Harajuku, uno dei tanti quartieri di Tokyo, è conosciuto per essere il fulcro delle mode giapponesi e delle tendenze giovanili più bizzarre, e nei due viali principali, Takeshita e Omotesando, si trovano innumerevoli negozi e centri commerciali che offrono una grande varietà di abiti e stili per ogni gusto. Forse vi sarà capitato di sentire termini come Lolita, Visual Kei, e Gyaru, che descrivono solo alcune delle tante subculture rese famose dai giovani della zona, facendo poi acquisire a questi “stili di strada” notorietà in tutto il Giappone. Queste tendenze videro il loro momento più alto verso gli anni ’80, ma solo alcune sono rimaste vive ancora oggi, riuscendo perfino a diffondersi oltreoceano grazie alla rappresentazione all’interno di manga e videogiochi.
Street Fashion: ribellione e diversità
Ogni tipo di stile non solo ha delle caratteristiche uniche, ma a sua volta ha diverse sottoculture, ognuna con altrettante particolarità. Una delle mode più famose anche fuori dal Giappone è sicuramente quella dello stile Lolita, che prende ispirazione dall’estetica barocca e vittoriana, rifacendosi a un movimento chiamato Otome-kei, nato in Giappone attorno agli anni ’70. Le Lolita prendono in prestito per i loro outfit tutti i dettagli degli abiti tipici vittoriani: blusa eleganti, gonne lunghe e curate e stivali a tacco alto, cambiando il colore del tutto in base a un sottogenere diverso; essendo uno degli stili più popolari, è stato modificato più volte nel corso degli anni attraverso numerose sottocategorie, come le Gothic Lolita, Sweet Lolita, Guro Lolita o anche l’Ouji Lolita, in cui si usano abiti maschili. Differentemente da quanto si possa pensare, il termine Lolita non ha alcuna allusione sessuale in questo contesto, al contrario questi tipi di abiti vengono spesso adottati dalle ragazze proprio per il loro essere coprenti ed esporre meno pelle, prediligendo un senso di eleganza e purezza.
Col passare degli anni, le Lolita sono rimaste piuttosto presenti nella cultura pop, grazie a varie idol e band che resero ancor più popolare questo genere di abiti, tanto da ispirare la nascita di vari altri stili, come l’altrettanto celebre Visual Kei. Il Visual Kei non solo si riferisce a un tipo di estetica, ma anche a un genere musicale, prevalentemente usato da band metal o rock. Anch’esso fa uso di abiti eleganti e molto trucco, accompagnato però da un aspetto più androgino che si rifà a icone del Glam Rock, come i KISS e David Bowie. Nato verso gli anni ’80 con le performance del gruppo musicale X JAPAN, il Visual Kei è molto apprezzato ancora oggi, grazie a famosi esponenti quali i The Gazette, i Dir En Grey e Gackt; tuttavia, secondo molti critici, col passare degli anni la musica delle band Visual Kei è diventata sempre meno originale, dando invece più importanza all’aspetto estetico dei membri delle band.
In certi casi, il modo di vestire non era solo una preferenza estetica, bensì divenne indicativo di un certo stile di vita, come per le ragazze Gyaru o i Bosozoku. La moda Gyaru ha diverse influenze, ma quella principale viene da diverse pop star Americane e alcune cantanti J-Pop come Namie Amuro e ayumi hamasaki. Caratteristiche principali del loro aspetto sono i colori accesi per vestiti, capelli e trucco, ma ogni ragazza ama comunque adottare uno stile puramente personale o condiviso con una cerchia di amiche. Come per le Lolita, anche le Gyaru hanno diversi sottogeneri, due dei più famosi sono le Kogal e le Ganguro: le Kogal sono prettamente ragazze del liceo, mentre le Ganguro hanno un look più stravagante.
La moda Kogal è un forte simbolo del consumismo sfrenato a seguito della bolla economica giapponese: avendo spesso una famiglia benestante, le ragazze non hanno problemi a sperperare denaro negli ultimi modelli di cellulari o nelle borse più alla moda, e se i soldi non dovessero bastare alcune di loro ricorrono nei casi più estremi alla pratica illegale dell’enjo kosai, una forma di prostituzione che consiste nell’avere un appuntamento con uomini più anziani, spesso sposati. Dal lato estetico, oltre ad avere molte caratteristiche delle Gyaru, le Kogal spesso modificano la propria divisa scolastica, accorciando le minigonne e aggiungendo dei calzettoni slargati detti “Loose Socks”.
Le Ganguro nacquero invece dalla decisione di adottare uno stile opposto a quello diffuso nei primi anni ’80, il quale voleva pelle chiarissima e poco make-up, così le Ganguro decisero di usare una massiccia dose di trucco, e di scurirsi completamente la pelle tramite abbronzature estreme; anche il loro carattere tende a essere eccentrico per risaltare in contrasto alle donne giapponesi generalmente viste come più timide e pacate. Alcune di loro accentuano occhi e labbra con colori vivaci, accompagnate da acconciature elaborate, altre ancora usano il trucco per fare dei disegni sul viso similari alle maschere del teatro Kabuki.
Gli stili maschili
I ragazzi avevano molti meno stili e, sebbene molti di loro oggi seguano la moda Visual Kei, i più famosi furono sicuramente i bosozoku, giovani teppisti che imitavano i Greaser americani, riconoscibilissimi per via dell’acconciatura, ovvero un pompadour elaborato che legava e allungava i capelli facendoli sporgere oltre la testa, pettinatura “a banana” resa celebre da vari personaggi di anime, manga e videogiochi, come ad esempio Josuke Higashikata, il protagonista di Le Bizzarre Avventure di JoJo: Diamond is Unbreakable, ma anche Onizuka in Shonan Junai Gumi (GTO) oppure Ryu in SHAMAN KING. Un anime di particolare successo che tratta proprio delle tematiche legate ai bosozoku che ha attualmente conquistato una grossa fetta di pubblico anche oltreoceano è proprio Tokyo Revengers.
Gli appartenenti a questo movimento giovanile erano legati principalmente all’ambiente delle corse di motociclette, che personalizzavano a livello estetico e tecnico, e la loro popolarità raggiunse l’apice negli anni ’70. Per il governo giapponese del periodo erano considerati come un gruppo di criminalità organizzata a tutti gli effetti: infrangevano continuamente le leggi della strada, partecipavano a gare illegali e prendevano parte a molti atti vandalici, e alcuni finirono anche per fare affari con la Yakuza.
I bosozoku iniziarono a perdere popolarità verso gli anni 2000, quando il loro stile iniziò a essere associato proprio ai membri della mafia giapponese e i pochi gruppi rimasti oggi tendono a essere meno violenti di quelli in passato. Anche tra le ragazze ci fu una tendenza simile a quella dei Bosozoku, ovvero le Sukeban, bande femminili in voga negli anni 70, riconoscibili dai capelli colorati e la tipica gonna della divisa scolastica allungata fino alle caviglie; si trattava perlopiù di ragazze emarginate che finivano per rubare, prostituirsi o scontrarsi tra bande rivali, portando con sé coltelli e catene.
Nonostante questi stili siano tutti influenzati, chi più chi meno, dalla cultura occidentale, c’è chi ha trovato il modo di fonderli con la tradizione Giapponese, come lo Shironuri, un sottogenere poco conosciuto in cui ci si tinge il viso completamente di bianco come le geisha tradizionali, mentre gli abiti sono una fusione di elementi Lolita e Visual Kei, a volte sostituiti da vestiti che ricordano dei kimono più eleganti e moderni.
Un altro tipo di moda famoso ancora oggi è legato alla parola Kawaii, che molti avranno già sentito: questo termine è usato per indicare oggetti, personaggi o mascotte ritenuti carini, ma si può anche estendere a un tipo di atteggiamento allegro e innocente. La popolarità di questo stile ha ovviamente influenzato la nascita di tante sottocategorie, ad esempio lo Yume Kawaii con un’estetica che ricorda dei sogni, con decorazioni fantasy, l’Erokawa che ha un’accezione erotica, o il Gurokawa a cui si fondono elementi horror e splatter, con sangue e colori scuri.
Tra le varie sottocategorie, una delle più curiose è senza dubbio la Yami Kawaii, una recente subcultura che usa i colori pastello e le grafiche cartoon per coltelli, siringhe, bende ed elementi che riconducono all’autolesionismo e alle malattie mentali, per portare attenzione su questi temi ancora poco discussi nel paese.
Questo stile si vede spesso sotto forma di illustrazioni che raffigurano animaletti carini e frasi cupe legate alla depressione, assieme ad accessori dell’ambiente ospedaliero, senza però fare uso del gore e del sangue; un accostamento interessante, che distorce l’estetica Kawaii classica per creare un maggiore impatto; l’insicurezza o la depressione sono argomenti sociali generalmente sminuiti e poco trattati in Giappone, e il vestirsi con abiti che rispecchiano le proprie emozioni, è uno dei modi che i giovani hanno trovato per esplicare delle problematiche che non riescono a descrivere a parole.
La cultura Yami Kawaii ha anche una sua mascotte, Menhera-chan, la cui nascita e sviluppo nell’ambiente dei manga e dell’illustrazione ha ispirato diverse persone a usare l’arte come mezzo per sfogare le proprie emozioni. Anche nel mondo della musica sono nati diversi artisti della corrente Yami Kawaii, e uniscono voci delicate a testi crudi e tetri; due dei musicisti più popolari sono Kikuo e Wowaka, famosi anche nell’ambiente dei Vocaloid.
Sentirsi unici
Non è un caso che molte di queste tendenze abbiano raggiunto la massima popolarità verso gli anni ’80, quando il Giappone si trovava nel picco del boom economico iniziato dal dopoguerra; il conseguente aumento del consumismo importato dall’Occidente, presente ancora oggi, ha aiutato la comparsa di tanti stili diversi, e come per tutte le tendenze, molti di questi movimenti sono svaniti col tempo, ma non senza influenzarne altri a loro volta.
Mentre nelle strade i giovani giapponesi possono indossare ciò che preferiscono, le cose cambiano quando si tratta di vita scolastica e lavorativa, dove il dress code da rispettare è estremamente severo, tanto che, per qualcuno, basta applicare semplici modifiche alla propria divisa scolastica, che sia accorciandola o aggiungendoci piccoli accessori. In un paese che cerca di rendere tutti uguali a livello istituzionale, non c’è da stupirsi se, soprattutto i più giovani, sentono il bisogno di sperimentare col proprio aspetto per trovare una propria identità che li faccia sentire unici.