Come ogni altro adolescente dei primi anni duemila, anche io sono cresciuto divorando avidamente gli innumerevoli battle shōnen che hanno sopperito alla fine del Dragon Ball originale di Toriyama, dal quale hanno ereditato le fondamenta per poi evolversi in opere dal successo eguale o addirittura maggiore. Fra questi come non citare ONE PIECE, HUNTER X HUNTER, RAVE: The Groove Adventure e SHAMAN KING (due di questi, tra le altre cose, ancora in corso d’opera). Da un certo momento in poi, tuttavia, io e i miei coetanei, nati fra la prima e la seconda metà degli anni Ottanta e cresciuti con shōnen come Yuyu Hakusho, Saint Seiya e Ranma ½, abbiamo notato un punto di rottura fra i manga pubblicati in quel periodo in Italia, riconducibile in qualche modo al boom di NARUTO di Masashi Kishimoto. Ci siamo accorti che forse eravamo cresciuti un po’ troppo per quel tipo di lettura, e allo stesso tempo una nuova generazione di appassionati stava nascendo. Gli stessi tenuti per mano da BLEACH, DEATH NOTE, SOUL EATER e tanti altri. Alcuni di noi hanno proseguito per strade diverse, altri hanno abbracciato questa nuova e vastissima ondata di cloni più o meno originali dei manga già letti in passato, apprezzandoli in qualche modo o leggendoli per inerzia, perché affezionati al genere.
Mi sono ritrovato quest’ultimo anno, vuoi per la pandemia che ci sta tenendo chiusi in casa più a lungo di prima, vuoi per una crisi di mezza età in salsa nerd, a voler sfogliare alcuni fra i battle shōnen di maggior successo di questi anni più recenti. Dopo aver decisamente apprezzato la versione animata di ATTACK ON TITAN e quella cartacea e animata di DEMON SLAYER, non posso certamente ignorare il proverbiale elefante nella stanza. In un periodo in cui i supereroi americani hanno conosciuto il loro massimo splendore, grazie soprattutto alle controparti cinematografiche di Marvel, il panorama artistico di Yamato non poteva certamente esimersi dal dire la propria sul tema. Ci hanno già provato in passato Katsura con il suo ZETMAN e l’indimenticabile anime TIGER & BUNNY (di cui lo stesso mangaka era character designer), e persino Stan Lee ebbe occasione di metterci lo zampino con HEROMAN. Nessuno di loro, tuttavia, è diventato celebre a tal punto da rivaleggiare con Vendicatori, mutanti e pipistrelli vari. Nessuno fino al momento in cui il sensei Kohei Horikoshi ha immaginato il perfetto connubio tra eroi di stampo occidentale e un universo in perfetto stile Jump.
È così che mi ritrovo a 35 anni compiuti a leggere MY HERO ACADEMIA, la storia di un aspirante eroe che insegue il sogno di diventare come il suo idolo, il più grande supereroe di tutti i i tempi.
Divorati avidamente i primi tre volumi dell’opera, posso già anticiparvi con assoluta certezza che sì, MY HERO ACADEMIA sta catturando la mia attenzione. Mi sta piacendo, mi sta intrattenendo, mi tiene compagnia e mi fa venire voglia di proseguire nella lettura, senza mai risultare pesante o tedioso, nonostante l’enorme mole di testo che accompagna ogni tavola. Ecco, è proprio questa la differenza che ho notato prima di ogni altra se messo a confronto con altri shōnen o con gli stessi comics americani a tema supereroi. Nonostante la presenza di spettacolari battaglie, a far da padrone sono pur sempre dialoghi, spiegazioni e soprattutto momenti di introspezione del protagonista Midoriya, che si ritrova insicuro in mezzo a un gruppo di compagni che sembrano quasi tutti guardarlo dall’alto in basso.
Leggere queste fasi iniziali di MY HERO ACADEMIA — che dovrebbero corrispondere alla prima stagione della serie animata — mi ha riportato alla mente alcuni fra i momenti che più preferisco dei battle shōnen. L’atmosfera scolastica da esame, da competizione, da torneo non può che ricordarmi la saga della selezione Chūnin di Naruto, o prima ancora i Tenkaichi della prima serie di Dragon Ball, dopo i duri allenamenti del maestro Muten. Chi si è lasciato alle spalle la scuola (e diciamolo, anche gli allenamenti marziali) ormai da troppi anni non può che guardare con un pizzico di nostalgia a questo tipo di storie, che vedono come scenari scuole idealizzate dove i giovani vengono addestrati a utilizzare i propri poteri e a diventare più forti. E Midoriya stesso è un protagonista costruito su modello di molti di noi lettori, con un carattere gentile e altruista, con un atteggiamento modesto, discriminato anche da colui che ha sempre considerato il suo più caro amico. Ma con un forte e positivo desiderio di riscatto, che avverrà quando il suo idolo d’infanzia riconoscerà il suo valore decidendo di “passargli” il suo Quirk, il suo potere. Un punto di riferimento che rappresenta un’influenza positiva su di lui, ma allo stesso tempo una persona che scoprirà vulnerabile e da cui imparerà molto, un mentore carismatico non solo per via dei muscoli d’acciaio e del sorriso imperturbabile.
E forse sono proprio questi i più grandi punti di forza di questo manga: la positività di un protagonista nel quale molti di noi si identificano e il suo rapporto con colui che lo indirizzerà sulla giusta strada. Un giovane che, sulle orme del proprio eroe e maestro, si getta senza pensare in soccorso dei più deboli, con la costante speranza che i propri desideri e i propri sforzi vengano ricompensati, che il suo valore venga riconosciuto e di divenire benvoluto da tutti. Non trovate?
MY HERO ACADEMIA è edito in Italia da Star Comics e il ventisettesimo volume sarà disponibile da marzo. La serie animata, sotto licenza Dynit, è disponibile in Blu-ray sino alla terza stagione ed è disponibile, assieme ai due lungometraggi, su Netflix.
White Dragon
La simpatia e/o il carisma di molti personaggi, All Might e Shoto Todoroki su tutti, gioca un fattore molto importante nel successo della serie. Midoriya e i suoi compagni di classe (a parte Bakugo, all’inizio) sono ben affiatati, tra di loro c’è un bel rapporto di amicizia.
Oltre a questo e ai motivi elencati nell’articolo aggiungo anche che, contrariamente agli altri shounen, in My Hero Academia c’è una patina di realismo in più, perchè mostra anche gli interessi non sempre altruisti che ci sono dietro all’Associazione degli Eroi,. Inoltre, nell’arco di Stain, il tam tam mediatico che si crea intorno, con alcuni villain che si uniscono a Shigaraki in seguito ad esso, è terribilmente plausibile.
Deku poi ha un carattere più realistico del protagonista medio, e non è irritante come possono essere alcuni. Inoltre non si è ceduto al clichè di rendere lui e Bakugo nemici nel vero senso della parola facendo passare Bakugo alla parte del nemico, i due sono semplicemente rivali. Idem con Todoroki, che è una versione matura e più carismatica di Sasuke Uchiha.
Con un titolo come questo sulla scena, tra l’altro, mi sembra abbastanza strano che Demon Slayer abbia avuto altrettanto successo se non di più. Voglio dire, è uno shounen avvincente e tutto, con una degna versione animata che presto verrà conclusa, ma è abbastanza banale se paragonato all’opera di Horikoshi; e per quanto riusciti, i personaggi hanno meno spessore e carisma di quelli di MHA.