L’E3 sta perdendo il suo significato?

Da evento per giornalisti e addetti ai lavori a festival commerciale per influencer, media e marketing. Lo strano limbo in cui è sospeso l’E3: ma si dovrà per forza sacrificare uno di questi due gruppi per ritornare all’antico splendore?

L’E3 sta perdendo il suo significato?

Per chi si considera un videogiocatore accanito, attento non solo al marketing ma all’industria tutta, giugno è un mese parecchio esaltante. Per i più “anziani” e appassionati, prima del 2009 invece il mese da attendere con ansia era indiscutibilmente maggio. Questo perchè nei due mesi sopracitati da ormai 24 anni si tiene annualmente l’Electronic Entertainment Expo, o per com’è conosciuto dai più: l’E3. Durante l’E3, si dice (o diceva), i sogni diventano realtà. Nuove console vengono annunciate, nuovi franchise dormienti da anni vengono risvegliati, progetti del tutto nuovi vengono annunciati a sorpresa… ma è davvero lecito parlarne in questi termini, arrivati nel 2019? Purtroppo, ho paura di no: quello che una volta era il Re incontrastato degli avvenimenti videoludici annuali sembra ormai quasi un’ombra del suo passato glorioso, e se quanto è venuto a galla e quanto sto per scrivere basandomi su proposte e progetti per l’anno prossimo dovesse venire realizzato, potrebbe essere l’ultimo chiodo nella bara di un evento che cambierebbe per sempre come spirito, pubblico, e intento.

Prima di tutto sfatiamo un mito: almeno per quanto riguarda nome, luogo e tutta la struttura a cui ci siamo abituati, a meno di sorprese drastiche l’E3 rimarrà com’è sempre stato. Un’altra cosa di cui non ci occuperemo perché solo tangenzialmente legata alla convention sono i tanti passi falsi compiuti dall’ESA (Electronic Software Association, gli organizzatori dell’E3) negli ultimi tempi, fra cui l’aver diffuso per errore dati personali di migliaia di giornalisti che hanno partecipato a quest’edizione appena passata, e il continuare a difendere il gioco d’azzardo presente nella stragrande maggioranza dei giochi AAA occidentali, anche nei titoli per i più giovani. Per quanto mi piacerebbe parlare anche di questo, le parole del Prof. Oak rimbombano: C’è un luogo e un momento per ogni cosa! Ma non ora. Il focus resterà sulla convention in sè: su cos’era, su cos’è diventata, e in cosa si vorrebbe trasformarla.

Nato inizialmente quasi dal nulla, l’E3 nei tanti anni di onorato servizio si è davvero espanso fino a rappresentare l’evento videoludico più atteso dell’anno, con pubblici in visibilio e annunci totalmente a sorpresa che avrebbero cambiato il panorama dell’industria nella sua interezza, nel bene e nel male. Insomma, c’è stato un momento in cui tutte le più grandi software house e publisher si preparavano, caricandosi di assi nella manica e tenendosi le carte migliori, pronte ad essere svelate sul palco del Los Angeles Convention Center; da qualche anno invece non è più così, in un lento declino di qualità che ci ha portato sì giochi fantastici e reveal insperati, ma anche molte forzature, assenze celebri, e momenti davvero da dimenticare per alcune compagnie. Impossibile quindi introdurre il discorso senza nominare l’assenza totale di Sony dall’edizione di quest’anno, annunciata alla fine del 2018. Leggendo fra le righe dell’annuncio PR, apprendiamo che Sony ha deciso di disertare l’E3 2019 perchè è alla ricerca di altre strade per approcciarsi alla community: potenzialmente, un evento organizzato da loro stessi. In fondo, controllare meglio il contesto del messaggio vuol dire controllare anche in che modo questo viene recepito, e sappiamo bene di quanto le compagnie, specialmente quelle rispettatissime a livello globale, amino studiare e controllare ciò che si dice di loro e dei loro prodotti. Nintendo ha ormai abbandonato la pratica di tenere conferenze “live”, preferendo invece mostrare il suo provatissimo e riuscitissimo Nintendo Direct, e negli anni abbiamo avuto altri esempi di grandi compagnie che decidevano di fare a modo loro, come Electronic Arts, Activision, e Microsoft che tengono conferenze in luoghi separati. Tre indizi fanno una prova: l’E3 non è più un qualcosa di irrinunciabile.

Un altro drammatico stacco rispetto al passato è stato fatto nel 2016, quando lo show è stato aperto al pubblico e non solo più a giornalisti ed altri addetti ai lavori. I 15.000 costosi pass messi a disposizione per i semplici appassionati hanno aiutato a rimpolpare dei numeri di attendance che, stando a dati ufficiali, andavano un pochino abbassandosi; nel 2020 i posti per il pubblico saranno aumentati fino a 25.000, mostrando una presa di posizione dell’ESA che preferisce quindi abbandonare il modello elitario del passato, trasformando l’E3 in un evento “popolare” aperto a tutti. Tenete bene a mente questa cosa, perchè ci tornerà utile nel capire diverse altre scelte proposte dagli organizzatori per l’edizione dell’anno prossimo. La terza cosa che si è persa oltre all’esclusività dell’evento e alla sua irrinunciabilità, è la magia della suspense: questo discorso può anche essere fatto per altre industrie, ma ormai almeno per quanto riguarda il settore videoludico i leak sono all’ordine del giorno, tante volte sappiamo già tutto riguardo a release, intere conferenze e annunci con voci ed informazioni messe in giro (si teorizza) dalle compagnie stesse, impiegando tattiche di marketing virale per creare hype intorno a qualcosa che solitamente è in procinto di essere annunciato ufficialmente. Chi non frequenta 4chan e siti simili spesso è al sicuro dal dolce richiamo di questi segreti di Pulcinella, ma confesso che un po’ hanno rovinato l’atmosfera magica che si provava guardando una conferenza, dove a qualsiasi transizione fra uno schermo e l’altro poteva esserci un breve teaser o un mini annuncio che avrebbe fatto impazzire chiunque.

La domanda giusta, riflettendoci, dovrebbe essere “L’E3 perderà il suo significato nei prossimi anni?”. Ebbene, se la visione dell’ESA (o per lo meno del gruppo che ha proposto questi cambiamenti) dovesse portarsi a compimento, penso assolutamente di sì, se già non lo ha perso. Le slide riportate in un articolo diffuso inizialmente da GameDaily, che qui riportiamo e traduciamo, e da cui prendiamo le immagini, mostrano un quadro chiarissimo: l’intento è quello di trasformare l’Electronic Entertainment Expo in un evento per fan, media e influencer; non più per giornalisti, analisti e personalità affini. Certe proposte sono più innocenti di altre: nulla in contrario al voler aumentare lo spazio dedicato al pubblico pagante, ma quando lo scopo è solo quello di propinare pillole di marketing, allora il significato dell’evento come celebrazione di novità, periodo di notizie insperate e simili va a perdersi totalmente. La struttura della convention verrebbe totalmente rimaneggiata per proporre “esperienze” ai partecipanti, puntando sempre di più all’intrattenimento piuttosto che all’informazione, servendosi di personalità di internet, influencer, e celebrità. Il gruppo propone “eventi disponibili solo per alcuni invitati esclusivi, creati appositamente per generare hype e FOMO” (fear of missing out, letteralmente paura di essere tagliati fuori) e “sfruttare la propensione per la generosità di Millennials e appartenenti alla Generazione Z”: ingraziandosi queste categorie, l’ESA propone di “immagazzinare questi sentimenti positivi per migliorare la visione che i consumatori hanno dei brand partecipanti”. L’ultima proposta, non limitata all’evento in sè, propone di realizzare diversi accordi pagati con testate giornalistiche e non solo per migliorare l’opinione che il pubblico ha dell’evento e dei suoi organizzatori.

Insomma, l’E3 e l’ESA stanno cercando di scrollarsi di dosso un bagaglio glorioso, che però sembra aver smesso di funzionare, preferendo seguire la strada di altri eventi come la gamescom e il Tokyo Game Show che superano regolarmente i trecentomila partecipanti, andando ad alienare e senza dubbio a rendere più difficile la vita di quel nutrito gruppo di persone per cui alla fine, si trattava di un viaggio di lavoro. Addio all’Expo, benvenuto al Festival: un festival che, basandoci sui progetti proposti, sembra poco più di una trovata di marketing, invece che una celebrazione della creatività, della passione e del duro lavoro di centinaia di sviluppatori, artisti e appassionati.

Ossessionato da Le Bizzarre Avventure di JoJo e METAL GEAR, pensa che TRIGGER abbia salvato gli anime. Darebbe tutto pur di vedere un nuovo Trauma Center e il finale di Berserk; generalmente ti vuole bene, finché non gli parli di microtransazioni.

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