personaggio, sì migliori del gioco precedente ma frequentemente impedite. Non è tutto uno sfacelo, questo comparto tecnico: il passaggio allo STEM Engine, una personalizzazione dell’Id Tech 5, ha fatto sì che lo studio potesse ampliare la palette cromatica a disposizione e creare scenari più cupi ma colorati, migliorare gli effetti luminosi e la gestione delle luci, aggiungere nuovi shader e potenziare incredibilmente il comparto visivo: il gioco è veramente bello da vedere, ogni personaggio ha la sua estetica dedicata e le texture sono (quasi) tutte pulite.
A chi consigliamo The Evil Within 2?
Consigliamo The Evil Within 2 a tutti gli amanti dell’horror e del primo capitolo in particolare, a patto di andare incontro a una produzione più accessibile e meno criptica ma comunque emozionante. Consiglio il gioco anche a chi cerca un buon mix fra azione e tattica, anche qui con la premessa di attendersi un gameplay ancora lungi dall’essere perfetto, anche se più per problemi di natura tecnica che altro. Un ultimo avviso va agli amanti dell’estetica di RESIDENT EVIL o di atmosfere malate in generale, che troveranno nel nuovo lavoro di Tango Gameworks un’ottima gemma grezza, da custodire e conservare per i posteri e i saccentoni a venire.
È possibile acquistare The Evil Within 2 su PS4 in formato digitale tramite le PlayStation Network Card.
- Atmosfera meravigliosa
- Comparto narrativo curato e personaggi di spessore
- Incedere graduale e ben costruito, climax esplosivo
- Gameplay rifinito
- Meno originale del predecessore, meno malato
- Comparto tecnico da rivedere quasi in toto
- Fasi sandbox ridondanti e migliorabili
The Evil Within 2
Migliore, ma non troppo
The Evil Within 2 non è The Evil Within: ne eredita estetica, corpo e sostanza, ma si esprime in un modo tutto nuovo, deciso, forte eppure lontano dalla claustrofobia e dal soffocato genio che aveva contraddistinto il primo episodio. Si tratta di un ottimo gioco, ma fa storcere il naso notare che pur di adattare i prodotti agli standard odierni si ritenga altresì opportuno smontarli e ricompattarli, magari privandoli della loro anima e lasciarli infine al solo involucro. Una conclusione forse un po’ dura nei confronti delle lodi diffuse verso un comparto narrativo magnifico, un gameplay ricco e un’atmosfera ben congegnata, forse moraleggiante come mio solito ma sicuramente emblema del mio timido disappunto e del senso che attribuisco alla mia attività critica: far riflettere. Ciononostante, il titolo merita le sue lodi e plausi, se non altro nei confronti di un director che è riuscito a raccogliere l’immane eredità di un Mikami un po’ confuso e riversarla in un gioco compatto, liberato di tutto ciò che andava storto. Un ottimo esempio di game design tradizionale, che speriamo sbizzarrirsi in un terzo capitolo, magari reintroducendo e ben contestualizzando tutte quelle idee che nel primo erano realizzate male.