Negli ultimi anni, io e la corposa categoria dei manga shōnen (che indica principalmente il target demografico, non il genere di appartenenza vero e proprio, distinzione importante), e più precisamente quelli dedicati alle arti marziali, ci siamo un po’ allontanati. Forse per via di un ricorso ad una progressione troppo formulaica che continua semplicemente ad anteporre nemici sempre più potenti in una continua escalation senza fine, oppure per via dell’età che avanza anche per me, per cui sento il bisogno di leggere storie più introspettive, meno adrenaliniche, l’ultimo vero manga con questo target che mi ha lasciato un grande segno e al cui fandom ho partecipato attivamente è stato Bleach, ormai troppi anni fa. Questo fino a quando non ho scoperto KENGAN ASHURA, manga pubblicato dal 2012 al 2018 digitalmente da Shogakugan nella rivista Ura Sunday, scritto da Sandrovich Yabako e illustrato da Daromeon, infine arrivato in Italia sotto l’etichetta Planet Manga attualmente all’undicesimo volume (di ventisette). Qui nel Belpaese siamo tragicamente indietro: non solo la storia di Ashura in patria si è già conclusa, ma da tempo è già iniziato il seguito, Kengan Omega (attualmente arrivato al novantesimo capitolo). Mi limiterò a parlare dunque solo della prima parte, ricordandovi che esiste anche un adattamento animato parziale esclusivo Netflix, ad opera di Larx Entertainment: totalmente in CGI, totalmente dimenticabile e quasi del tutto mediocre.
Le premesse di Kengan Ashura sono davvero molto semplici: nel mondo creato da Sandrovich le dispute commerciali di alto livello si risolvono non tramite avvocati o strategie finanziarie, ma tramite un tipo di violenza “controllata”: il circolo di combattenti segreto Kengan, appunto. I due imprenditori giapponesi (ma non solo, le lotte Kengan sono accettate anche fra imprenditori internazionali) o i CEO delle aziende coinvolte scelgono un campione, una sorta di gladiatore che li rappresenti. Questi due combattenti si affrontano in un combattimento a mani nude e l’azienda del vincitore si aggiudica l’intera posta in gioco, che può essere ad esempio un terreno edificabile, una quota di partecipazione in una società, e simili. Questa tradizione va avanti da centinaia di anni e viene garantita da un presidente: quando Katahara Metsudo, l’attuale capo dell’associazione e amministratore delegato della Dainippon Bank annuncia l’intento di ritirarsi e la volontà di scegliere un successore tramite un torneo all’ultimo sangue, diversi CEO senza scrupoli iniziano a tessere trame nell’ombra. Uno di questi è Nogi Hideki, che decide di far partecipare al torneo un suo umile salaryman ignaro di tutto, Yamashita Kazuo, a patto che quest’ultimo nomini Nogi come presidente in caso riuscisse ad ottenere la vittoria. Il lottatore scelto da Yamashita è Tokita Ohma, un uomo misterioso con delle motivazioni non chiare che lo spingono a voler vincere a tutti i costi, e che esulano dai giochi di potere dei miliardari per cui combatte.
Ma come è possibile che un intero manga praticamente dedicato ad una di quei tournament arc che tanto mi hanno annoiato negli ultimi anni riesca invece ad attrarmi così tanto? Credo che il segreto sia da ricercare nel modo in cui il ritmo della storia è stato strutturato, nei personaggi che la compongono e per finire nello stile di disegno fantastico di Daromeon, che creano una combo letale in grado di mandare KO ogni lettore e di affascinarlo, a patto che gli piaccia a prescindere vedere omaccioni enormi darsele di santa ragione. Prendiamo lo “stampino” da cui tantissimi manga shōnen partono: un protagonista, spesso adolescente e con poteri speciali, ha un sogno, una profezia o un qualcosa di quasi impossibile da realizzare. Tramite il duro lavoro, la forza dell’amicizia e un cast di personaggi che lo supportano, questo affronta avversari sempre più potenti in successione a cui spesso viene associato un singolo arco narrativo con una sorta di “boss finale”. Il protagonista diventa sempre più forte e ottiene accesso a tecniche o poteri sempre più spettacolari, spesso “sbloccati” nel momento del bisogno tramite espedienti narrativi o, nei casi peggiori, di “deus ex machina” mal spiegati.
Sandrovich non solo ha evitato nella trama di Kengan Ashura la maggior parte di questi crismi ormai scontati, ma li ha attivamente sovvertiti: posso dire con una certa confidenza che Tokita Ohma e Yamashita Kazuo non rispecchiano minimamente i requisiti dei protagonisti degli shonen classici (uno è un ventottenne, lottatore già fatto e finito, l’altro è un impiegato cinquantenne depresso senza alcuna esperienza da combattente o da manager, a malapena una voce della coscienza) e che la loro importanza ai fini della storia non è così rilevante come in altre opere di questo filone, tanto da considerarli non dei veri e propri protagonisti. Durante il corso del manga, infatti, conosceremo tutti i partecipanti al torneo, sia i lottatori che i CEO, e a loro e alla loro backstory sono dedicati interi capitoli: vedremo tutte le lotte, anche quelle sulla carta meno importanti o più sbilanciate in favore di questo o quel lottatore, e quando si sale sul ring che più che ad un’arena somiglia ad un palcoscenico, i protagonisti cambiano continuamente, relegando a semplici comparse per diversi capitoli anche i personaggi che pensavamo essere davvero importanti. Anche tutti gli intrecci, i giochi di palazzo e le cospirazioni che circondano il Torneo di Annientamento Kengan non sono trattati come semplici “cattivi della settimana” ma hanno un impatto sulla trama principale e sulle sue ramificazioni, alcune di queste con radici così profonde da essere diventate il punto focale del seguito, Kengan Omega.
Serie come Dragon Ball Super sono cadute vittima di un fortissimo power creep che ne ha abbassato drasticamente la qualità, ovvero quella dinamica in cui il livello di potenza di protagonista ed antagonista du jour cresce così tanto che tutti gli aiutanti risultano essere poco più che macchiette comiche a confronto: qui si è riuscito ad evitare anche questo. Persino i lottatori sulla carta imbattibili hanno punti deboli reali e sfruttabili e, anche se ovviamente si tratta di una storia verosimile e non certo realistica (ma non così estrema come Baki the Grappler), abbiamo pur sempre a che fare con esseri umani. Non aspettatevi dunque attacchi energetici, distruzioni di interi stadi e altri avvenimenti eccessivamente sopra le righe, ma genuine botte da orbi e stili di lotta particolari e realmente esistenti. Un cast così diverso e variegato e facilmente divisibile in categorie di potenza, abilità e stili di lotta differenti si presta bene alla discussione online, e nonostante questo Kengan continua ad essere un manga piuttosto di nicchia, ma con una fanbase estremamente dedicata.
Lo stile di disegno di Daromeon, l’illustratore, è probabilmente il pugno da KO finale che rende questo battle manga davvero imperdibile e che rende il confronto con la serie Netflix davvero impietoso: dopo i primi capitoli un po’ troppo grezzi, i disegni migliorano drasticamente. Le linee cinetiche tiratissime che danno un’idea forte di dinamismo e di quanto effettivamente forti siano i colpi dei lottatori, le proporzioni e la muscolatura piuttosto realistiche rispetto a tanti altri esponenti del genere (sto guardando proprio te, Keisuke Itagaki…) e in generale poca riluttanza nel mostrare gli aspetti più cruenti sono alcuni dei motivi per cui questa serie mi ha conquistato del tutto e di cui non vedo l’ora di poter aggiungere alla mia collezione tutti e ventisette i volumi, e di aggiungervi anche Omega, speriamo il più presto possibile. Sandrovich Yabako, l’autore, sembra essere un vero e proprio patito del fitness e del bodybuilding: il suo altro manga attualmente in pubblicazione (ma coi disegni di un altro illustratore) è Danberu nan kilo moteru? (“How heavy are the dumbbells you lift?“) che, a detta dell’autore, si piazza nello stesso universo narrativo, cambiando la prospettiva da un battle shonen ad uno slice of life moe, ma conservando diversi riferimenti a Kengan e addirittura alcuni capitoli dedicati, creando una specie di Kenganverse: una buona alternativa per chi volesse vedere belle ragazze allenarsi duramente in palestra, ma senza effettivamente prendersi a schiaffoni alla Bud Spencer. Non solo: CAPCOM ha anche collaborato alla stesura di alcuni capitoli extra crossover fra Kengan Ashura e Street Fighter, mostrandoci alcuni personaggi iconici della saga di picchiaduro affrontare i lottatori dell’associazione. Insomma, Kengan Ashura non è una sorta di scopiazzatura in chiave moderna di Baki the Grappler, come ho spesso sentito dire, ma è una vera e propria chicca nascosta che non vedo l’ora venga scoperta anche qui in Italia dal pubblico di lettori appassionati a questo sottogenere.