MY HERO ACADEMIA: i supereroi come non li avete mai visti

My Hero Academia sta per concludersi, ecco qui una review generale per chi lo ha amato e per chi lo deve ancora scoprire. Senza spoiler!

MY HERO ACADEMIA: i supereroi come non li avete mai visti

Era il 2014 quando un quasi trentenne di nome Kohei Horikoshi, già conosciuto in Giappone per opere minori come Nukegara, Tenko e Crazy Zoo, pubblicò su Shōnen Jump il primo capitolo di My Hero Academia. Un prologo perfettamente bilanciato, con tematiche semplici, ma non per questo privo di una grande profondità di scrittura. My Hero Academia è la storia di un sogno impossibile che prende vita, entra a far parte della realtà.

Dal momento che è stata annunciata la fine del manga (il capitol o430 infatti sarà l’ultimo), mi sembra giusto e doveroso dedicare qualche parola a un’opera che per dieci anni ha accompagnato le nostre letture. Un’opera che porta in grembo la maturazione di un artista dal talento narrativo rarissimo, affiancato sempre da editor che hanno saputo farlo sbocciare. Un’opera che possiede, a parer mio, uno dei build up più importanti di tutto il panorama shonen, una saga finale con i fiocchi che FINALMENTE riesce a dare dignità a tutte le promesse che l’autore ci aveva fatto.

Non vi preoccupate amici lettori. Non ci saranno spoiler, questo articolo è solo una review generale dell’opera di Horikoshi, un’analisi e un’omaggio che mi sono sentito di fare per tutti quelli che hanno mollato il manga prima della saga finale o che non lo hanno mai letto.

La trama

Izuku Midoryia, soprannominato Deku, che in giapponese significa “ buono a nulla/incapace”, è un giovane ragazzo che sogna di diventare eroe. C’è solo un piccolo problema, in una società in cui naturalmente gli individui sviluppano Quirk (ovvero i superpoteri), Deku sembra esserne totalmente privo. Nonostante ciò rimane ancorato al suo sogno di diventare eroe, Deku davanti a un muro invalicabile non crolla, di fronte a qualsiasi difficoltà è sempre il primo a rialzarsi.

Un manga dotato di un ritmo incalzante, le doppie pagine si susseguono di capitolo in capitolo mantenendo altissima l’attenzione, un ritmo emotivo che prende alla gola. Il design unico strizza l’occhio al comic americano ma non dimentica mai le sue origini nipponiche, il paneling stesso integra in maniera estremamente fluida e intelligente lo stile orientale e quello di casa Marvel e DC Comics.

Un universo di personaggi prende vita, attraverso un sistema di valori che trascina e un grandissimo messaggio di positività e fiducia. Un fumetto dal coraggio immenso che, anche se non concluso, ha già segnato il manga shōnen degli ultimi venti anni.

Kohei Horikoshi

Kohei Horikoshi, originario della prefettura di Aichi, è un classe ‘86. In Giappone è conosciuto dal 2006, quando vinse il Premio Tezuka della Shūeisha con il suo one-shot Nukegara. In seguito pubblico diversi racconti su Akamaru Jump fino a che non approdò finalmente su Weekly Shōnen Jump nel 2010 con il suo secondo one-shot intitolato Crazy Zoo. Nel 2014 il successo mondiale, My Hero Academia fu da subito un successo. Anime, videogiochi e lungometraggi vennero prodotti da lì a pochi anni, rendendo My Hero Academia un degno erede dei successi del decennio precedente come Naruto e Bleach.

Ma chi è Kohei Horikoshi e come mai la sua scrittura e il suo disegno hanno riscosso così tanto successo? Innanzitutto bisogna considerare come Horikoshi sia un mangaka capace di mischiare generi, influenze e stilemi. L’autore stesso non ha mai nascosto come le sue maggiori influenze siano Dragon Ball, Naruto, Akira, Tekkonkinkreet. Tutti titoli che a un lettore attento non sfuggono mentre sfoglia le pagine del manga. Egli riesce infatti a mescolare vari elementi da grandi classici della letteratura fumettistica del suo paese: un power leveling tipico del battle manga, gli stilemi narrativi di coralità e gli archi di trasformazione dei personaggi ripresi ovviamente dai grandi titoli Shōnen Jump delle generazioni precedenti, e anche alcune tinte sci-fi e cyberpunk che prendono ispirazione da grandi pilastri come il sopracitato Akira. Ma a rendere assolutamente caratteristico il suo tratto e le sue storie è l’inserimento di un elemento insolitamente occidentale nel suo concept generale e nel character design. L’autore non ha mai infatti nascosto la sua passione unica per i grandi supereroi di casa Marvel e DC Comics.

Infine, l’autore, anche dalle interviste che ha rilasciato, ha sempre ammesso di aver condotto molte scelte di business nella sua opera, per rendere più accattivanti le storie e i suoi personaggi. Operazione che, a mio parere, è riuscito a condurre in maniera magistrale mai sfociando in un fan service becero ma mantenendo sempre alta la qualità dei suoi lavori.

Il world-building

Teatro delle avventure è un mondo molto simile al nostro. Un’idea di world building che esplora con grande profondità di scrittura l’ipotesi del “cosa succederebbe in una società in cui le persone sviluppano superpoteri sin dalla nascita?”. Il punto di partenza è proprio questo, un mondo in cui non avere superpoteri è più raro che averli. I superpoteri sono parte integrante della società, sono regolamentati, istituzionalizzati e sono necessari a ottimizzare non solo la lotta contro il crimine ma anche le professioni più banali. In un mondo del genere esistono accademie che formano i giovani eroi e li istruiscono a sviluppare al meglio le proprie abilità, in modo tale da permettere a chiunque di trovare un posto nel mondo sulla base del proprio talento.

Questa premessa narrativa, per quanto semplice, ha conseguenze molto dettagliate sulla società e la cultura di quel mondo: discriminazioni, super-criminali, moti rivoluzionari, società segrete, scienza iper-avanzata, nel mondo di My Hero Academia c’è davvero tutto. Nonostante la semplicità del concept che tiene in piedi l’opera (con un grande richiamo a X-Men), il livello di dettaglio del world building è uno dei più alti nel panorama shōnen attualmente. Il mondo prende respiro in maniera totalmente naturale, da davvero l’impressione di essere vivo.

Altra premessa fondamentale per comprendere l’opera è sicuramente il passato oscuro, l’era dei super criminali, che si contrappone al presente di pace e prosperità realizzata da All Might (l’eroe numero uno del Giappone) e dagli altri pro-heroes dell’epoca presente. Premessa molto importante perché dimostra come il mondo speranzoso e protetto dalle spalle grosse dei pro-heroes è stato raggiunto con fatica, sudore e tantissimi sacrifici. L’orgoglio e la coralità saranno motore che trascina l’intera opera, il lavoro di squadra sarà componente fondamentale e realizzabile solo attraverso una comunione di intenti.

Altro tema davvero interessante è il power system in generale. Ovvero il modo con cui vengono strutturati i poteri e i power up e, in particolar modo, come questi ultimi siano sempre strutturati all’interno di archi di trasformazione di personaggi che maturano e imparano dai propri errori. I quirk nascono da una mutazione genetica, sono dunque innati ed ereditari. Si sono sviluppati col tempo nel mondo di My Hero Academia, si sono diversificati e hanno raggiunto nell’epoca attuale un incidenza quasi totale nella popolazione. Si instaurano dunque rapporti sociali e pratiche molto interessanti, come quelle dei matrimoni incrociati tra due eroi, nell’ordine di portare alla luce dei figli con abilità migliori dei propri genitori, discriminazioni per i quirk inutili o mostruosi o addirittura per i pochi individui privi di poteri. Altro aspetto fondamentale è che il quirk, a differenza dei superpoteri di casa DC e Marvel, non ha carattere fisso, ma varia, cresce col portatore. Esso può essere allenato, combinato con altri quirk e il suo uso può avere diversi tipi di applicazioni. In questo Horikoshi dimostra una grande attenzione ai power system dei battle manga più famosi come Naruto, Dragon Ball, Hunter x Hunter.

Infine, la cosa più sorprendente, è la scrittura leggera, emotivamente ingaggiante, ben articolata che possiede l’intera opera. Da un world building così denso ci si aspetterebbe infatti una lunghissima serie di spiegazioni che permettono a quello spessore di manifestarsi. Invece non è così, tutto si amalgama perfettamente alla narrazione, molto viene mostrato senza essere detto (in questo aiuta moltissimo il medium del fumetto che può esprimersi anche attraverso immagini), il dramma non cessa mai di esistere per lasciare spazio a informazioni sterili. Una potenza emotiva unica e un world building estremamente accattivante.

Tutti per uno

My Hero Academia è un manga corale. Estremamente corale. Per chiunque lo abbia letto non lo sorprenderà il fatto che più volte sia stato messo a confronto con un’opera come Naruto. Entrambe infatti, nonostante le enormi differenze tra i due mondi in cui si svolgono gli eventi, sono opere in cui valori come la cooperazione, l’amicizia, il sostenersi a vicenda, sono il vero motore delle vicende. Gli eroi infatti, reduci da un passato oscuro in cui regnava la legge del più forte, portano avanti il concetto secondo cui nessuno deve essere lasciato indietro ed essere forti significa proteggere. La forza di un eroe in My Hero Academia è rappresentata dal sacrificio, dalla capacità di non arrendersi e di saper collaborare.

Emerge quindi un sistema di personaggi caleidoscopico, estremamente variegato e complesso. L’autore decide di dare importanza a tutti quanti, nessuno escluso, ognuno col proprio background, i propri obiettivi e le proprie particolarità. Il protagonista non si realizza dunque con le sue forze ma anche grazie all’aiuto di tutti quanti, l’apporto di ognuno ha un peso narrativo, la soggettiva emotiva si giostra così tra i vari attori in gioco dando spessore a chiunque appaia sulle pagine. Gli stessi villain sono spettacolari, perché non si votano alla malvagità pura, bensì a un’idea di giustizia relativamente condivisibile, ben strutturata ed emotivamente ingaggiante. Così la morale resta liquida, difficile, non esistono fazioni statiche, non esistono nemici ma solo chi la pensa diversamente.

Tra i personaggi principali emerge il protagonista, Deku, con un sogno irrealizzabile e una volontà di ferro. Il giovane colpisce per la sua forza d’animo, ci viene presentato come un nerd incapace chiuso nella sua cameretta che sogna di diventare come All Might, l’eroe numero uno del Giappone. Di fronte alla grandezza di questo sogno l’ostacolo sembra essere però invalicabile, questo perché Deku è privo di un quirk, e quindi non ha la possibilità effettiva di riuscire nel suo intento. Deku commuove, trascina, fa da collante essenziale per i suoi compagni e sarà proprio questa caratteristica a permettergli di farsi notare da All Might e di diventare erede del suo segretissimo quirk. Il messaggio dietro tutto ciò prende il cuore: un eroe non è tale per le sue super-abilità in un mondo in cui tutti le sviluppano naturalmente, la forza d’animo e la risolutezza sono caratteristiche ben più essenziali.

Bakugo sembra invece essere il personaggio pensato per essere l’effettivo protagonista ma che poi viene scartato all’ultimo momento. Egli incarna infatti tutto ciò che Deku non può essere: Bakugo è fortissimo, portatore di un quirk esplosivo (letteralmente, il suo sudore è nitroglicerina), in costante ricerca per migliorare le sue abilità ed estremamente duro con i suoi compagni. Bakugo possiede uno degli archi di trasformazione più belli dell’intero fumetto, un personaggio infantile e caotico che matura fino a raggiungere una grandissima autoconsapevolezza di sé. Un Sasuke che non cede mai al suo lato oscuro, per fare un paragone noto.

Shouto, anch’egli compagno di classe dei nostri protagonisti, è invece un personaggio che si trascina con sé i problemi di una famiglia distrutta dai valori di una società di eroi. Egli è figlio di Endeavor, l’eroe numero due del Giappone. Endeavor è ossessionato da All Might, trovandosi tuttavia impossibilitato a gareggiare con il quirk dell’eroe numero uno, ha fatto in modo di trovare una compagna con un quirk congelante che potesse equilibrare la sua manipolazione del fuoco. Il suo obiettivo è infatti quello di creare un erede che possa ereditare entrambi i quirk in modo da riuscire a superare il numero uno. Endeavor fa di questa ossessione una missione di vita, e riversa tutto sulla sua famiglia e sui suoi figli. Non è difficile dunque immaginare quanto il rapporto di Shouto con il padre sia difficoltoso e problematico, le dinamiche familiari descritte portano temi molto forti e crudi e rendono Shouto un personaggio estremamente maturo e interessante, nonché incredibilmente amato dal pubblico.

Infine abbiamo All Might, il superuomo giapponese, l’uomo più forte della Terra. Colui che pose fine all’era oscura in cui regnava il terribile super criminale All For One. All Might è un simbolo di speranza, un faro di luce per le nuove generazioni. Sarà mentore di Deku e colui che darà la possibilità al nostro protagonista stesso di ottenere un quirk. Questo perché All Might possiede un quirk trasferibile e, essendo ormai a fine carriera, vedrà in Deku un degno erede a cui affidare tutto quanto. Sarà proprio questo a dare inizio alla vicenda nel capitolo introduttivo.

Una penna dalle mille vesti

Veniamo ora alle penne del maestro Horikoshi. La qualità delle tavole è davvero incredibile e migliora mano a mano che si procede con i capitoli. Prova di una costante ricerca e miglioramento da parte dell’autore.

Caratteristica principale del suo tratto è il fatto che possiede uno spettro di tonalità espressive e stilistiche decisamente ampio. Gli eroi e le loro fisionomie cambiano quindi sulla base delle esigenze narrative, del ruolo che quel personaggio assume e di cosa l’autore vuole esprimere attraverso quello stesso personaggio. Noterete infatti come All Might ad esempio sia spesso disegnato con un tratto e delle pose che si rifanno moltissimo allo stile classico americano di autori come Jack Kirby, Steve Ditko ecc. Gli stessi costumi di alcuni degli eroi riprendono le tute e le calzamaglie più famose del mondo. Essendo però un autore orientale, nato e cresciuto nella cultura dei manga, non mancano anche riferimenti e influenze provenienti da autori classici come Toriyama, Kishimoto e Otomo nel design di alcuni personaggi.

Lo stesso vale per il paneling, con cui dimostra di riuscire ad impostarlo in maniera molto classica, seguendo quindi una classica divisione a quattro tempi sulla doppia pagina (kishotenketsu), intervallando con splash page e uscite dalla gabbia che prendono moltissimo dalla tradizione supereroistica americana. Il risultato è una perfetta e integrata commistione di generi grafici ed espressivi, un meraviglioso shōnen manga che strizza l’occhio all’Occidente e al fumetto statunitense. Non vi meravigliereste se vi dicessi infatti che è proprio negli Stati Uniti che My Hero Academia ha avuto più successo fuori dal Giappone.

Infine, il tutto è tenuto in piedi da un’idea grafica molto forte e strutturata. Un disegno sempre ben bilanciato, sia dal punto di vista dinamico che nella composizione delle figure. Un utilizzo molto preciso dei retini e una pulizia del tratto da fare invidia a grandi, grandissimi disegnatori. Lo stesso character design parla da solo, si riesce a cogliere il carattere di un personaggio e il suo atteggiamento dalle posizioni che il suo corpo assume e dal costume che indossa, dalla forma degli occhi e dei capelli.

Insomma My Hero Academia è davvero un manga da spulciare, leggere, rileggere e soffermarsi sugli inchiostri di un autore estremamente talentato, con ottime doti narrative sia grafiche che di scrittura. Una perla rara in un mare infinito di carta.

Scrittore incallito, impugna la penna come fosse una katana e si allena prendendo a colpi di spada un povero taccuino che si porta sempre appresso. Appassionato di fumetti americani e nipponici, il suo più grande sogno è quello di imparare a lanciare sfere di energia dal palmo della mano. Ogni notte sogna l’uscita del nuovo capitolo di Hunter x Hunter, per poi svegliarsi in lacrime e scontrarsi con la dura realtà.

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